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venerdì 12 ottobre 2018

La festa di San Nicola , tra burrate, tiella e sangue - prima parte


(di Marco Moretti)

Mario viaggia alla volta di Bari in compagnia di Jorge, invitato da due amici dell’infermiere greco. Dopo i festeggiamenti del patrono la vacanza si tramuta nell’ennesimo guaio, protagonisti la comunità ellenica della città, religiosi intransigenti, imprenditori più o meno puliti. E un buttafuori molto particolare.

                                                      
Il pilota virò lentamente e iniziò la discesa verso l’aeroporto di Bari Palese. Mario osservò le distese di ulivi, robusti e tortuosi, centenari: un esercito immobile in guardia contro parassiti delle piante e gasdotti, spacciatori di olio adulterato, a difesa delle pepite gemmate dai rami. Le madri del prezioso liquido, quel condimento robusto e schietto come la terra d’origine; Pinozzi pensò con nostalgia a liquidi corposi, bianchi e rossi con discreta gradazione, prodotti dallo stesso suolo che stava per toccare. Accennò a un sorriso e guardò Jorge, seduto accanto.


-          Che dici, meglio queste o le olive greche? - disse.
-          Ho fratelli in Grecia e amici in Puglia, quindi…

-          Non è da te essere così diplomatico, l’uomo del bianco o nero e del bello o brutto.
-          Adesso devi solo dire che quando i tuoi antenati grattavano la terra i miei inventavano la filosofia.
-          Allacciati la cintura,  – disse Mario con un ghigno – stiamo arrivando e non vedo l’ora di bere un caffè decente.
-          È ora di aperitivo, altro che caffè. Giuseppe ci aspetta al gate, chi meglio di lui come guida per mangiare un boccone?
L’aperitivo venne sacrificato all’unanimità per un pranzo sul lungomare di Palese,  distante a sufficienza dai terminal degli aerei: sul nastro di partenza attendevano piatti di pesce crudo, in seconda piazza pasta con ricci, a seguire fritto misto e in ultima fila gelato. La bottiglia di bianco era stata spremuta sino all’ultimo goccio.
-          Però che delitto non bagnare queste bontà con il nostro vino. – disse Giuseppe a Mario. – Come mai non…ahia!
-          Che succede? –  Jorge con ironia, dopo il calcio sferrato sulla tibia dell’amico.
Mario sorrise sornione verso Giuseppe.
-          Il nostro Jorge è un po’ paterno con me, cerca di scusarlo. Il fatto è che io e l’alcool siamo stati amici intimi e abbiamo combinato qualche guaio. Tutto qui.
-          Sono un vero artista. – disse Giuseppe, con gli occhi bassi.
-          Mai quanto l’ amico filosofo qui accanto, il Socrate  di Genova!
-          Okay allora beviamoci i caffè e andiamo, Mariella ci aspetta: dobbiamo prendere il cibo per la cena. Anche questa è Bari, Mario.
Uscendo dal locale, Giuseppe salutò il proprietario dicendo che andavano di fretta e di mettere l’importo del pranzo sul suo conto.  Guidava nervoso verso il capoluogo e dopo un paio di sorpassi azzardati  intervenne Jorge, che stava sul sedile anteriore.
-          Perché questa fretta, non credo che troveremo i negozi chiusi.
-          Quella, Mariella, sta già in ansia. – Giuseppe asciugò la fronte con la mano. - Non sai le storie che ha fatto quando le ho detto che vi portavo a pranzo.
-          Voleva pensarci lei?
-          Per carità, si è messa a dieta. È fissata con non so quale precetto da osservare, un voto o qualcosa del genere.
-          Non mi pare che tu “osservi” molto – disse, accarezzando la pancia dell’amico.
-          Che vuoi, quello è il lavoro: si mangia fuori, le cene per i contratti. Sai come va.
Una sterzata e un colpo di clacson, seguiti dal dito medio alzato, attirarono anche l’attenzione di Mario.
-          Frequenti spesso il posto dove abbiamo pranzato? Non mi è sembrata una trattoria a buon mercato.
-          Siete miei ospiti, questo è quanto.  Ma adesso ascolta, Mario, ti dico qualcosa su San Nicola. E tu zitto, - rivolto a Jorge – o scendi al volo.
Giuseppe raccontò delle origini del santo, nato a Licia nell’attuale Turchia, e della  vocazione religiosa giovanile; questa e la forte empatia lo fecero vescovo e ne alimentarono il culto. Contribuì il fatto che fu perseguitato dai Romani, allora dominatori in Asia Minore. Di lui si conoscevano due anime, quella del cattolico intransigente e  l’altra, amata dai fedeli, del santo votato a opere buone. Nel 1807 una sessantina di marinai recuperò il corpo di San Nicola, che raggiunse Bari e ne divenne il patrono. La festa, nella prima settimana di Maggio, ricorda quell’evento e lo celebra in grande: luminarie e processione nella città vecchia, cibo a quintali e fiumi di vino, migliaia di Baresi nelle strade. La condivisione di profumi e sapori, l’amore per le tradizioni che resiste in un paese distratto e indaffarato, in corsa contro il tempo e verso una meta nebulosa. Comunque sia, in quei giorni, i nonni si mescolano ai millenial e si fondono in un calderone di luci, intingoli, vapori alcoolici.
Dall’auto che adesso avanzava pigra nel traffico, Mario osservò il Petruzzelli e i locali eleganti, i marciapiedi calpestati da giovani e famiglie, il porto con i pescivendoli  che gli offrivano polipo, il lungomare e la sua risacca. La BMW scivolava leggera tra le curve dolci del percorso, una canoa che navigava placida nel fiume finalmente senza ostacoli cui badare. Il pilota accostò e attraccò nei pressi della Fiera, pochi passi e i tre raggiunsero la dimora di Giuseppe; l’appartamento era al quinto e ultimo piano di una palazzina non lontana dal centro storico. Il terrazzo, orientato verso sud-est, perdeva lo sguardo nell’Adriatico colorato di azzurro dal sole ancora alto.
-          Faccio strada, ecco l’ascensore. – disse Giuseppe.
-          Per forza hai la panza, -  Jorge con un sorrisetto – dopo una mangiata non sali quattro scalini. Nemmeno portassi il mio trolley!
-          Non ascoltarlo, con me è lo stesso film. Mi sta addosso perché sono pigro, dice . – Mario lanciò un'occhiataccia a Jorge – La realtà è il  mio stile di vita, non adatto a un cinquantenne.
Giuseppe premette il tasto con il numero cinque.
-          Sarebbe a dire? -  con curiosità.
-          Lavoro tanto, dormo poco e sogno ancora meno. Bevo solo acqua, Coca e fiumi di caffè, mangio se me lo ricordo. E faccio un po’ di boxe quando capita.
-          E le donne con il contagocce. – ghignò Jorge.
-          Poche  sopportano  più di una settimana un tipo che non è mai a casa; quelle rare volte poi, magari la domenica, il tuo amico greco mi chiama per uno dei suoi casi disperati. I conti tornano.
-          Passi per l’alcool, - Giuseppe, ammiccando – ma se rinunci a un pranzo con la “p” maiuscola e  una scopata ogni tanto, che vita è?
-          Tu fornisci consulenze nel settore? Conosco un maestro e non lo sapevo – disse Jorge.
-          Siamo arrivati, apri la porta e chiudi la bocca. Sicuro che Mariella ci sta aspettando.
La donna stava sull’uscio, rigida, le mani intrecciate e le braccia tese in basso. L’abito scuro, a coprire le ginocchia, pareva assorbire la luce che filtrava dall’appartamento e il buonumore di Giuseppe; si scambiarono un bacio sulla guancia, lei sistemò i capelli neri e tese la mano agli ospiti.
-          Piacere, Mariella.
Mario strinse la mano una frazione di tempo in più, la donna abbassò lo sguardo e girò sui tacchi.
-          Entrate, vi mostro la casa e il vostro alloggio. Così potete disfare i bagagli e rinfrescarvi. Se gradite di accompagnarci io e Giuseppe usciremo tra mezz’ora.
I due amici iniziarono la disputa appena ebbero finito di studiare la camera.
-          Tu prendi il letto vicino al bagno, - attaccò Jorge – di sicuro devi alzarti la notte.
-          Nessun problema, ma se sarai tu a svegliarmi riprenderò gli allenamenti.
-          Mi hai preso per il tuo sacco?
-          Lui non parla quanto te. E non russa.
A proposito di chiacchiere,  non mi pare che la moglie di Giuseppe ami i discorsi.
-          Non so che dire, non la ricordavo così, ma non li vedo da…una decina d’anni.
-          Hai osservato la camera? Ti dice qualcosa?
-          Due letti, un bagno, una finestra, niente libri…
-          …niente figli,  camera per due persone, freddo glaciale tra moglie e marito. Manca qualcosa, anzi parecchio, non è abbastanza chiaro?  
L’eco smorzata di frasi brevi e secche interruppe le ipotesi di Mario; lui e l’amico sentirono sbattere una porta, poi il volto umido di Giuseppe fece capolino nella stanza.
-          Mi spiace cambiare i programmi, Mariella non sta molto bene. È un problema se usciamo e ci arrangiamo con un boccone per strada?
-          Tutto ok, solo il tempo di una doccia. – disse Mario
-          Giusto, non vogliamo farti sfigurare con le belle femmine di Bari. – aggiunse Jorge.
-          Avverti tutti là fuori, Giuseppe:  arriva il dongiovanni di Grecia!
Mario schivò il cuscino lanciato da Jorge, Giuseppe lo afferrò e attaccò il Greco: Pinozzi  imitò la mossa e presto i due ebbero la meglio sull’altro, inginocchiato in segno di resa.
-          Ora che hai capito chi comanda, - Giuseppe con un sorriso – mettiti in ordine ché sennò  le femmine fuggono!
I tre uscirono e su consiglio di Giuseppe diressero a piedi verso il centro storico: la tanto temuta “Bari vecchia”, ventre cittadino  un tempo appannaggio di persone poco raccomandabili e luogo off-limits per chi non fosse nato e vissuto in quei vicoli. Giuseppe continuò a interpretare il ruolo di perfetto cicerone, guidando gli amici attraverso piazze e strade ramificate in un labirinto bianco e curato. Dalle porte aperte gli aromi del cibo tentavano il gruppetto: la tiella con riso, patate e cozze, gli “strescineti”, friselle e frittura, salumi e burrate, brocche con vino. E dolci: morbidi, invitanti, di forma e misura diversa. Ognuna delle cuoche di strada reclamizzava con orgoglio i suoi prodotti,  invitando all’assaggio o porgendo un bicchiere.
Mario ammirava muto lo spettacolo animato, godendo con tutti e cinque i sensi: gustava il cibo, inalava i profumi, ascoltava la voci e le risate, stringeva mani e lasciava lo sguardo libero di intrufolarsi tra le case, scrutare i volti delle persone.
-          Gli americani credono di avere inventato lo street-food, - sentenziò Giuseppe – ma pagherebbero per passare una serata come questa.
Che ne dici Mario, ti piace Bari vecchia? Non è più il quartiere di una volta.
-          Devo fare attenzione a quello che dico, la mia Genova è un’amante molto gelosa. Ma mi perdonerà, questo posto mi ha conquistato. È simile e diverso da lei, i vicoli sono alti e stretti, ma  luminosi. L’odore del mare li penetra ed entra nelle case, i profumi sono quelli del mediterraneo. Ma  Genovea è riservato, se non la conosci pensi che sia scorbutica: tu però supera il primo scoglio e approderai in un porto sicuro.
-          E troverai tanta voglia di mugugnare.- disse Jorge.
-          In questo ti sei perfettamente integrato! –  Mario di rimando.
L’accenno di match tra i due fu interrotto dall’arrivo di una coppia di uomini che salutarono Giuseppe, abbracciandolo. Il più vecchio, robusto e tarchiato, sorrideva al Barese mentre l’altro, sulla trentina alto e magro, restava in silenzio studiando Mario e Jorge. Due poli opposti, il vecchio vestiva abiti puliti, ma datati. Il giovane esibiva griffe dalle scarpe all’ orologio, passando per pantaloni, cintura, camicia e giubbotto.
-          Kalispera, quanto tempo, - disse l’uomo – come stai? E Mariella che combina, sempre alle prese con i bambini?
-          Quelli degli altri, caro Anastasios: oggi le scuole sono delle arene e per le maestre é come i cristiani con i leoni!
-          Perché non é con te questa sera? – lo sguardo puntò su Mario e Jorge.
-          Non stava bene, allora sono uscito con questi amici che sono venuti a Bari per la festa. Mario e Jorge, di Genova.
              Anastasios salutò i due e presentò il figlio Dimitros.
-          L’amico con gli occhiali è di certo Genovese, ma questo tipo di nome Jorge…
-          Arriva da Atene e finisce in Liguria dopo un lungo viaggio. – disse il braccio destro di Mario. – E voi, che ci fate a Bari?
-          Ci ha portato qui la vita, quando in patria comandavano i militari, per salvare i nostri figli. Eravamo in pochi, ora siamo qualche migliaio: ci sentiamo Baresi, ma non dimentichiamo la terra madre. Sono orgoglioso di avere creato la Fondazione Ellenica di questa città: facciamo conoscere ciò che di bello e importante resiste in Grecia e ci rende orgogliosi.
-          Come, - disse Jorge – aprendo l’ennesimo ristorante greco?
Il figlio di Anastasios approcciò Jorge con aria minacciosa, l’infermiere s'irrigidì, Mario serrò i pugni, Giuseppe sudava. La voce del vecchio rianimò la scena congelata e catalizzò l’attenzione del quartetto.
-          Sono sicuro, - tuonò – che nessuno intendeva offendere. Hai capito Dimitros? E tu, emigrato come noi, hai dimenticato che la Grecia non è solo yoghurt e mussaka?
-          A proposito di cibo, - disse Mario facendo l’occhiolino a Jorge – mi è venuta fame. Perché non proseguiamo la discussione a pancia piena?
Dimitros guardò il padre che fece un cenno e appoggiò la mano sulla spalla di Mario.

-          Io offro da bere per tutti, siamo d’accordo? Per mangiare scegliete voi il posto.
-          Per me acqua, - disse Mario – ma  il cibo non è un problema.
-          Allora mi devo proprio offendere, uomo del Nord? – Anastasios squadrò il medico.
Jorge risolvette le questioni alcooliche per la seconda volta nella giornata.
-          Ha un problema metabolico,  il vino per lui è puro veleno.
-          Tu saresti il suo medico?
-          L’infermiere, non sai che vitaccia mi tocca fare ogni giorno.
              Giuseppe guardò in alto, Dimitros studiò il viso di Jorge, Mario sfoderò la migliore
aria innocente del suo repertorio, il vecchio scosse la testa.
-          I Greci, non sai mai cosa pensano davvero. Andiamo a cena.
Tra una portata e l’altra i cinque dimenticarono i recenti malintesi e Anastasios spiegò la mission della sua Fondazione: si trattava d' incentivare la conoscenza della cultura greca classica, il turismo, gli scambi culturali tra studenti e sì, anche la cucina. Far conoscere la Grecia che resisteva alla crisi e mostrare che non restavano solo macerie; il vecchio ricordò che Apuleia era il nome della costellazione che i suoi avi seguivano per raggiungere l’Italia, da cui l’affinità con la regione. In conclusione aggiunse che la fondazione forniva supporto legale e consulenti per difficoltà o contenziosi degli associati.
-          Tu non hai amici in madre patria? – disse Dimitros a Jorge. – Nessun parente?
-          I miei sono morti da anni, -  rispose inchiodandogli lo sguardo - mi resta un cugino in un’isoletta delle Cicladi. Ho più amici di quanti tu possa pensare e Mario può confermare la loro fedeltà, a casa e in Italia.
Fece una pausa per verificare di avere l’attenzione di tutti.
-          Se invece parliamo di persone affidabili metterei la mia vita nelle mani di quest’uomo, - indicò Pinozzi -  il miglior chirurgo che conosca.
Il silenzio si fece pesante, ma la voce vecchia e robusta disse di nuovo la sua.
-          Proprio vero, non sai mai che cazzo passa per la testa di un Greco. Ma adeso un brindisi per due nuovi amici!
I cinque bicchieri tintinnarono, vino e acqua si mescolarono sul tavolo, suggello ideale di una pace fino a quel momento dura da digerire. Dopo qualche disputa sulla superiorità tra Italiani e Greci in campo culturale, gastronomico e sportivo,  Giuseppe chiese di parlare in disparte con Anastasios. Il figlio e i Genovesi in trasferta continuarono le battute, sterzando sulla sezione arti amatorie: i due summit furono brevi,  padre e figlio salutarono, Jorge scambiò un cenno d’intesa con Mario e parlò.
-          Adesso tocca a noi ascoltare Giuseppe. E quando dico noi intendo anche Mario, non ho segreti per lui e così deve essere per te.
-          Che vuoi sapere?
Se io e Mariella ci amiamo ancora?
Come va il lavoro?
Se sono felice di non avere avuto figli?
Perché ho chiesto a un vecchio greco di darmi una mano?
Jorge lo afferrò per le spalle e lo scosse.
-          Perché mi hai invitato se stai messo così di merda e non hai chiesto aiuto!

-          Volevo farlo,  Mariella me l’ha impedito. Per questo abbiamo litigato e non è uscita con noi.
Fu la volta di Mario nel dire la sua. Lo fece come sapeva, quando doveva affrontare genitori in ansia o avere la fiducia di un bambino che avrebbe operato il giorno successivo. Ottenere la sua innocente complicità.
-          Adesso torniamo a casa, il tempo per spiegare non ti mancherà.
 E Giuseppe spiegò di come era assillato dai debiti, dato ché l’attività della ditta di costruzioni si era ridotta grazie alla crisi. Di Mariella abbindolata da un gruppo di cattolici intransigenti, si era chiusa,  era  impossibile fare sesso con lei se non  per avere figli. E quando gli eredi non sono arrivati lei ha rifiutato ogni aiuto medico,  i contatti con il marito, e gli amici che vedeva tanto simili a lui. Disse anche delle richieste di supporto a Dimitros, visto che aveva  lavorato per lui e i suoi e, non ultimo particolare, i nonni materni di Mariella erano Greci.
I lunghi minuti sul lungomare trascorsero muti,  i tre camminavano mogi al ritmo delle onde che si adagiavano sulla riva lottando contro la fresca brezza di terra. Giunti nei pressi di casa Giuseppe liberò un’ esclamazione.
-          Perché stanno tutte le luci accese? Mariella alle dieci va già a letto.
-          Corriamo a vedere, non mi piace.- disse Mario.
Divorarono le scale, Mario e Jorge in testa ad attendere Luigi che ansimava. Aprì con difficoltà la porta, le mani tremavano: tutto era in ordine, le luci accese come il televisore, le finestre spalancate, i resti di un pasto. Mario riconobbe quell’odore dolciastro e ferroso: corsero in bagno, Jorge imprecò e Giuseppe invocò la moglie, poi svenne. Mario volse gli occhi in alto, tastò il collo di Mariella e afferrò il cellulare e compose lentamente il 112; poi diresse calmo in cucina e ingollò litri di acqua  dal rubinetto. Subito dopo iniziarono i ragionamenti.

Le scene del crimine appaiono monotone nell' apparente diversità. La folla di tecnici e investigatori, i rilievi e le foto, l’odore del sangue, del gas, del veleno o delle deiezioni delle vittime, l’aroma chimico dei reagenti. La location può essere squallida o elegante, al chiuso o all’aperto, il cadavere appare in estate o sotto la pioggia, si tratta di un uomo, una vecchia o un bambino. Le costanti restano invece la fine e l’inizio: una vita spezzata, un film interrotto nel momento di suspense o durante il bacio dei protagonisti. I primi passi degli investigatori, procedere lungo il sentiero nel bosco che rappresenta il delitto, cogliere le tracce nascoste da vegetazione e cespugli, ficcare il naso sotto le foglie sul terreno. Mario rifletteva sulla personale visione delle indagini dell’amico Commissario Moruzzi, nella lontana Milano. Pensava pure all’altro esperto di tracce nel sottobosco della vita e del crimine, il giornalista Munnacci detto Pulitzer: vorrebbe averli con sé, in questo guaio pugliese. Una donna morta, la comunità greca sullo sfondo, un uomo rimasto solo e disperato contro le logiche di profitto, amici distrutti.
La tentazione di lasciare libero il lato oscuro e permettere alla “fame” di gestire le cose a modo suo spingeva dall’interno pronta a inondare di adrenalina vasi e muscoli, lubrificare gli ingranaggi del cervello, accelerare il processore mentale. L’aiuto a tenere sopita la rabbia giunse nei panni di Anastasios e della sua ombra, il giovane Dimitros; i due attesero pazienti che tutti facessero il proprio lavoro e  Giuseppe salutasse il corpo di Mariella, svuotato di sangue e vita, e depositasse la sua figura floscia sul divano. Il figlio chiuse la porta, il vecchio sedette a cavalcioni di una sedia faccia a faccia con il vedovo, Mario e Jorge optarono per due poltrone.
-          Mi dici che cazzo succede veramente?  Tua moglie ieri ha lavorato, stamani avete fatto colazione e ha sistemato la casa, ha accolto i tuoi amici e dopo un po’ si è tagliata le vene. Chissà, magari non c’era un cazzo alla TV o forse si è solo rotta di vivere insieme a un marito che non sa essere uomo.
-          Ehi, vacci piano. – disse Jorge mentre si alzava.
-          Fatti i cazzi tuoi tu. – Dimitros è pronto a un altro duello tra Greci, smanioso di mostrare il proprio valore al padre.
“Non sei Telemaco, - pensò Mario - e nemmeno vedo Ulisse che sfida qualcuno dei Proci”.
Il medico strattonò il braccio dell’amico, che si lasciò andare lanciando uno sguardo tagliente al giovane. Mollata la presa e assicuratosi che Jorge non avesse rigurgiti di orgoglio,  ascoltò il vecchio e Giuseppe.
-          Che ne so! Aveva la testa piena di quelle storie che raccontavano i suoi amici,   l’hanno convinta che doveva essere una buona cattolica.  E lei si vestiva da suora, stava lontano da me e diceva che vivevamo nel peccato.
-          E non potevi accontentarla? Ti costava troppo accompagnarla a messa? Anche la mia povera moglie aveva le sue fisse, molti di noi sono cattolici ortodossi, ma la rispettavo.
-          Io amavo Mariella! Ho fatto quello che potevo, ma il lavoro, le spese e quelli che ci mettono becco…
Frequenza cardiaca 95, in aumento.
Sensazione di calore al viso.
Tensione nei muscoli.
Mario si avvicinò ai due, lo sguardo a Dimitros non ammetteva repliche. Parlò con determinazione.
-          Mariella non si è suicidata.
Ottenne ciò che voleva, l’attenzione di Giuseppe e Anastasios, lo stupore di Jorge e la fine dell’interrogatorio.
-          Quanto siamo stati fuori, due ore?  Secondo voi si è tagliata le vene appena siamo usciti o dopo avere acceso le luci e aperto le finestre, preparato la cena, guardato un programma in TV? Questo richiede almeno 40 minuti, un’ora. Fuori non fa caldo, ci saranno quindici gradi e nel bagno ancora meno visto che guarda a nord. Lei stava nella vasca, al freddo con le vene tagliate: un ora scarsa non era sufficiente per morire dissanguata.
-          C’era la scientifica, hanno fatto i rilevi. – disse uno Jorge perplesso.
-          Li hanno chiamati in piena festa, con le pance piene e i bicchieri vuoti. Può capitare di scegliere la soluzione più facile.
-          Ma…faranno l’autopsia? – disse Giuseppe con voce umida.
-          Non credo sia stata avvelenata o tramortita.
Anastasios riprese le redini.
-          Intendi dire che conosceva l’assassino?
-          La porta mi è sembrata a posto. Giuseppe, tua moglie si chiudeva in casa quando era sola?
-          Mai. Riceveva spesso delle amiche o quei tipi dell'associazione. Abbiamo il video-citofono e poteva vedere chi suonava alla porta.
-          Hai un sistema di registrazione?
-          Troppo caro, non potevamo permettercelo.
Giuseppe inchiodò lo sguardo sul pavimento, Mario sedette accanto a lui: l’uomo sudava, non aveva smesso di farlo dall’arrivo a casa. Il medico conosceva l’odore, diffondeva paura e sconfitta; nessun segno di adrenalina o rabbia, di preparazione all’attacco. Non sentiva l’animale che si mette a guardia della tana violata, ma il cucciolo che ha perso la guida e non sa cosa fare, dove andare.
Mario si alzò. Era il momento di mollare il guinzaglio, lo capì osservando i volti di Anastasios e del figlio, gli occhi di Jorge: l’unico altro uomo che riconosceva i segnali. Mettere le mani in tasca, passeggiare  nel salone senza una meta, affacciarsi alla finestra sul buio, usare parole tese.
-          Ora cerca di riposare, non puoi fare altro. Domani io e Jorge verremo con te a parlare con le autorità.
-          Ci saremmo anche noi. – disse Anastasios.
-          Bene, sono certo che farete la vostra parte. Buonanotte.

La notte lasciò spazio al sole troppo presto. I due Genovesi trovarono Giuseppe sul terrazzo, davanti a una caffettiera vuota e parecchi mozziconi di sigaretta. Mario notò che il sentore di paura era scomparso, riusciva a percepire solo rassegnazione: l’uomo stava osservando i rifiuti gettati sulla spiaggia dalla tromba d’aria, ma non aveva nessuna intenzione di raccoglierli e mettere in ordine. Forse pensava che comunque nessuno avrebbe messo piede su quella sabbia per parecchio tempo.
La visita alla Questura e all’obitorio non regalò sorprese: documenti, firme, strette di mano, le faremo sapere, stia a disposizione. Jorge e Pinozzi decisero di separarsi: il greco avrebbe fatto compagnia a Giuseppe, in casa. Mario aveva intenzione di fare un paio di visite, in luoghi della città ben distanti tra loro.

La sede di “Croce e libertà” stava a due passi dal Policlinico cittadino, in una piazza colpita dalla luce di maggio. Il sole fece socchiudere gli occhi di Mario dietro le lenti chiare. Jorge non la smetteva di ricordargli che un chirurgo aveva il dovere di proteggere la vista dal sole, ma si trattava di Pinozzi e ogni raccomandazione dell’infermiere otteneva lo stesso risultato del monito di una madre al figlio adolescente.
Lo stabile era ben curato, il portone di legno scuro e massiccio, la targa recitava scala A secondo piano.
Ti aspettavi una sorta di sacrestia con arredi scarni e in penombra; sei accolto da una porta automatica a vetri, l’aria condizionata e un uomo in giacca e cravatta. Questo si dava da fare dietro un desk per l’accoglienza, posto tra l’ingresso e due postazioni con PC occupate da giovani donne impegnate alle tastiere.
L’impressione ricavata fu che fossero occupati, ma a Mario non sfuggì l’occhiata rapida e fredda del tipo elegante. Che continuò imperterrito nel suo lavoro.
Mario tossì un paio di volte, senza ottenere attenzione.  Provò a battere la punta del piede sul bancone e grattarsi la barba ispida. Nulla. Giocò l’ultima carta.
-          Ho visto tua sorella ieri sera, - disse all’uomo – batteva sul lungomare. Un vero cesso.
-          Dice a me? – sussurrò quello, mostrando  occhi ghiacciati.
-          Ho lei davanti, mi chiedevo se potessi parlare con il responsabile. Sono Mario Pinozzi, amico di un'adepta che mi ha parlato di voi. Mi ha incuriosito, ed eccomi qua.
Il tizio senza nome mise in ordine alcune carte, ripose la penna, controllò il PC.
-          Qui non ci sono adepti, solo persone che vogliono dimostrare di seguire alla lettera i precetti religiosi. – disse dopo alcuni secondi.
-          Non chiedo di meglio, adoro i precetti. Ne ho fatto una ragione di vita.
-          Allora la invito a prendere la nostra brochure, qui sul bancone. Potrà consultarla con comodo e tornare quando avrà chiari i nostri intenti.
-          Penso di essermi fatto un’idea, ma seguirò il suo consiglio. Grazie
-          Di nulla, posso chiederle chi è la sua amica?
-          Perché no, si chiamava Mariella Caroleo. Arrivederci.
Pinozzi uscì senza attendere repliche e salì su un taxi. Telefono, rubrica, Commissario Moruzzi. Inviò un SMS, odiava gli altri metodi di inviare messaggi: si trattava di parole, perché inserire sempre e comunque una  foto di te che bevi un drink  o il tuo tramonto preferito? 
Nel tragitto verso la seconda destinazione valutò e pesò gli ingredienti che aveva raccolto: una donna apparentemente suicida, il marito in difficoltà economiche, dissidi legati a questioni religiose, amici che sembrano sapere molto e parlano poco, la scena del delitto cui avevano accesso poche persone selezionate. La ricetta era ancora lontana da un abbozzo di pasto, ma la fame spingeva dal profondo.
La sede della Fondazione Ellenica non aveva nulla da spartire con il palazzo che ospitava i ferventi religiosi: ai margini di Bari vecchia, faceva capolino dalle vecchie mura e guardava il mare. Bassa, pareti bianche e tetto rosso, se ne stava per metà all’ombra del bastione; le imposte azzurre e lucide evocavano suoni e profumi dell’Egeo. Solo l’Audi A6 nera stonava, parcheggiata sotto una delle finestre.
Mario si ritrovò in un locale ampio e luminoso: alle pareti quadri e poster con paesaggi marini, ulivi e vestigia dei fasti achei. Un tavolo enorme di legno grezzo stava al centro della stanza, invaso da vecchi computer, depliant e ciotole di cibo misto a brocche in ceramica.
-          Benvenuto, efkaristo!
La ragazza lo salutò con un sorriso e gli tese la destra. Mario apprezzò la stretta gentile e sicura. Bionda, capelli corti, alta. Indossava jeans e felpa, ai piedi Converse bianche.
-          Mario e tu sei…
-          Ekhaterina. Come posso aiutarti? Un viaggio, un ristorante, un corso di arte classica, la musica…
-          Frena, vai piano. Devo solo parlare con Anastasios o suo figlio, sono qua per conto di Giuseppe Ranieri.
Il sorriso svanì, si fece cauta.
-          Beh…sarebbero impegnati, ci occupiamo di tante cose. Dimitros poi sta seguendo gli sbarchi di profughi sulle coste greche. Insomma, è una giornataccia.
-          Bah, il tempo è stupendo e tu mi hai accolto con un sorriso da pubblicità per dentisti. Dico chi sono, che ci faccio qui e ti chiudi a riccio: o Mario è diventato orribile oppure…
-          …lei è una donna prudente. Buongiorno Pinozzi- disse Dimitros, dalla soglia della casa.
-          Ciao Dimitros, io non gli ho detto nulla.
-          Va tutto bene, ha trovato lui Mariella insieme a un amico e Giuseppe. È un medico e sa il fatto suo.
-          Meglio così, - disse la donna – porto qualcosa da bere?
-          Un ouzo. Per te Mario?
-          Niente alcool, lo sai. Ma comincio a ragionare solo dopo il terzo caffè. E oggi il cervello deve essere ben lubrificato.  
Caffè e ouzo giunsero nell’ufficio di Dimitros, accompagnati da pasticcini. L’ambiente era sobrio e accogliente, confermava lo stile dell’abitazione.
Mario saltò i preamboli e raccontò della visita alla sede di “Croce e libertà”, senza soffermarsi sulla discussione con il tipo elegante senza nome. Dimitros, confermando l’impressione avuta nei precedenti incontri, si rivelò deciso e concreto. Parlava giocherellando con una Montblanc.
-          Hai di certo parlato con Giovanni Armenise, un cane da guardia senza catena. Questa la mia impressione, ma non so molto altro di lui. Vive nel Quartiere Libertà, è single, si muove con una Golf turbo. Nulla di strano.
-          Che ci fa in una congrega di persone che rovinano una coppia spingendo la donna a diventare una suora laica?
-          Sono parole di Giuseppe,  ma quello esagera in tutto. Mariella non è mai stata una che amava uscire e fare tardi, lavorava sodo ed era una buona moglie. Tutto qui. Fosse stata anche cattolica ortodossa? Non è un mistero che anche nella nostra comunità ne vivono parecchi.
-          Si dava da fare con la vostra Fondazione?  Le sue origini in parte erano greche.
-          Aiutava nei nostri meeting. Collaborava alle iniziative con gli studenti, cucinava qualcosa per le riunioni.
Ma sono certo che i poliziotti faranno tutto quello che possono, oggi hanno mezzi molto moderni.
-          Restano persone, come noi due. Il capitale umano è quello che ha maggiore importanza,  non sei d’accordo?
Dimitros si limitò a un embrione di sorriso.
-          Grazie della visita, ma ho molto da fare. – disse.
-          Il solito chiacchierone, tolgo il disturbo. Salutami tuo padre.
Mentre dirigeva verso l’uscita  fu intercettato da Ekhaterina.
-          Com’è andata la dentro? – chiese.
-          Mi serve un avvocato o stai per elencare i miei diritti prima dell’arresto?
-          Mi ero sbagliata, - ridendo - tutto qui. È venuto uno sbirro a ficcare il naso prima di te e non sapevo come regolarmi. Ma posso farmi perdonare.
-          Sono tutto orecchie.
-          Stasera alle dieci, passa di qui e ti porto in un locale. È troppo tardi per te?
-          Mi hai preso per tuo nonno? Sappi che lavoro molto, dormo pochissimo e sogno ancora meno. Tira le somme.
-          A stasera allora, andremo in un posto che fa per te.
-          Che tipo di locale è, fanno musica? Devo vestirmi in modo particolare?
-          Sei  un medico, sarai abituato agli imprevisti. Trova tu la soluzione.

1 commento:

  1. Grazie a Mimma per avere ospitato il ritorno di Mario; si sposta a sud, ma la costante sono i guai, il cibo e il sangue.
    Buona lettura.
    L'autore

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