
di Marco Moretti
Mancavano
parecchie ore all’appuntamento, Mario fece rotta verso casa di Giuseppe sulle
orme della sera prima. Dal buio al sole, eppure si muoveva nell’ombra: i
pensieri non erano a colori, vedeva grigi i ricordi e i dialoghi, non percepiva
la profondità e i contorni sfumavano. Nonostante il caffè dovette ammettere che
il processore mentale faticava nell’assemblare
i dati raccolti e dare il giusto peso alle persone appena conosciute. Serviva
una luce più potente che rendesse visibili gli angoli ancora immersi nel buio.
Da
Giuseppe nessuna novità, lui riposava e Jorge passava annoiato dalla TV e le
riviste allo smartphone.
-
Sempre con quell’aggeggio tra le mani. –
disse Mario – Te lo metterò nella bara, così potrai rompere anche dal paradiso.
-
Nessuna voglia di andarci lassù, troppo
noioso. Poi sei tu quello che non coltiva le relazioni, io devo pensare alle
mie ragazze rimaste a casa.
-
Il Casanova delle Cicladi, dimenticavo.
Comunque stasera penserai tu a Giuseppe, io ho un impegno.
-
Non hai ancora finito di fare domande e
cacciarti nei guai?
-
Per i guai abbiamo tempo, mi vedo con
una donna.
-
Bastardo, con tutto il rispetto per tua
madre.
-
A quanto ho capito è pure Greca.
-
Confermo, chi ti ha messo al mondo non
ha colpe. Mi auguro tu vada in bianco.
-
Corri troppo, è solo il primo appuntamento.
-
Primo e ultimo, ci scommetto una cena
nel centro storico. Più tardi prenoto il ristorante per il nostro ritorno.
-
A patto che non andiamo in una delle tue
bettole da quattro soldi.
Mario
evitò per un soffio la pesante rivista di viaggi lanciata con forza, si eclissò
nella camera e chiuse la porta a chiave.
Stabilita
una tregua, i due consumarono una cena leggera in compagnia di Giuseppe: Mario
e Jorge non dovettero sprecare energie per allentare la tensione tipica di
momenti simili. L’uomo era un sacco vuoto e floscio, abbandonato sulla sedia:
portava le posate alla bocca con gesti al rallentatore, ruminava il boccone per
minuti. Fissando un punto che solo lui poteva vedere. Jorge provò a metterla
sull’ironia.
-
Oggi fai concorrenza al nostro Mario, in
due avete mangiato meno di un neonato.
-
Meglio stare leggero, - replicò Pinozzi
ammiccando – stasera devo reggere il confronto con una trentenne.
-
Allora non è sufficiente andare a
stomaco vuoto, ti serve la pillola blu. – Jorge acido.
-
Mica devo fare una maratona, mi basta
una buona corsetta.
-
Attento, ricordati che hai superato i
cinquanta!
-
Mandami pure la contravvenzione a casa,
io vado. Ci vediamo domani.
Jorge
non rinuncia all’ultima battuta. Non da quando Mario lo conosce.
-
Lascio il cellulare acceso, quando sarai
in Cardiologia fai chiamare me per le tue ultime volontà.
Giunto
sul luogo dell’appuntamento, Mario trovò la sede della Fondazione con porte sbarrate e luci spente. Nessun segno di vita all’interno,
né lungo il perimetro dello stabile. L’orologio diceva ventidue e dieci, il
cervello si preparava alla fregatura, lo stomaco protestava. Mario sentiva la
lana del maglione sulla pelle del collo, fastidiosa; il termometro della
farmacia di fronte lampeggiava verde la cifra 23. Clima ed eventi della sera
precedente gli avevano messo i brividi, oggi l’estate tentava un approccio
sfrontato ricordandogli la latitudine a cui si trovava. In compenso non c’era traccia
di chi l’aveva invitato; notò solo un ombra ondeggiante che si avvicinava. Quando entrò nel cono di luce dei lampioni i
contorni divennero netti e i colori si
accesero: le gambe salivano da tacchi dodici, rossi, verso curve pericolose. Su
una di queste poggiava il braccio che scompariva nel giubbotto stretch color
della notte; l’altra mano teneva una sigaretta spenta. Il viso si nascondeva
tra occhiali e capelli. Nerissimi. Sulle labbra trionfava il vermiglio.
-
Hai da accendere?
Mario
realizzò che l’apparizione sapeva parlare.
-
Mi scuso per la risposta banale, ma non
fumo. – disse fissando le lenti scure.
-
Tutto pregi e virtù, o una traccia di cattivo
ragazzo la troviamo?
-
Quando finirà il terzo grado mi
piacerebbe capire chi ho di fronte.
La
donna sfilò gli occhiali e liberò una risata sincera.
-
Ti facevo più attento ai particolari,
non hai riconosciuto la mia voce.
-
Ho notato dettagli ben più interessanti
di quattro parole! Tu non sei l’ Ekhaterina
che ho conosciuto oggi.
-
Quante storie per un po’ di trucco e due
stracci addosso. Tu piuttosto, sembri un professore universitario: maglione di
lana, jeans e Timberland. Andiamo.
Gli
porse il braccio e si incamminarono verso Bari vecchia.
L’insegna
appesa sopra l’ingresso saettava laser nel buio e sulle pareti del vicolo: una coda
multicolore si snodava dalla soglia dell’Insomnia, perdendosi nel buio. Mario
ignorò le occhiatacce rivolte a lui ed Ekhaterina che superavano la fila,
diretti senza remore verso l’entrata del locale. Questa era sbarrata da una
figura che Mario etichettò come la custodia per qualche altro uomo, enorme.
Salutò la donna e la abbracciò, mentre Pinozzi si preoccupava per l’ incolumità
della sua compagna.
-
Ciao Faruk, come va a casa? Amina e
Amir?
-
Alla grande sorella, lei sta bene e il
piccolo cresce. Spero non quanto il padre o ci cacciano da casa!
-
Lui è Mario, un amico. Andiamo a farci
quattro salti.
-
Gli amici di Ekhaterina sono amici miei.
– fissando Mario.- I suoi nemici durano poco. Divertitevi.
Il
locale teneva fede al nome: le teste dei ragazzi si alzavano e abbassavano
ritmiche, i bassi pompavano nel petto di Mario, Ekhaterina lo afferrò e lo
trascinò nel mucchio.
Dopo
minuti interminabili il medico mimò il gesto del time-out, prese la donna per
mano e la trainò fino al bar.
-
Che bevi? – le disse.
-
Un rhum cooler, per cominciare.
-
Per lei quello che ha chiesto, - rivolto
al barman – io prendo una Coca con ghiaccio.
-
Hai paura di sbronzarti e che possa
approfittare di te? – rise lei.
-
Io e gli alcoolici abbiamo rotto
l’amicizia da tempo, è una storia lunga.
Piuttosto, qua non c’è
niente da mettere sotto i denti?
-
Vuoi mettere a rischio la mia linea?
Lascia perdere, il messaggio è chiaro: l’ Insomnia non fa per te. Seguimi.
Questa
volta fu lei a solcare per prima il mare di persone e raggiungere l’aria
aperta.
Non
servì la guida della donna, fu sufficiente affidarsi al naso: nonostante l’ora
trovarono qualche piatto di riso patate e cozze, burrate, Primitivo e acqua
(per lui, ormai è ovvio), cioccolata e
cartellate. Mario propose l’ennesimo caffè, Ekhaterina un bicchiere di amaro
che vennero ingollati sugli scogli del lungomare; la luna si comportava da
testimone discreto e ci metteva la luce sufficiente.
-
Che mi dici di Mario, - chiese la donna
– sei davvero un Genovese burbero e taciturno. O c’è altro sotto la scorza?
-
Se scavi troverai roba buona e cattiva,
l’ho sepolta dopo aver fatto pulizia. Ho avuto a che fare con tanti tipi di
sporcizia e quando sposti rifiuti qualcosa ti resta addosso: puzza e macchie.
Mi sta bene così, affronto mostri differenti in sala operatoria e fuori: il
risultato è simile, ricavi qualcosa e perdi altro. Quello che conta è il
bilancio finale.
-
Sei soddisfatto?
-
È presto per tirare le somme, sono
ancora in corsa e non vedo il traguardo. Diciamo che cerco di vivere il
presente senza guardarmi troppo dietro le spalle.
Ekhaterina invece si
sente di più Penelope o Circe?
-
Solo la prima era Greca e non è proprio
il mio ideale: non mi ci vedo ad aspettare
Ulisse ogni sera. – un’occhiata alla luna che stava per abbracciare il
mare. - Ma le ore scorrono e presto il sole brucerà il resto della notte. Che
ne dici di non sprecarlo?
Il
bacio fu lento e delicato, un assaggio dei loro sapori: a entrambi piacque e proseguì
a casa di Ekhaterina. Divenuto un pasto, si tramutò in una cena sontuosa che li
impegnò sino all’alba.
Fu
Mario a preparare il caffè, dopo aver tradotto con Google la frase della donna:
“Pamos gia cafe?”. E avere spedito un SMS anche a Munnacci, il giornalista.
In
casa scovò l’attrezzatura completa per preparare la bevanda secondo le
tradizioni elleniche, ma il risultato fu una brodaglia calda e sporca che
copriva della fanghiglia marrone. Dopo una doccia insieme consumarono
l’abbondante colazione al cospetto del Teatro Petruzzelli, indifferenti ai
comuni mortali che continuavano a recarsi al lavoro nonostante i festeggiamenti
in corso.
Fu
Mario a rompere gli indugi e affrontare la questione.
-
Che ne sai di Giuseppe e Mariella, le
cose sono davvero così brutte?
-
Quello che conosco l’ho carpito a
Dimitros: lui è assillato dai debiti, lei era ostaggio di “Croce e libertà” e
da allora le cose sono peggiorate.
-
Avete fatto ricerche su quella gente?
Ricattavano Mariella? Forse non era la santa che dice Giuseppe.
-
Quello bisogna chiederlo a mio padre, ha
agganci nella Polizia e amici “particolari”. Nulla di illegale, ma sono persone
di cui non conosco il nome.
-
Potresti farmi parlare con lui?
-
Ma l’hai già fatto! E conosci anche mio
fratello, Dimitros.
Lo
stupore fece spazio alla rabbia, non certo la fame, quella andava tenuta ancora
al guinzaglio.
-
Complimenti, mi tieni d’occhio per conto
della famiglia e te la spassi. Ti presento Mario, il fantoccio.
Fece
per alzarsi, lei lo trattenne con forza.
-
Mi sei piaciuto subito, ma non volevo
darlo a vedere. Detesto mio fratello e la sua smania di essere all’altezza di
nostro padre! Lui non c’entra nulla.
-
Non basta per farti perdonare, - con un
sorriso – ho bisogno di aiuto.
-
Come vuoi, andiamo a trovare un amico. Potrà
esserti utile, ti anticipo però che conosci anche lui.
Faruk
e la famiglia abitavano al terzo piano di una moderna palazzina nel Quartiere
Libertà; la porta fu aperta da Amir, una piccola e nera forza della natura che
zompò tra le braccia di Ekhaterina. Dopo le presentazioni Amina guidò tutti in
salotto, Faruk dormiva e non era consigliabile svegliarlo prima dell’ora di
pranzo. Mentre Mario fu destinato a rintuzzare gli attacchi del bambino, le
donne si dettero da fare in cucina. Prepararono agnello e cous-cous, thè alla
menta e pane secco, datteri e frutta fresca.
Il
pranzo trascorse in silenzio, Mario che tentava di indovinare il peso del cibo
ingurgitato da Faruk e il figlio, mentre lui e le due donne si accontentarono
di porzioni pediatriche. Il capofamiglia parlò dopo il thè, senza essere
interrogato e dopo avere spedito Amir a giocare in camera.
-
Giovanni Armenise fu Luigi arriva da
Bitonto tre anni fa, su invito dello zio paterno Pietro, detto Petrù. Vive
nella palazzina rossa che puoi vedere dalla finestra alle tue spalle. Gira in auto, non riceve
femmine, qualcuno dice che sia molto religioso: io penso che è solo un grande
frocio. Lo zio presta denaro a strozzo, ha inguaiato parecchie persone e
altrettante ditte sono passate nelle sue mani.
-
Quindi quella specie di setta, “Croce e
libertà”, sarebbe una copertura. – disse Mario.
-
Piuttosto l’amo per prendere i pesci
giusti. Certa gente di qua è molto religiosa, parlo di famiglie serie e
importanti, devota al Santo e credente. Alcune delle signore sono state agganciate
e convinte a fare donazioni importanti, al punto di rovinare le aziende del
consorte. A quel punto entra in gioco Petrù che offre il prestito e si pappa
tutto.
-
La Polizia che fa, - intervenne
Ekhaterina – va a pranzo con quelli?
-
No di certo, ma sanno come muoversi e
hanno avvocati in gamba.
-
Perché la morte di Mariella, - chiese
Pinozzi – cosa è andato storto?
Faruk
rispose allargando le braccia e girando in alto i palmi delle mani.
-
Attento a come ti muovi, Mario, quella è
gente velenosa. Non tirare dentro la mia amica in questo guaio.
-
Perché mi hai raccontato tutta la storia?
-
Io e Amina le dobbiamo molto, quando ti
ho visto con lei ho fatto un paio di telefonate, ed eccoci qui. Ekhaterina non
sapeva che ho raccolto informazioni su di te: siete venuti solo per chiedere il
mio aiuto. Ma io mi fermo, temo per la mia famiglia.
-
Sai parecchie cose e parli un Italiano
perfetto, dove hai studiato?
-
Qui a Bari, sono ingegnere e Amina fa
l’insegnante part-time: Mariella era sua collega.
-
Capisco, l’unico che ti faceva lavorare
era Giuseppe. Il colore della pelle pesa anche da queste parti e se non fossi
un armadio saresti a spasso.
Questa
volta l’uomo rispose solo con un sorriso degli occhi.
Il
tono di un messaggio in arrivo ruppe il silenzio sceso sulla tavola. Mario
controllò il telefono e una smorfia
deformò il volto.
-
Che succede? – disse Ekhaterina.
-
Guai, Giuseppe ha ricevuto una
telefonata da un numero sconosciuto: la voce si diceva dispiaciuta per la
disgrazia familiare e consigliava di non rivolgersi alle persone sbagliate.
Mario
parlò fissando il tavolo, Faruk guardò la moglie che chiuse gli occhi e abbozzò
un sorriso. Ekhaterina strinse i pugni.
Faruk
posò il tovagliolo, si alzò senza fare rumore, stirò il collo.
-
Andiamo, - disse – Mario prende il caso
di Amina e tu quello di mio figlio.
Il
sidecar Guzzi V7 era rosso, fiammante: i due lasciarono il guscio alla donna,
Faruk guidava, Mario si teneva ben saldo allla cintura dell’armadio umano. Il
mezzo si rivelò in forma e partì senza sforzo, seguito a breve distanza da un'Alfa
Giulia blu con i vetri scuri.
Mentre
percorrevano un largo viale l’auto accelerò e si piazzò accanto alla moto, il
guidatore che strombazzava con il clacson.
-
Che cazzo sta facendo questo? – disse
Mario.
-
E vattene, vai a dormire! – Ekhaterina
con il dito medio alzato.
Faruk
rallentò e fu imitato dall’auto, diede gas e così fece l’autista che rimaneva a
pochi centimetri dal sidecar. Il finestrino si abbassò e la canna lucida e
scura di una pistola sparò due colpi. Faruk scartò un poco, Mario tolse il
casco e lo scagliò centrando l’abitacolo, la Giulia sbandò terminando la corsa in
una fila di auto parcheggiate. Faruk osservò la scena dallo specchietto e
frustò a dovere i cavalli del V7.
Arrivarono
a casa di Giuseppe dopo mezz’ora di corsa bruciando semafori e stop. Faruk era
impassibile, Mario aveva il volto livido, a Ekhaterina tremavano le mani.
-
Da dove venite, - disse Jorge – dalla Parigi-Dakar?
-
No, ci hanno solo sparato addosso per
strada.- rispose Mario.
-
Non volevano colpirci, impossibile
sbagliare a quella distanza. – Faruk, con la calma abituale – Era solo un
avvertimento a non ficcare il naso. Me lo aspettavo, ma non con questa velocità,
mando un paio di amici da Amina e Amir.
Si
allontanò per telefonare, mentre Jorge e Giuseppe portavano da bere.
-
Mi serve un caffè, lo sai. Dobbiamo fare
il punto, capire cosa abbiamo. – attaccò Pinozzi – Usurai travestiti da
congregazione religiosa, ma Giuseppe doveva dirci qualcosa di più! Un falso
suicidio, gli amici della Fondazione Ellenica che fanno gli gnorri e minacce a
mano armata. Io mi sarei rotto di prenderle, sarebbe ora d restituire qualche
pugno.
Giuseppe
reagì a modo suo, impregnato dal la calma del vinto.
-
Vedo che sai come stanno le cose, ma non
ho idea del perché Mariella sia morta. Non ho altro da dirti.
Lasciò
la sala per rifugiarsi in bagno.
-
È il momento di lanciare un SOS:- disse
Mario - io penso a chiamare Milano, tu contattata i tuoi amici.
Senza
attendere risposta Pinozzi afferrò il telefono e sparì, mentre Jorge si avviò
alla porta. Faruk confabulava nella lingua madre, Ekhaterina aprì il mobile e
si versò un whisky.
Diversi
minuti dopo Mario tornò e riferì.
-
Dopo la morte di Mariella ho chiesto
notizie al Commissario Moruzzi e al giornalista Munnacci: sono due tipi di Milano degni di fiducia. Hanno fonti
diverse, ma confermano il giro di usura e la “setta” usata come copertura per estorcere denaro. Anche gli amici di
Ellenica – gli occhi su Ekhaterina – si sono mossi per capire i motivi del
suicidio-messa in scena. Da tempo tentano di arginare quella piaga con mezzi
legali, ma la salita è ripida. Perciò ho dato via libera a Jorge, che ha
contatti con persone efficienti: vi assicuro che mi hanno aiutato in un grosso
guaio, senza fare domande. Resta da capire cosa possiamo fare noi tre, visto
che Giuseppe sembra fuori gioco.
-
Torno a casa e affido i miei ai fratelli,
li porteranno in un posto sicuro. – disse Faruk.
-
Io penso di andare alla Fondazione,
meglio non tornare a casa da sola.
-
Resta qui, - consigliò Mario – Giuseppe
è a pezzi. Non vorrei facesse qualche cazzata, vado io dai tuoi. Ti va?
-
Okay capitano, ma non lasciarmi troppo a
lungo su questa barca.
Mario la salutò con un bacio, prese il casco e
uscì con Faruk. Scendendo le scale gli parlò deciso.
-
Adesso telefoni ai tuoi fratelli, che
pensino ad Amina e Amir. Tu vieni con me, mi potrai essere utile.
-
Capisco, prima hai detto una mezza
verità.
-
Diciamo che ho avuto notizie un po’ meno
chiare di ciò che ho riferito. Avverto Jorge e andiamo.
Telefonata
concisa, casco in testa e in sella.
-
Salta nel guscio, starai più comodo.
Dove ti porto?
-
Nella culla della civiltà occidentale.
Al
termine del breve tragitto il mento di Pinozzi aveva conosciuto intimamente le ginocchia, la schiena lo maledisse e la
testa gridò di felicità una volta liberata dal casco pediatrico. Scesero e si
avviarono.
-
Ancora una volta qua, mi sta diventando familiare.
Entriamo.
Trovarono
l’interno in condizioni simili al giorno precedente, salvo le scodelle con il cibo che contenevano pochi
avanzi. Stessi poster e depliant,
medesima luce e profumi. Bussarono alla porta della direzione, la voce
tuonò un “avanti”.
-
Buongiorno Anastasios, oppure è una
mattina sbagliata?
-
Mario, che ci fai qui? Lui chi è? –
domande a raffica, come da copione - Dove hai lasciato Giuseppe? Sono solo,
Dimitros è andato al porto e mia figlia non si è vista.
-
Siamo tutti soli, come quando dobbiamo
prendere decisioni. Quando ci innamoriamo e apriamo il cuore con qualcuno.
Siamo soli anche se ci arrabbiamo e siamo delusi: anche la rabbia cresce sola,
è un seme cattivo che germoglia annaffiato da delusioni e fallimenti. Si
alimenta e diventa un’ erbaccia che non
puoi estirpare, ti serve aiuto. In alternativa puoi coltivarla, diventare una
pianta che ha bisogno di sempre maggior nutrimento. Infesta il tuo giardino,
impedisce a chiunque di entrare e non ti permette di uscire.
-
Ci mancava solo un altro filosofo, no
grazie ne abbiamo avuti anche troppi. Sono un uomo pratico, vai al dunque.
-
Non parlo di te, ma di qualcuno che nutre la
rabbia con ambizione e orgoglio, fame di
successo. Io stesso cedo talvolta a un certo tipo di fame e di smania, non è un
bello spettacolo quando succede…
-
Basta! Chi sei tu per venire a giudicare
e sputare sentenze a casa mia, criticare il lavoro di anni. Fuori di qui!
Anastasios
stava in piedi e si reggeva alla scrivania con le braccia tese.
Mario
mise le mani nelle tasche dei jeans, non erano chiuse a pugno. Non ancora,
attendeva il momento giusto, il bersaglio adatto.
Sulla
porta si materializzarono due figure, silenziose e armate. Due uomini giovani,
eleganti, occhi senza anima. Uno dei due sorrideva ed esibiva un taglio recente
sulla fronte. L’altro teneva la pistola con mani in guanti di lattice.
-
Buongiorno a tutti, - disse quello col
sorriso – voi due raggiungete mio padre dietro la scrivania. Niente cazzate,
non ne avreste il tempo.
-
Tranquillo Dimitros, non mi stavano
minacciando. Metti pure via…ma..che ci fai con una pistola? Chi è il tipo con
te?
-
Sei proprio un povero vecchio che non si
arrende al tempo, non vedi o ascolti altri che te stesso.
-
Come puoi parlarmi cosi? Sono tuo padre…
-
È quello il punto, ma tu hai voluto
essere anche padrone, maestro, comandante. E non puoi tenere il timone se non
governi le vele, ma basta parlare: è ora che ti fai da parte.
-
Porta rispetto, non vali un decimo di tuo padre.
Dimitros
disse “no” più volte con la testa, l’aria sconsolata.
-
Non lo capisci neanche davanti a una
pistola: non mi è mai fottuto di essere alla tua altezza! Io penso a Dimitros,
alle sue ambizioni, le sue voglie: basta sopportare il vecchio maschio alfa
della famiglia.
-
Pensi di sapere gestire tutto questo, i
rapporti compl…
-
Ti puoi portare tutto nella tomba! Con
Giovanni, - un cenno del capo verso il
complice – ho iniziato una vita di affari e piacere. Ce la godiamo e spenniamo
quei grassi imprenditori buoni solo per
lavorare e le mogli credulone.
Seguì
il silenzio, sul fondo solo il respiro affannoso di Anastasios rosso in volto e
con i pugni serrati. Mario riceveva
qualche segnale, dalla frequenza cardiaca ai primi brividi. Faruk assisteva impassibile, ma gli
sguardi saettavano da Armenise a Dimitros: ancora non aveva scelto la preda più
debole.
Come
negli incontri precedenti fu il vecchio a parlare, sussurrando, nessun tuono
dalle corde vocali.
-
Che fallimento, un figlio traditore e
nemmeno uomo, una figlia che non si sposa. Ma si, meglio che finisca così. –
concluse afflosciandosi sulla sedia.
Dimitros
spostò gli occhi dal padre sconfitto a Faruk e Mario, cercava altra
soddisfazione.
-
Tu non parli, ma pagherai anche questo.
– indicò la fronte – Hai avuto solo fortuna nel centrare il finestrino.
-
Io vedo solo un bullo armato che si è
portato l’amichetto body-guard: faresti la voce grossa se fossimo soli?
-
Non ci casco, non me ne frega nulla di
regole non scritte o cazzate del genere.
-
Neanche a zio Petrù Armenise , che
fotterà te senza pensarci un minuto quando non gli sarai più utile. Non credere
che gli importi qualcosa del debito che hai con lui. – Mario parlò ad
Anastasios – Sì, il tuo campione ha parecchi vizi e costano caro: da quello che
si guadagna la cricca del suo amichetto trattiene una bella cifra. Così sanno
che lui dovrà darsi da fare per mantenere il tenore di vita: l’ultima vittima è
stata Giuseppe, anzi Mariella. Perché l’avete ammazzata?
-
Tanto non lo dirai a nessuno, - un lampo
di freddo orgoglio – la stupida si è innamorata di Giovanni: che vuoi, deve
essere gentile e premuroso con quelle come lei. Era assillante, gli telefonava,
capitava in sede a orari assurdi, gli stava addosso.
-
Temevate che raccontasse qualcosa a
Giuseppe, del tipo che Giovanni ci aveva provato, per fargliela pagare.
-
Peccato doverti sparare, ci farebbe
comodo uno come te.
-
Dovresti prendere anche il mio amico
Jorge, siamo inseparabili.
Dimitros
rise.
-
Quello non vale nulla, l’ho capito l’altra
sera. Pende solo dalle tue labbra.
-
E che mi dici di Faruk, lui è in gamba, fortissimo.
-
Nessuno può fermare un paio di
pallottole, neanche quell’armadio.
Ci
fu un nuovo stallo: Dimitros si alzò, Faruk prese a spostare lento il peso da
un piede all’ altro, Dimitros puntava la pistola a turno sui tre dietro la
scrivania, Armenise e Mario parevano statue di cera.
-
Fermo tu, gorilla – disse Dimitros.
Faruk
respirava lento.
-
Tu alzati, padre.
La
pistola guardava ora Anastasios.
-
Giovanni, tu pensa agli altri due.
Armenise
ruotò testa e braccio di pochi gradi verso destra.
-
Guardami negli occhi, figlio.
Dimitros
sparò, il vecchio rovinò sulla sedia. Armenise si girò sulla sinistra e sparò
alla testa di Dimitros: il sangue lordò i poster. Faruk divenne una palla scura
di catapulta, partì un altro colpo. L’uomo bianco venne colpito al petto dalla
testa ricciuta, l’effetto della carica
di un toro, e cadde. Braccia e gambe del killer spuntavano dalla mole che lo
ricopriva: aveva perso l’ arma e tentava di togliersi di dosso Faruk. Mario allontanò
la pistola con un calcio e ne sferrò un secondo sul volto di Giovanni, che
svenne. Tentò di muovere Faruk, che sanguinava, ma dovette desistere: gli tastò
il polso e afferrò il cellulare, compose il 112 e riattaccò dopo due squilli.
-
Ce ne hai messo di tempo.
-
Ho fatto subito un paio di telefonate e
mobilitato gli amici, ma erano solo in tre. Servivano più persone, e più ore.
-
Fortuna che la Polizia è arrivata in
forze, mi hanno aiutato a girare Faruk e ho potuto controllare. Si è beccato un
proiettile in pancia, ma sembra uscito senza fare danni, se la caverà; ha
caricato come un bisonte e quello ha
sparato a caso.
-
Con Dimitros non ha sbagliato.
-
Gli stava accanto e non sospettava di dover morire.
-
Perché questa commedia?
Mario
si grattò la barba e sbadigliò, stava iniziando la vera fame. Il tributo alle scariche
di adrenalina.
-
Zio Petrù deve aver pensato che Dimitros
era diventato un problema, per come aveva gestito la faccenda di Mariella. Per
loro era solo un contabile da licenziare.
-
Che mi dici di Anastasios?
-
Ha la spalla destra in frantumi oltre
che il cuore a pezzi. Per fortuna il figlio non valeva nulla neppure come
killer. Armenise è vivo, ma si è guardato bene dal dire anche una sola parola.
-
E Mario come si sente?
-
Sta come ogni volta che mi infilo in
qualche guaio: abbiamo pulito, ma la sporcizia era tanta e me ne porterò addosso un po’. Per qualche
tempo.
-
O fino alla prossima volta.
Hai parlato con la
figlia del vecchio?
-
Non mi risponde, ma posso capirla: ha
scoperto che il fratello non era un semplice gradasso ambizioso e ha quasi
perso il padre. Che l’ha vista sempre come un secondo maschio mancato e rinunciava al sogno di
vederla sposata. Ha toccato con mano un mondo di cui sentiva solo nelle
cronache.
-
Adesso dovrà accudire il padre, pensare
a lui.
-
Sarà una gara tra due tipi diversi di
orgoglio ferito, non so dire se uno di loro accetterà il compromesso.
Jorge
tacque, poi si grattò la testa. Mario conosceva quel gesto.
-
Spara, - disse - cosa ti tormenta?
-
Due questioni: chi ha chiamato la
Polizia?
-
Deve essere stato Moruzzi, quando ho
sentito lui e Munnacci mi hanno dato notizie simili su “Croce e libertà”. E su
Dimitros.
-
Sospettavi di lui?
-
Da subito: l’arroganza, i vestiti e
l’orologio costosi, l’auto di lusso. Come poteva permetterseli lavorando per il
padre?
-
Lui non ha mai avuto sospetti verso il figlio.
Mario
accarezzò ancora la barba e stirò il collo.
-
Spesso non vogliamo vedere i segnali
lanciati dalle persone che amiamo.
-
La seconda domanda è più pertinente: che
facciamo con Giuseppe?
-
Nulla. Deve sapere che ci siamo, ma
adesso è solo e deluso come Ekhaterina e Anastasios. E da solo dovrà farcela.
Adesso andiamo,
voglio fare una doccia, mangiare e
dormire. Non necessariamente in questo ordine.
Dal
volo di ritorno i due salutarono la città di San Nicola, il mare e la sua
gente: che si era fatta chilometri per recuperare le spoglie di colui che
venerava e aveva scelto come patrono. Pensarono alle anime pulite che lo
avevano festeggiato e a quelle nere, arricchite in nome di una religione distorta
a proprio favore. Videro il film della festa nella città vecchia, sempre
disponibile a scambiare profumi mediterranei con il porto: l’approdo
accogliente per gli avi di Anastasios e altre genti, tanto simile a quello
della città cui tornavano. Ricca di verità, qualche ombra
e tanta, tanta luce.
hai mai pensato di scrivere un libro? complimenti
RispondiEliminaAdriana