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domenica 8 maggio 2022

IL MALINTESO, DI ALBERT CAMUS (riduzione teatrale)

adattamento  di Sandra Romanelli

 


 

Teatro PIME  via Mosé Bianchi ,94

Lo spettacolo

L'opera, rispecchia in pieno il pensiero filosofico di Camus e rientra nel ciclo dell’Assurdo. Narra una  tragedia spaventosa che si risolve in un delitto quasi inevitabile. Le cause e gli effetti del dramma sono principalmente:

- l’incapacità a comunicare. Le parole semplici e sincere non dette da Jan:    “Eccomi, sono io, sono vostro figlio”. Per Camus la sincerità vince sulla falsità. È la menzogna, infatti, la causa del tragico malinteso che porterà Jan, alla propria condanna e la madre e la sorella a un delitto ineluttabile;


- il desiderio utopistico di Marta di raggiungere la bellezza, simboleggiata dalle terre del mare e del sole e la voglia di evasione da un “paese d'ombra” (come grido di Rivolta);

- l'indifferenza attonita della Madre:“Non ho più pensieri, e tanto meno pensieri di rivolta”. Alla  fine, conscia di aver commesso il delitto più esecrabile per una madre, ma certa di un amore materno mai sopito, deciderà di compiere l'atto estremo e lo stesso farà Marta, come moto di ribellione per il gesto della madre che le impedirà di realizzare insieme a lei, il suo sogno di felicità.               \Marta: “ Laggiù, in quel paese difeso dal mare, io non giungerò mai”.

- il senso di solitudine di Maria che invoca, inutilmente aiuto, per l’insostenibile dolore della perdita della persona che ama, ma riceve un deciso e desolante rifiuto.

La solitudine è una condizione, ma pure uno stato d’animo di cui sono pervasi anche gli altri personaggi.

Trama

 Marta e la Madre, gestiscono un albergo in una località grigia e piovosa della Boemia. Jan, fratello e figlio delle due donne, vive felicemente oltreoceano; ha lasciato giovanissimo quella piccola città e ora, dopo tanti anni di lontananza,  torna a casa portando con sé la moglie Maria, simbolo d'amore e felicità. Trova Marta e La Madre, vedova, ma né la sorella né la madre lo riconoscono, così egli affitta una camera da loro fornendo false generalità. È molto ricco, è tornato per aiutarle nei loro progetti, desidera scoprire cosa può renderle felici. Vuole però agire in incognito, contro il parere di Maria, la moglie, che ritiene assurdo il comportamento del marito e vorrebbe che Jan rivelasse subito la propria identità.                                                                                                  Maria: “Non c’è che un mezzo per farsi riconoscere, dire Eccomi! E lasciar parlare il cuore!” Ma,  con tristezza e con un senso di funesto presagio, lei dovrà subire la decisione di Jan di lasciarla, per una notte, sola, in un altro albergo.           Jan: “Mi affidi per una notte a mia madre e a mia sorella, non è poi così rischioso”.                                                                                                  Invece il rischio c'è ed è molto grande, perché Marta e la Madre si guadagnano da vivere affittando camere a uomini ricchi e soli che poi uccidono, per derubarli. Le due donne, ignare che quel cliente è il fratello/figlio che le aveva lasciate ancora giovinetto, compiono il loro ennesimo, tragico delitto. Il mattino seguente, quando le due donne leggeranno sul passaporto il nome vero del cliente, scopriranno la verità e scoppierà il dramma intimo e umano in tutta la sua tremenda intensità.

Note di drammaturgia

L’adattamento del testo con la riduzione da tre a due atti non è stata una cosa semplice perché era importante mantenere una sequenzialità nei fatti e nei dialoghi, pur togliendo tutto quanto poteva appesantirli e rendere troppo complessa la recitazione. La difficoltà più grande, però, è stata, senza dubbio quella, molto particolare (e qui me ne assumo in pieno la responsabilità), di decidere  l’inserimento di una Domestica: da un Vecchio Domestico, che garantisce una puntuale ma silenziosa presenza, a una Domestica che dialoga con Jan, quando interpreta questo preciso ruolo; ma soprattutto, che incarna, nel finale, un ruolo molto più importante: quello della coscienza che parla al pubblico e                commenta gli atti criminali delle due donne; loro però non la sentono: è come  fosse una voce che parla dentro di loro. Ma quali parole mettere sulla bocca di un’entità così astratta, seppur profonda, senza incorrere in un errore deplorabile: quello di  sconvolgere la scrittura così intensa di Camus?

Nell’ampia  stesura drammatica, si incontrano parti di dialogo che, pur essendo espresse da un preciso personaggio, sono, in realtà, riflessioni e quindi potrebbero essere formulate anche dalla domestica che sa ciò che accade da anni in quell’albergo, perché sempre vigile e presente, seppure indifferente agli intrighi delle padrone e a ciò che accade sulla scena del delitto. Da qui il doppio ruolo di Domestica-coscienza.

 

Riflessioni

il mio primo incontro con l’opera di Albert Camus avvenne molto lontano nel tempo. La  prima volta che ebbi l’opportunità di leggere questo dramma rimasi affascinata, anzi oserei dire “folgorata” dalla scrittura così intensa, incisiva; dai personaggi così ben definiti, nonostante tutta la loro complessità; dalla trama di questa tragedia moderna che nasce dalla difficoltà di comunicazione tra i personaggi e dall’incapacità di Jan, il figlio, di trovare un linguaggio semplice, per rivelarsi; dall’assurdità di preferire la menzogna alla verità; dai grandi sogni, oggettivamente impossibili a realizzarsi di Marta, la sorella.  Camus entrò subito a far parte dei miei autori prediletti tra i quali i grandi tragediografi del teatro greco.  In realtà, pure Il Malinteso presenta i tratti essenziali della tragedia greca ed è ricco del pathos di cui la stessa è pervasa. Anche lo schema narrativo, come pure il tragico finale che mette in luce il disagio dell’uomo nella società, sono gli stessi.

Dopo quella prima lettura fui spettatrice delle altre opere teatrali dell’autore: I Giusti (proprio in questa stessa struttura dove rappresentiamo il nostro spettacolo), Caligola e Lo stato d’assedio,  presentate da differenti compagnie, in vari teatri; mai mi è capitato di assistere a Il Malinteso, un’opera non troppo rappresentata ma che ha lasciato il segno laddove ciò è avvenuto.

Qualche mese prima dell’inizio della pandemia, Albert Camus tornò ad essere presente nei miei desideri di rilettura e in un possibile futuro progetto. Volevo porre all’attenzione della compagnia di cui faccio parte, proprio  quel dramma che, dopo la prima lettura, non avevo mai dimenticato e mi sembrava fosse arrivato il momento giusto per rappresentarlo.

Purtroppo non fu così perché, nonostante l’accettazione del testo e la condivisione con gli attori di uno studio tanto complesso,  l’arrivo del Covid-19 sconvolse i progetti del mondo intero e pure i nostri subirono un inevitabile arresto. Il lockdown chiuse tutti nelle proprie case, in attesa di tempi migliori. Ma  cosa ci poteva essere di meglio da fare, in quel frangente, se non quello di dedicarci con calma e passione soprattutto alle letture? Ed ecco che Camus, grazie alla lettura dei suoi romanzi, tornò ad accompagnare le mie lunghe giornate, confinata tra le mura di casa. Presi a leggerli con lo stesso impeto e la medesima “sete” che prova Marta, lontana da quel mare che desidera tanto raggiungere.

La lettura di Lo straniero  mi portò a ricordare alcune scene del film interpretato da Marcello Mastroianni; ma la sorpresa maggiore fu scoprire La Peste, un  testo molto bello, illuminante, scorrevole, pervaso da un concreto sentimento di solidarietà. Cominciai a leggerlo con avidità.

L’arrivo della peste sconvolge la città di Orano, ma ciò che si evince da quella lettura è che tale epidemia è arrivata non solo per sconvolgere la vita delle persone, ma piuttosto per risvegliare la coscienza degli uomini, per far comprendere loro che solo chi è solidale con gli altri, può avere una chance in più per salvarsi. Cosa ci poteva essere di più simile a quello che stavamo vivendo noi, in quella lettura per nulla pesante, che racconta una storia tanto coinvolgente e termina con un messaggio confortante?     

Per fortuna, ogni inizio ha pure una fine e infatti, appena il terrore del contagio da Covid 19 e le misure messe in atto dall’emergenza sanitaria si sono allentate, anche noi siamo tornati a riprendere in mano il nostro progetto e ad arrivare a rappresentarlo.

Vorrei  terminare questa riflessione con due meriti che sento di attribuire alla scelta di questo testo:

- la constatazione che, come si evince in Il Malinteso, mentre la sincerità e la scelta di un linguaggio semplice  nella comunicazione di tutti i giorni, sono l’unica strada percorribile, la menzogna complica la vita, imprigiona in un vortice di negatività  ed è destinata, inevitabilmente, a soccombere alla verità.

- aver avuto la possibilità, in un piccolo gruppo, di metterci intorno a un tavolo a commentare un’opera letteraria, di discutere sui vari aspetti e sulle problematiche che rappresenta e di esprimere e confrontare le nostre differenti opinioni.


2 commenti:

  1. Grazie Sandra, per il lavoro di ricerca e di riscrittura di questo testo così complesso ma così interessante, che abbiamo apprezzato nonostante le difficoltà che abbiamo affrontato per metterlo in scena, covid compreso. Anch'io ho letto "La Peste" durante l'isolamento e mi sono meravigliata di quanto i comportamenti, le emozioni dei protagonisti rispecchiassero quello che tutti noi stavamo vivendo.
    Questo lavoro, dopo i primi momenti di incertezza mi ha preso, mi ha emozionato e sicuramente è un'esperienza importante di crescita, per me. Grazie.

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    1. Grazie, Franca, per le belle parole e per la condivisione.
      Sandra

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