Di Annalisa Petrella
Quando era nato era di una bellezza strepitosa, un cucciolo da copertina, anche il primo pelo era apparso presto in tutto il suo fulgore e pareva seta dorata, gli occhi erano del colore dell’ambra bordati da una riga nera che ne esaltava la forma.
La madre lo teneva sempre d’occhio perché, essendo il più grosso della cucciolata ed anche il più tranquillo non riusciva mai ad arrivare alle sue mammelle per nutrirsi; tutti i suoi fratelli correvano come degli scatenati, lo scavalcavano e gli rubavano il posto, ma lui non se la prendeva, sapeva aspettare e poi sapeva che la mamma lo avrebbe recuperato per nutrirlo e coccolarlo, allontanando i più intraprendenti e sfrenati.
Così trascorse i suoi primi tre mesi di vita, gli piaceva giocare ma non era litigioso e nemmeno competitivo, più tardi, portato nel negozio di animali e immediatamente messo in vetrina faceva fare una splendida figura al negoziante: i bambini che passavano restavano a lungo incollati al vetro incantati da tanta bellezza e imploravano i genitori di comperare lui, proprio lui. Ma il cucciolo non si poneva domande, tranquillo come sempre sapeva aspettare, aveva capito di essere in una situazione transitoria, dentro e fuori dagli scatoloni, luce fortissima di giorno e poi, di notte, buio pesto.
La notte era angosciante; quando sentiva la voce degli altri cani che guaivano emetteva un piccolo latrato per comunicare che anche lui si sentiva spaesato e provvisorio, non c’era più nessuno della sua famiglia e i rumori del negozio e del magazzino a volte erano inquietanti, soprattutto l’apertura e la chiusura della saracinesca facevano scaturire un specie di boato allarmante che spargeva il terrore nella comunità dei cuccioli in attesa.
-Quanto crescerà? - chiedevano i possibili acquirenti.
-Pensiamo possa diventare di media grandezza, più o meno come un golden retriever.
Ma il negoziante aveva intuito che la sua taglia sarebbe stata grande, anche di più, e non sarebbe stato facilissimo collocarlo.
Una sera di maggio, aveva quattro mesi, una coppia di mezz’età entrò e, abbagliata dalla sua bellezza, trattò sul prezzo e se lo portò a casa. I signori Camerlenghi vivevano a Vimercate, nell’hinterland milanese, in una villa circondata da un grande giardino e gli allestirono subito una cuccia vicino all’autorimessa. Avevano già avuto cani, l’ultimo era stato un pastore tedesco femmina che aveva fatto la guardia nel loro giardino per undici anni.
I Camerlenghi apprezzavano la presenza di un cane esclusivamente per la protezione della casa, perciò Rocky, così lo chiamarono senza sforzi di fantasia, fu sistemato all’esterno. La sera, quando la coppia ritornava dal lavoro, il cane felice correva incontro al furgone, saltava, faceva le feste, ma il tutto durava pochi minuti perché poi i Camerlenghi entravano in casa, lo chiudevano fuori e fino al mattino non uscivano più. Rocky capì che la sua presenza in casa non era tollerata e imparò a vivere la sua vita solitaria nella parte di giardino a sua disposizione dove poteva esplorare gli attrezzi dell’innaffiatura, controllare i bidoni dell’immondizia, dormire sotto la tettoia davanti alla cucina, rispondere ai cani del vicinato, ma la cosa che più lo divertiva era saltare da un muretto alto almeno un metro sul prato che aveva nel mezzo una comoda fontanella dove abbeverarsi a piacere. Il cucciolo voleva bene ai Camerlenghi, ma gli dispiaceva di stare poco con loro e il divieto di entrare in casa per accoccolarsi ai loro piedi almeno la sera gli dava malinconia, si era perciò rassegnato a guardare le finestre illuminate da fuori in attesa di una loro uscita per la spazzatura o per l’innaffiatura delle piante, in quel caso li scortava scodinzolando in attesa di una carezza o di una parola. La notte si accucciava tranquillo nella sua casetta sempre sperando che non venisse il temporale perché quella era proprio la cosa che lo spaventava di più. Aveva imparato a ripararsi dalla pioggia e anche dalla grandine, ma non era quello il problema, lo terrorizzavano i tuoni e i lampi, durante i temporali tremava come una foglia e gli pareva di morire dalla paura, le prime volte che era successo aveva provato ad abbaiare per chiamare i padroni e chiedere rifugio, ma non ci aveva ricavato nulla. Il padrone, dopo un tempo infinito, si era affacciato alla finestra della camera gridandogli con astio di smetterla di abbaiare e aveva richiuso sbattendo violentemente la finestra.
Così ragionava il Camerlenghi discutendo con la moglie: - Un cane è un cane, non voglio storie, una volta che ha cibo acqua e una cuccia basta e avanza. Rocky è già molto fortunato, non gli manca nulla e che la pianti di abbaiare come un forsennato per un tuono!
Così Rocky arrivò al primo anno di vita. Il veterinario aveva segnalato ai padroni che il cane con quei salti incontrollati si era lesionato i tendini delle ginocchia, sarebbe stato opportuno valutare il danno con un ortopedico. Ma ai Camerlenghi pareva esagerato rivolgersi a un ortopedico per cani, ancora tempo e soldi da sprecare!
Rocky era cresciuto esageratamente, alto 71 centimetri al garrese, un gigante, e robusto, pesava 56 chilogrammi. Lo guardavano ammirati ma dicevano: - E’ una bestia immensa, accidenti, chi se lo sarebbe aspettato! E quanto mangia! Certo è buono, questo sì, ma non si può portarlo in giro, è troppo grosso!
E fu così che anche durante l’estate Rocky veniva lasciato nella sua parte di giardino quando i padroni andavano in villeggiatura. Per il cibo e l’acqua veniva una volta al giorno un vicino che provava un certo timore ad accostarlo, per cui si limitava a visite di pochi minuti. Rocky scodinzolava felice quando lo vedeva e gli andava incontro ma l’uomo impaurito alzava la voce e cercava di allontanarlo in tutti i modi. Una volta che Rocky era riuscito ad avvicinarlo e a strofinarsi in segno d’affetto sulle sue gambe gli aveva sferrato inaspettatamente un calcio e il cane si era allontanato deluso.
Una sera di agosto il vicino, andando via di corsa, non fu attento alla chiusura del cancello che rimase semiaperto, quando Rocky se ne accorse fu incuriosito dalla novità e per la prima volta in vita sua uscì: non sapeva cosa fare e dove andare, il cancello aperto era stato semplicemente un invito, si guardò intorno e incominciò a seguire gli odori impressi sul terreno del viottolo e lungo le siepi che bordavano le case circostanti. Era buio e camminò, camminò strenuamente senza sapere dove si trovasse fino a che sfinito si sdraiò in un prato in aperta campagna e si addormentò. Al risveglio si mosse ma non sapeva che direzione prendere, ad un tratto si trovò a dover attraversare uno stradone pieno di veicoli, all’improvviso fu assalito da rumori assordanti simili a tuoni e il terrore lo spinse a correre all’impazzata di qua e di là, suscitando la reazione degli automobilisti e dei passanti che si misero a gridare: c’era chi scappava, chi lo rincorreva, chi suonava il clacson, chi gli lanciava addosso oggetti pesanti forse per bloccarlo, insomma si scatenò un baccano infernale che stravolse Rocky. Impaurito e privo di punti di riferimento, abbaiava disperato e cercava una via di fuga correndo all’impazzata e scansando a stento le automobili della Padana Superiore.
Arrivò il camion dell’accalappiacani e per Rocky a quel punto la paura si trasformò in terrore, lo circondarono gli lanciarono addosso getti violenti di acqua ghiacciata con due pompe, infine con un lungo gancio di ferro che terminava con una specie di cappio lo imprigionarono per il collo e lo trascinarono sul camion diretto al canile. Non era finita, sul camion c’erano altri cani ammassati, erano fradici, affamati, e alcuni rabbiosi mostravano i denti e Rocky, pur essendo il più grosso, cercò di rendersi invisibile per evitare gli assalti dei violenti. Era infelice, al limite della disperazione, ma aveva recuperato parte del suo controllo e in canile seppe mantenersi calmo, i latrati delle centinaia di cani racchiusi nei recinti la dicevano lunga su ciò che gli sarebbe potuto succedere. Dopo la visita del veterinario, vista la sua mole gigantesca, lo castrarono subito per evitare accoppiamenti indesiderati e momentaneamente lo misero in una gabbia da solo, non lo trattavano male e gli davano regolarmente da mangiare e da bere. Lui era tranquillo e non abbaiava quasi mai, si guardava intorno con curiosità e cercava di capire come andava il mondo nell’attesa di una parola buona o di una carezza.
Un pomeriggio arrivarono davanti alla gabbia una signora con una ragazza, lui sentì subito un profumo buono e il suono di voci gentili, subito attratto si alzò in tutta la sua statura appoggiando le zampe anteriori sulla rete, voleva guardarle bene negli occhi: non abbaiò e continuò a fissarle inclinando la testa di lato e scodinzolando dalla gioia, come in attesa, qualcuno era interessato a lui.
La donna disse al volontario di aprire la gabbia, aveva deciso che voleva conoscerlo al di fuori del recinto. - Questo sì che è un buon inizio! – pensò il cane.
Lo misero al guinzaglio e tutti e tre andarono a fare una passeggiata nel prato, le due donne lo guardavano con curiosità e simpatia e lo accarezzavano pure, una meraviglia, lui non sapeva camminare al guinzaglio ed era disorientato, ma non voleva deluderle perché gli piacevano tantissimo e cercò di assecondare i loro movimenti e i loro comandi come poteva. Quando lo rimisero in gabbia le due donne lo salutarono con una gentilezza mai conosciuta, si capiva che erano davvero buone e forse interessate a lui. La notte fu lunga.
Il giorno dopo tornarono e c’erano anche due uomini: tutta la famiglia voleva conoscerlo. Era bello trovare finalmente degli amici! Poi vennero a prenderlo con un’automobile molto spaziosa che comprendeva un grande posto per lui dietro e lo portarono in una casa di città veramente bella, piena di tappeti sui quali lo lasciarono camminare tranquillamente, senza sgridarlo.
La mamma gli parlava con una voce amichevole e gli diede il benvenuto dandogli il nome di Artù e spiegandogli che gli si addiceva perché era stato un re nordico molto importante e buono. Ne fu orgoglioso e felice: finalmente una vita nuova in una famiglia che sapeva amare, avrebbe imparato tante cose che al momento non conosceva e non capiva bene, ma sapeva che presto le avrebbe capite tutte perché la voce della mamma era quella del cuore.
E’ passato tanto tempo, sono in salotto accucciato davanti al camino, la mamma si muove per la stanza e io seguo tutti i suoi movimenti con gli occhi e ascolto i suoi discorsi: - Artù, tra poco usciamo per una piccola passeggiata, andiamo piano, vedrai che ce la fai tanto non ci corre dietro nessuno, prima però la pappa che preferisci…coraggio, se fossi un uomo saresti un centenario, ma nessuno ci crederebbe guardandoti, …caro, vecchio amico…
La sua voce è musica, mi ha anche dedicato una canzone “Artù - Lebù”, incredibile, certo che è una mamma fantastica, mi vuole un bene dell’anima.
Ho sempre più paura di cadere, le zampe posteriori non reggono più e a volte cado, ma mi aiuta sempre a rialzarmi e se ho l’affanno mi accarezza e mi fa riposare.
Ci guardiamo e una corrente di sollievo passa da me a lei e viceversa.
E non c’è bisogno d’altro.
Che amore stupendo, e che "umano" meraviglioso!
RispondiEliminaM
Grazie M
EliminaAnnalisa
L'ho conosciuto e l'ho amato. Indimenticabile. R
RispondiEliminaTi ringrazio.
EliminaAnnalisa
Delicato, profondo e commovente. Ornella
RispondiEliminaGrazie, Ornella.
EliminaAnnalisa
Un racconto speciale d'amore per sempre. Mery
RispondiEliminaGrazie, Mery.
EliminaAnnalisa
Cane dolcissimo. ..un gigante buono.Da questo racconto potrebbe nascere un bellissimo libro per bambini e ragazzi.
RispondiEliminaArtù eri veramente bello!
Lucrezia
Cara Lucrezia, raccolgo il tuo consiglio e ti ringrazio. Annalisa
EliminaDevi scrivere racconti e un romanzo, te lo dico da tempo, hai la mano fatata e una sensibilità rara. A. S.
RispondiEliminaSei davvero incoraggiante! Grazie.
EliminaAnnalisa
Non ho cani, ma amo gli animali e questo racconto fluido e ben scritto mi ha emozionato. Clara
RispondiEliminaGrazie, Clara.
EliminaAnnalisa
Oh Annalisa,c'è tutto il mistero dell'amore purissimo che lega i nostri animali a noi umani,e viceversa.
RispondiEliminaCara Stefania, ti ringrazio tanto. Annalisa
EliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaRacconto toccante che prende dentro, ho due cani e un gatto...
RispondiEliminaGrazie.
EliminaAnnalisa
Una simbiosi bellissima tra il cane e la sua "mamma" descritta con delicatezza e amore. Vittorio
RispondiEliminaCaro Vittorio, mio fedele lettore, ti ringrazio.
EliminaAnnalisa
Coinvolgente e pieno di grazia. Susy
RispondiEliminaGrazie, Susy.
EliminaAnnalisa
Artu'era il Gigante Buono e sapeva scegliere i suoi amici. Yasky era uno di quei pochi che aveva il coraggio di avvicinarlo e non c'è altro da scrivere sul loro comunicare amicizia, rispetto e pari dignità. Ed è prerogativa animale seguire d'istinto cerimoniali e protocolli nelle loro relazioni sociali. L'amore puro e semplice allo specchio umano, contrario, riflesso di educazione e cultura di padroni. Amare la natura E' il suo rispetto e tradizione di inclusione ed esclusione di aggressività gratuita come quella umana. Sono stati buoni amici, Artù e Yasky e li vedo ancora felici fra prati e boschi in una natura libera e senza ostacoli umani. Mi commuovo, quando in sogno li rivedo, e rido, al mio risveglio per il ricordo di un qualcosa che dura e oltrepassa limiti e confini senza gabbie, spranghe e catene...so che vegliano, i cani, sulla nostra memoria. Massimo - Brava, Annalisa hai reso il senso di legami forti e l'affetto che sconfina la realtà, assente seppur presente.
RispondiEliminaCaro Massimo, il tuo commento mi ha commosso e ti ringrazio tanto. Onore a Yasky e Artù. Con affetto.
EliminaAnnalisa
Un bellissimo racconto, all'altezza di Artù. Ricordo la prima volta in cui venni a prendere il caffè e lui, dopo avermi girato intorno e ben ben studiato, venne ad appoggiare la testa sulle mie gambe. Mi conquistò subito!
RispondiEliminaCarissima amica, ricordo tutto e ti ringrazio.
EliminaAnnalisa
Bella scrittura che sa raccontare i sentimenti con eleganza e misura. Gio
RispondiEliminaGrazie, Gio.
EliminaAnnalisa
La dolcezza, la lealtà e la regalità racchiuse in un ritratto meraviglioso che va dritto al cuore, Artù era il nostro gigante buono e saggio. Grazie Mamma.
RispondiEliminaCostanza
Grazie a te, mio tesoro lontano ma vicino.
EliminaIl tuo racconto mi ha commosso profondamente, e puoi immaginarlo, ma è anche un piccolo gioiello letterario: fluido,delicatp, semplice ma con una bella struttura. Grazie per questo regalo. Daniela
RispondiEliminaCara Daniela, ti ringrazio del bellissimo commento. Annalisa
RispondiEliminaUn dolcissimo ricordo di Artù che lo mantiene vivo anche attraverso la scrittura. C.V.
RispondiEliminaGrazie Cinzia.
EliminaAnnalisa
Ho letto con emozione e nodo in gola il tuo racconto: grazie. M.T.
RispondiEliminaGrazie a te.
EliminaAnnalisa