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martedì 19 gennaio 2021

L’ACETO

 (di Mimma Zuffi)

L’ACETO


Cenni storici

L’aceto ha storia antica quanto il vino, trattandosi di una sua trasformazione. La sua nascita si colloca, dunque, nella preistoria, in data non ancora accertata.

È perciò del tutto naturale trovarlo nelle civiltà dei popoli mediterranei produttori di vino. Ebbe due funzioni: ottimo insaporitore e buon dissetante. Come vari altri alimenti, ebbe applicazioni rituali e fu circondato di significati simbolici. I popoli delle prime civiltà, per esempio, ne mettevano una coppa in tavola affinché i commensali vi potessero intingere il pane in segno di buon auspicio. Alla frase biblica: “E Booz disse a Ruth: quando sarà l’ora vieni qua e intingi il tuo boccone nell’aceto”, si possono così accostare quel vaso greco detto oxybaphon e quella coppa romana nota come acetabulum che avevano uguale funzione.


Piaceva, poi, molto. Gli Ateniesi per esempio, giunsero a chiamarlo dolcezza. E ugual cosa fece Plinio il vecchio. Furono ancora i Greci a dare  gran sviluppo alla produzione di aceti aromatici, i cui ingredienti andavano dal pepe al miele e a ogni altra cosa reputata idonea ai gusti del tempo.

Presso i Romani originò la categoria dei cibi detta, appunto, acetaria. in pratica, verdure e legumi conditi con aceto e sale, e senz’olio. fu poi protagonista di molte salse, come lasciò scritto Marco Gavio Apicio, nonché ingrediente di non poche preparazioni.

In unione ad acqua, diede vita alla posca, una sorta di vinello acido molto dissetante. A tale scopo, così come per ragioni igieniche e poi di più agevole trasporto rispetto al vino, entrò nella ragione alimentare militare.

Uguale, se non maggiore, importanza ebbe nel medioevo e nei secoli che seguirono. Le sue virtù lo fecero persino protagonista di un popolarissimo prodotto medicinale: l’aceto dei quattro ladri o sette, secondo le versioni. Gli si attribuiva la proprietà di tener lontane la peste e altre malattie infettive.

Raramente lo si usava allo stato naturale. Castor Durante da Gualdo, medico di Sisto V ne “Il tesoro della sanità” nel 1565, ricordava che “il migliore è quello fatto di ottimo vino e che dentro ci siano le rose e sia vecchio “. Aggiungeva: ”Se non si pigli mai a digiuno, si usi moderatamene e non sia troppo agro e si faccia bollir seco l’uva passa, ovvero si faccia bollir anisi e seme di petrosello e di finocchio, che così si leva ogni sua malizia, e finalmente vi si aggiunga un poco di zuccaro”.

Analoghe combinazioni sono proposte, quasi un secolo dopo, da Vincenzo Tanara ne “ l’Economia del cittadini in villa”. Aggiunge, poi, che “si fanno dell’aceto diversi addobbi, salse marinate, come si dirà…rende altresì gustosa ogni vivanda, eccita l’appetito, e perciò pare che senza aceto, mediante l’insalata, non si possi cominciar la cena, et ogni frutto, sì come ogni carne, nell’aceto e sale si consrva”.

I tempi moderni non cancellarono tali ultramillenarie tradizioni. Si limitarono a semplificarle e razionalizzarle.

Tutt’oggi si producono eccellenti aceti di vino aromatizzati con i petali di rose oppure facendo uso di lamponi, per non parlare di dragoncello o altre erbe aromatiche.

Inutile dire che anche la tecnica di produzione ha compiuto progressi quanto mai rilevanti, così che l’aceto continua ad essere protagonista a pieno titolo di moltissime preparazioni di pressoché ogni cucina del mondo.

Che cos’è l’aceto

 

Secondo la legislazione italiana l’aceto o agro è il prodotto derivante dalla fermentazione acetica di liquidi alcolici di origine agricola ati al consumo alimentare.

La stessa legge precisa che deve presentare un’acidità totale, espressa in acido acetico, compresa tra i 6 e i 12 grammi per millilitri 100, una quantità di alcol etilico non superiore all’1,5 per cento in volume, c’è tuttavia una deroga che eleva tale limite al 4 per cento per gli aceti di vino o da frutta; eventuali altre sostanze o elementi nelle misure di volta in volta fissate dai ministeri dell’Agricoltura e della Sanità.

Ne emerge quindi, chiaramente che oltre al tradizionale aceto di vino la legislazione consente oggi anche la produzione di aceti ottenuti da liquidi alcolici di origine agricola, in pratica larga parte della frutta molto ricca di zuccheri, come i fichi, nonché prodotti anch’essi ricchi di zuccheri come il miele.

 Il metodo familiare è quanto mai semplice. Basta esporre il vino al contatto con l’arii. Nel giro di breve tempo subisce la fermentazione acetica e si trasforma. Sempre che il vino non abbia elevata gradazione alcolica, tale da impedire l’azione del Mycoderma, o non contenga conservanti o battericidi.

Sul piano industriale, i metodi sono anche qui numerosi e, ovviamente, piuttosto complessi sia per ragioni di qualità organolettiche, in primo luogo il colore e il sapore.

Tra i metodi più diffusi si può ricordare il metodo ad aerazione forzata o acetificazione sommersa. Inizia con la diluzione del vino con acqua entro un apposito serbatoio, l’aggiunta di una coltura di acetobatteri e l’immissione di aria. Ha quindi luogo la fermentazione acetica, controllata dal punto di vista termico.

 Dopo alcuni giorni, la fermentazione si conclude e l’aceto, allo stato grezzo, è pronto.  Una volta avviato il processo, si lascia nel serbatoio un terzo circa dell’aceto prodotto, reintegrando i due terzi con nuovo vino diluito. E’ così possibile ridurre considerevolmente i tempi di produzione. Un aceficatore della capacità di 200 ettolitri può, infatti, produrre da 80 a 90 ettolitri di aceto al giorno.

Le bottiglie dell’aceto destinato al consumo diretto sono sigillate con l’apposito contrassegno di stato.

 IMPIEGO

Come ingrediente lo si trova in diverse salse classiche, nella preparazione della senape, nei tipici piatti all’aceto come il pollo, in non poche ricette sia di verdure sia di carni. Ha il suo trionfo nell’agrodolce, dove impera da oltre un paio di millenni.

 

 

 

 

 

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