a
cura di Sandra Romanelli
Sulpicia
di Pietro di Francesco degli Orioli (Siena1458-1496)
(The Walters Art Museum, Baltimora). |
Sulpicia, (I secolo a. C.) è stata la prima e unica poetessa
romana dell'età classica della quale si siano conservati dei componimenti.
Poiché nella produzione letteraria latina compaiono esclusivamente
autori maschili, si è sempre ritenuto
che alle donne non fosse concesso di leggere e scrivere, ma in realtà non fu
così per tutte. Nella storia della letteratura latina sono comunque assai
scarse le figure di donne colte; è conosciuta una sola poetessa di elegie,
vissuta nell'età di Augusto, Sulpicia.
“Alla donna il silenzio reca grazia” aveva scritto Sofocle e i romani condividevano quest' opinione:
tacere, per i romani, come per i greci era una virtù, un dovere delle donne.
Non a caso, a Roma, ogni anno veniva
celebrata Tacita Muta, la dea del Silenzio, con un rito
propiziatorio che aveva lo scopo di ottenere la protezione di Tacita e chiudere
bocca alle maldicenze. I romani ritenevano che il dono della “parola” (di cui
andavano molto fieri gli oratori e i maestri di eloquenza per dimostrare le
loro tesi in pubblico e nella lotta politica), non era una qualità femminile,
in quanto, secondo loro, per leggerezza, la donna non faceva buon uso
della parola.
Oltre a Tacita -rappresentata con un dito sulla bocca- un'altra
divinità romana costretta al silenzio era Angerona, simbolo della
discrezione e dell'obbedienza
Diversamente, Aius Locutius, impersonava il dio della Parola,
l'uomo capace di esprimersi, di comunicare il proprio pensiero e al quale si
poteva dare credito.
Sulpicia visse verso la fine del I sec. a C., l'epoca di Augusto,
definita aurea o classica, periodo di massimo splendore della
letteratura latina. Augusto, infatti, amava circondarsi di poeti e letterati
favorendo le lettere e le arti.
La giovane poetessa era figlia di Servio Sulpicio Rufo, oratore, e
di Valeria, sorella di Marco Valerio Messalla Corvino, in gioventù compagno di
studi ad Atene di Cicerone, in seguito, tribuno militare (combattè a Filippi
con Bruto e Cassio e il poeta Orazio). Egli, oltre alla sua partecipazione alla
vita pubblica, unì un grande interesse per le lettere e le arti. Fu lui stesso
un letterato e princeps senatus; fondò un gruppo, noto come il circolo
di Messalla, di cui fecero parte Tibullo, Lìgdamo e il giovane Ovidio.
Messalla divenne tutore di Sulpicia ancora fanciulla e fu così che
lei, grazie allo zio, potè frequentare un ambiente di intellettuali, favorevole
a sviluppare le sue capacità poetiche. Scrisse poesie d'amore, le uniche
scritte da una donna e giunte fino a noi, solamente perché inserite nel “Corpus
Tibullianum”.
La prima poesia è una dichiarazione d'amore, sentimento che la
giovane non vuole nascondere.
III 13 - È giunto amore
È giunto amore finalmente. Nasconderlo
sarebbe vergogna assai più grave che svelarlo.
Commossa dai miei versi, ispirati dalle Muse,
Venere lo portò a me,
tra le mie braccia compì la sua promessa.
I miei peccati li narri chi si dirà non ebbe i suoi.
Io quasi non vorrei neppure scriverli:
prima di lui temo li legga un altro.
Ma giova aver peccato. Mi disturba
atteggiare il mio volto alla virtù.
Si dirà che son degna di lui, e lui di me.
È per Cerinto che batte il suo cuore, ma ora che si prepara a
festeggiare il suo compleanno, lo zio Messalla vuol condurla fuori Roma, in
campagna, dove non potrà trascorrere il suo tempo con lui.
III 14 Un compleanno orribile
Ecco un orribile compleanno, che
dovrò trascorrere tristemente
senza Cerinto, nel tedio della
campagna.
Vi è qualcosa di più amabile della
città? Può forse essere più adatta a una fanciulla
la campagna e il fiume gelido che scorre nell’agro Aretino?
Suvvia Messalla, non preoccuparti per me.
Non sempre, parente mio, sono tempestivi i viaggi.
Anche se non posso scegliere mi conduci via,
io lascio qui anima e sentimenti.
Ma passato l'incubo del viaggio, Sulpicia potrà festeggiare il suo
dies natalis con l'amato Cerinto.
III 15 Pericolo scongiurato
Lo sai che il triste viaggio è scongiurato
per la tua fanciulla? Potrà passare a Roma il compleanno.
Celebriamolo tutti, questo giorno,
che ora, forse, ti giunge inaspettato.
Sulpicia teme il tradimento del suo amato con una prostituta.
“Abbi a cuore la toga di una sgualdrina” dice. Nell'antica Roma la toga
la indossavano solo gli uomini, le prostitute e le schiave. Le altre donne
indossavano la stola.
III 16 Tradimento
Mi piace tutto quanto ti permetti senza darti cura di me
eviterò così di cadere in fallo all'improvviso come una
stolta.
Abbi pure a cuore la toga di una sgualdrina,
col suo paniere appesantito,
più di Sulpicia, figlia di Servio.
Ma c'è chi si preoccupa di me, soprattutto s'addolora
che al letto di un uomo ignobile mi conceda.
La giovane è malata e teme che
lui non ne soffra. Vorrebbe
guarire ma non è certa dell'amore di Cerinto.
III 17 Che importa guarire?
Hai veramente a cuore, Cerinto, la fanciulla amata,
ora che la febbre tormenta il mio
corpo ammalato?
Ah, se non pensassi che anche tu lo
vuoi
io non potrei sconfiggere il mio
male.
Che m'importa guarire se tu puoi
sopportare i miei mali con animo
indifferente?
Molti si sono chiesti chi fosse Cerinto, ma non è dato saperlo con
certezza. Forse era di una classe sociale inferiore rispetto a quella di
Sulpicia; non a caso, nell'elegia III 16, lei si definisce Servi filia
Sulpicia. Era, di certo, una donna
emancipata per l'epoca ed in più, grazie alla protezione di Messalla, lo zio
tutore, e alla fortuna di frequentare un ambiente di letterati, poté scrivere e far giungere i suoi scritti,
in tal modo, fino a noi.
I versi di quest'ultima elegia ci
rivelano l'ardente amore di una giovane fanciulla che non dubita, anzi è certa
della sua bruciante passione per
l'innamorato e per questo si
rimprovera di non aver avuto il coraggio
di mostrargli quanto sia forte e intenso il sentimento che nutriva per lui.
III 18 L'errore
Luce mia, possa io non essere
più la tua bruciante passione,
come credo d'esser stata nei
giorni da poco passati,
se in tutta la mia giovinezza
mai ho commesso un errore così sciocco,
del quale, lo confesso, mi
sia maggiormente pentita,
più di quello d'averti
lasciato solo la notte scorsa,
per volerti nascondere il
desiderio che ho di te.
Le prime notizie con gradevoli
commenti riguardanti questa giovane poetessa ci vengono dal filologo tedesco, traduttore e bibliotecario, Christian Gottlob Heyne
(1729-1813), che nel 1755 pubblicò il Corpus Tibullianum.
La definì dolcissima fanciulla,
bellissime e soavissime le sue elegie.
Altri studiosi, invece, avevano
attribuito allo stesso Tibullo queste sei Elegie inserite nel Corpus Tibullianum, preferendo supporre
l'omosessualità dell'autore.
Negli anni Novanta, la riscoperta di Sulpicia ci è pervenuta da
Carol Merriam, americano, professore con specializzazione in lingua e
letteratura latina, che nel 1991 pubblicò un articolo riguardante la poetessa
romana.
Oggi, grazie alle ricerche di Heyne e
Merriam, possiamo apprezzare la voce di Sulpicia, giunta fino a noi, fatto
eccezionale per una donna romana dell'età classica.
Curiosità: La Donna Romana ai tempi di Augusto
È importante ricordare il cambiamento nella condizione femminile
che avvenne sotto la dominazione imperiale. Augusto emanò nuove leggi che
limitavano il potere dei mariti sui beni delle mogli e le donne romane
cominciarono a godere di diritti e privilegi assolutamente impensabili fino ad
allora.
- La prima trasformazione avvenne con il matrimonio: la donna
cessava di trasferirsi nella famiglia del marito, in stato di assoluta
sottomissione. I matrimoni non erano più sottoposti a complessi riti nuziali,
ma era sufficiente che gli sposi decidessero di vivere insieme con l'intenzione
di essere marito e moglie (maritalis affectio). Se la convivenza veniva
meno il matrimonio poteva essere sciolto. In questo caso era consentito anche
alla donna di divorziare, mentre prima era solo l'uomo che poteva ripudiare.
Il matrimonio, anticamente cum manu (per manu
s'intendeva l'autorità), prevedeva i
massimi poteri del marito sulla moglie, compreso quello di ucciderla in caso di
adulterio, o se avesse bevuto vino;
diventa sine manu: la donna acquista più diritti e la potestà maritale
avrà un peso meno eccessivo sulla vita della moglie.
Nel matrimonio cum manu tutti i beni della moglie passavano
nel patrimonio del marito; in quello sine manu si poteva ritrovare una
specie di separazione dei beni: solo la dote entrava nel patrimonio del marito,
il resto dei beni non inseriti nella
dote rimanevano di sua proprietà o, in alcuni casi, nel suo peculium. Il peculium prevedeva il godimento e
l'amministrazione di tali beni, pur non avendone la proprietà.
La donna ottiene lo status di sui iuris, una
conquista molto importante per l'epoca, ma non raggiungerà mai lo status dell'uomo,
soprattutto per quanto riguarda i figli: la patria potestas o la tutela dei
minori, dopo la morte del padre, saranno sempre poteri attribuiti solo in linea
maschile.
Ragazza che scrive, affresco romano |
In quel periodo, i cambiamenti positivi verso la condizione
femminile, permisero però alle donne grandi incredibili conquiste. Vi furono
donne letterate come Sulpicia, donne che
intrapresero la professione medica e più tardi apparvero anche donne avvocato.
Chiaramente gli antichi Romani, salvo rare eccezioni, non vedevano
l'emancipazione femminile con benevolenza; gli scritti di Giovenale, poeta
satirico latino (55/60-135 circa d.C., ne danno conferma (VI Satira contro le
donne).
Dopo la caduta dell'Impero Romano e con l'avvento del
Cristianesimo la donna perse comunque i diritti acquisiti in età imperiale,
soprattutto la facoltà di divorziare e di sottrarsi all'autorità maritale.
Riferimenti Bibliografici
Tibullo Elegie – Oscar
Mondadori
Elegie - Albio Tibullo e gli
autori del “Corpus Tibullianum”- Zanichelli editore
Eva Cantarella - Passato
prossimo – Donne
romane da Tacita a Sulpicia – ed. Feltrinelli
Francesca Cenerini - La donna romana.
Modelli e realtà - ed. Il Mulino
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