!-- Menù Orizzontale con Sottosezioni Inizio -->

News

mi piace

martedì 26 luglio 2016

Elogio dell’imperfezione - " La pazza gioia"

di Annalisa Petrella

Siamo esseri imperfetti, e questo è un fatto, ma aspiriamo alla perfezione, e ciò genera fratture dolorose. 
Ci illudiamo di vivere in un assetto democratico aperto al confronto e alle diversità, ma abbiamo una prova continua, soprattutto attraverso i mass-media, che troppo spesso vengono “passati”, su temi sociali di rilievo come la malattia e il disagio, messaggi confusi, basati sull’ovvietà e sulle recriminazioni reciproche con il risultato che, anziché offrire una corretta conoscenza dei problemi e delle loro possibili soluzioni, si scavano voragini che fanno affiorare ansia e paura. E sappiamo che la paura dell’ignoto genera mostri e provoca ferite.





A questo proposito vorrei richiamare la pratica orientale del Kintsugi, parola giapponese che significa letteralmente “riparare con l’oro”, che permette di riparare oggetti artistici in ceramica o in porcellana utilizzando oro e argento liquidi, o lacca con polvere d’oro. I frammenti vengono saldati con metalli preziosi che trasformano un vaso ridotto in frantumi in un nuovo oggetto unico e irripetibile in quanto la casualità della rottura traccia il percorso della ricostruzione e la esalta. Come dire che dalle imperfezioni possono nascere nuove forme che conservano la storia delle ferite, che vengono valorizzate e non nascoste, per creare una nuova opera d’arte più bella e originale. 

Questo principio dovrebbe trovare applicazione nel cammino umano. 
Purtroppo nel mondo occidentale viviamo in una prospettiva culturale rovesciata. Gli insuccessi, le delusioni, le malattie disabilitanti creano ferite nell’anima che facciamo fatica a riconoscere e ad accettare, anzi tendiamo a nasconderle per un assurdo senso di colpa. Riconduciamo le nostre fragilità e imperfezioni all’ottica di una dualità rigida e colpevolizzante intorno ai concetti di intatto/rotto, bello/brutto, perfetto/imperfetto, sano/malato e ciò crea esclusione e sofferenza. 
Dovremmo prendere esempio dalla cultura orientale dove, seguendo il pensiero analogico, le dicotomie vengono annullate e gli opposti si armonizzano in una dimensione esistenziale conciliatoria: i segni lasciati dalle ferite, valorizzati come parte integrante della vita, le cicatrici dell’anima, accettate nel tempo ed elaborate, possono fortificare e aprire nuovi spazi di conoscenza e fruibilità del mondo.  Da una rottura ricomposta con cura e pazienza possono nascere nuovi modelli preziosi di vita.
Pensiamo al disagio mentale che da sempre ha suscitato nelle società sentimenti forti di disagio e timore, il diverso da sé rappresentato dal folle nel corso della storia è stato punito, allontanato, costretto, o in certe epoche addirittura giustiziato perché ritenuto in preda al demonio. Paolo Virzì,
con il suo ultimo film “La pazza gioia”, premiato come miglior film dell’anno ai Nastri d’argento di Taormina, ha voluto affrontare l’argomento della malattia psichica con grande rispetto e delicatezza curandone la sceneggiatura con Francesca Archibugi, da sempre sensibile ai temi dell’esclusione. Il risultato è una commedia di grande spessore dove si alternano i toni drammatici a quelli più ironici che stemperano la gravità delle vicende narrate con sfumature terribilmente umane. La scrittura risulta molto meditata ed esplora le “imperfezioni di due donne sbagliate” che hanno in comune un dolore profondo che viene da lontano. Le due protagoniste, Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti, anch’esse premiate con Il Nastro d’Argento, sono eccezionali nell’interpretare la storia di due personaggi opposti e speculari che si incontrano in una splendida Toscana a Villa Biondi, una casa di cura per donne disabili mentali.  Beatrice Morandini Valdirana, la Bruni Tedeschi, è in cura per bipolarismo, viene da un ambiente ricco e ha un ex marito avvocato che lei ha lasciato inseguendo un amante disgustoso, un coatto delinquente e approfittatore che l’ha sfruttata al punto da annientarla e farle sperperare il
patrimonio di famiglia. E’ logorroica, autoreferenziale, bisognosa di porsi al centro di ogni situazione, gira in Villa Biondi con un’aria di sufficienza, dice di essere contessa e, appena può, si spaccia per psicologa schiacciando ordini sui farmaci da far assumere alle compagne.
 E’ attraente, istrionica, indossa abitini molto femminili, scarpe col tacco, e in giardino si difende dal sole con un ombrellino che maneggia come una gran dama che vive in un mondo esclusivo collocato altrove. La recitazione della Bruni Tedeschi è fantastica, forse la migliore fino ad oggi. L’attrice costruisce su di sé un personaggio che affascina e fa sorridere, soprattutto nella prima parte del film, con la sua voce spezzata, l’andatura ondeggiante, le battute argute e spiritose che conferiscono al film una gradevolissima nota di comicità e leggerezza.
Di contro, Donatella è chiusa a riccio in uno stato depressivo spaventoso, è tutta rivolta all’interno di sé e di un passato oscuro e ingombrante che le grava addosso: arresto per tentato suicidio-omicidio e trattamenti sanitari obbligatori in reparti psichiatrici. La sua magrezza è al limite dell’anoressia, il corpo è martoriato da cicatrici e tatuaggi, la mente perseguitata dal pensiero ossessivo di un figlio strappato. La Ramazzotti conferma, ancora una volta, di essere un’interprete matura in una parte complessa in cui le espressioni del volto prevalgono sulle parole. Virzì, regista e marito dell’attrice, riesce a cogliere ogni sfumatura del suo dolore in ogni attimo fino alla scena finale.
Entrambe le donne, in custodia giudiziaria nella comunità terapeutica, sono condannate allo stigma sociale della follia e ritenute socialmente pericolose. Sono state umiliate, segregate, escluse, ma dopo una fuga perigliosa che sancisce in qualche modo il loro diritto alla gioia di vivere, riescono a prendersi per mano, amorevolmente, e corrono insieme per esplorare il labile discrimine che separa la salute dalla malattia mentale. Attraverso i loro sguardi via via attoniti, pietosi, irridenti varcano il confine di una
realtà misera e sempre più feroce che svela le fragilità e le inettitudini delle esistenze definite “normali”. Beatrice e Donatella uniscono le loro debolezze e si aiutano reciprocamente nel loro riconoscimento, definendole, quindi si specchiano l’una nello sguardo dell’altra con un vigore sconosciuto nell’intento di ritrovare una forza interiore, sostenuta dal sentimento dell’amicizia, per ricominciare a curarsi e a vivere.


Spiega Virzì: “Letteratura e cinema sono fisiologicamente attratti dalla follia diversamente manifesta, e non nascondo che ne La pazza gioia ci sono tracce di Un treno chiamato desiderio di Williams, di Qualcuno volò sul nido del cuculo di Forman e, perché no, dello splendido Blue Jasmine di Woody Allen e di altre figure femminili del grande maestro newyorkese. Il disturbo psichico è un tema che spaventa e allontana tutti, ma lavorando con un cast composto anche da pazienti con problemi di salute mentale che si sono amabilmente mescolati con gli attori, ho compreso che bisogna aver paura di chi ha paura della pazzia. Senza dimenticare che il disagio mentale riguarda tutti, nessuno escluso”.


42 commenti:

  1. Splendido articolo, sono commossa e ammirata! Ada

    RispondiElimina
  2. argomento difficile trattato con eleganza e raffinatezza. il riferimento alla cultura orientale è appropriato e delizioso. proprio brava.

    RispondiElimina
  3. Non ho parole se non dire che l'articolo è bellissimo!!!

    RispondiElimina
  4. Commovente il film ma commovente anche l'articolo, parlo no di una commozione strappa lacrime ma di un tipo di commozione che tocca corde più profonde. Bellissima recensione molto efficace sopratutto il riferimento alla pratica orientale di riparazione con l'oro.....complimenti Annalisa!

    RispondiElimina
  5. La sua recensionè così ben articolata e sentita offre spunti di riflessione e soprattutto il piacere di leggere qualcosa di "perfetto". C.Milano

    RispondiElimina
  6. Ho letto con interesse lascia sua recensione che mi ha colpito per la sua intensità

    RispondiElimina
  7. La tua recensione è precisa, profonda e toccante. Anche il titolo ,"Elogio dell'imperfezione", calza a meraviglia. E' molto vero quello che scrivi a proposito delle cicatrici dell’anima che, accettate ed elaborate, possono dar luogo a nuovi e preziosi modelle di vita.

    RispondiElimina
  8. Credo tu abbia saputo metterti in sintonia con il regista o per lo meno con le corde del film. Molto belli e pertinente i giudizi espressi sulle attrici; con profonda sensibilità induci a riflettere sulla sofferenza psichica, molti infatti ignorano (o vogliono ignorare) quanto dolore essa sottenda. Serenella

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Cara Serenella, ti ringrazio. Annalisa

      Elimina
  9. Bello il film, senza ombra di dubbio, ma la recensione lo è molto di più!

    RispondiElimina
  10. Grazie di avere ricordato il kinstugi in un contesto perfettamente calzante.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Amo l'arte orientale e la sua filosofia. Grazie. Annalisa

      Elimina
  11. BellissimO il riferimento al kinstugi arte meravigliosa anche per l'anima...

    RispondiElimina
  12. Solo la tua sensibilità ti ha permesso di affrontare un argomento così difficile in maniera delicata e approfondita. Bella, profonda e sentita recensione.
    Miriam

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Miriam carissima, sempre vicina. Grazie. Annalisa

      Elimina
  13. Ho letto con le lacrime agli occhi il suo articolo che è un canto d'amore per chi sta soffrendo

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Il suo commento mi commuove...Grazie. Annalisa

      Elimina
  14. Ho visto il film anche per interesse professionale. Ho letto la sua recensione e mi devo complimentare per l'acutezza e la sensibilità nel trattare il "problema". Complimenti da un medico.
    M.R.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie del commento lusinghiero. Annalisa

      Elimina
  15. Cara Annalisa, la tua recensione è profonda ed elegante. Ti ammiro per la scelta di analizzare una tematica così sensibile con gran coraggio e delicatezza. Brava!
    Ludmilla

    RispondiElimina
  16. Articolo penetrante su un argomento complesso

    RispondiElimina
  17. Ho qualche riserva sul film perché lavoro nel settore e Virzì, che solitamente apprezzo, qui non mi convincè del tutto. La sua recensione è irreprensibile e di pregio. T.Z.

    RispondiElimina
  18. Tenero e gentile il tuo commento al film ed il riferimento alla pratica de Kintsugi è davvero appropriato.Brava Annalisa.Un abbraccio affettuoso.Stefania

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Cara Stefania, ti ringrazio. Annalisa

      Elimina
  19. È sempre un piacere leggerti. Silvana

    RispondiElimina
  20. Mi mancavano i suoi articoli la leggo sempre Lori

    RispondiElimina
    Risposte
    1. A Lori il mio ringraziamento. Annalisa

      Elimina
  21. Il disagio mentale riguarda tutti anche i diffidenti grazie

    RispondiElimina
  22. Grazie a lei. Annalisa

    RispondiElimina