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martedì 16 ottobre 2018

La festa di San Nicola, tra burrate, tiella e sangue -seconda parte


di Marco Moretti


Mancavano parecchie ore all’appuntamento, Mario fece rotta verso casa di Giuseppe sulle orme della sera prima. Dal buio al sole, eppure si muoveva nell’ombra: i pensieri non erano a colori, vedeva grigi i ricordi e i dialoghi, non percepiva la profondità e i contorni sfumavano. Nonostante il caffè dovette ammettere che il processore mentale  faticava nell’assemblare i dati raccolti e dare il giusto peso alle persone appena conosciute. Serviva una luce più potente che rendesse visibili gli angoli ancora immersi nel buio.


Da Giuseppe nessuna novità, lui riposava e Jorge passava annoiato dalla TV e le riviste  allo smartphone.
-          Sempre con quell’aggeggio tra le mani. – disse Mario – Te lo metterò nella bara, così potrai rompere anche dal paradiso.
-          Nessuna voglia di andarci lassù, troppo noioso. Poi sei tu quello che non coltiva le relazioni, io devo pensare alle mie ragazze rimaste a casa.
-          Il Casanova delle Cicladi, dimenticavo. Comunque stasera penserai tu a Giuseppe, io ho un impegno.
-          Non hai ancora finito di fare domande e cacciarti nei guai?
-          Per i guai abbiamo tempo, mi vedo con una donna.
-          Bastardo, con tutto il rispetto per tua madre.
-          A quanto ho capito è pure Greca.
-          Confermo, chi ti ha messo al mondo non ha colpe. Mi auguro tu vada in bianco.
-          Corri troppo, è solo il  primo appuntamento.
-          Primo e ultimo, ci scommetto una cena nel centro storico. Più tardi prenoto il ristorante per il nostro ritorno.
-          A patto che non andiamo in una delle tue bettole da quattro soldi.
Mario evitò per un soffio la pesante rivista di viaggi lanciata con forza, si eclissò nella camera e chiuse la porta a chiave.
Stabilita una tregua, i due consumarono una cena leggera in compagnia di Giuseppe: Mario e Jorge non dovettero sprecare energie per allentare la tensione tipica di momenti simili. L’uomo era un sacco vuoto e floscio, abbandonato sulla sedia: portava le posate alla bocca con gesti al rallentatore, ruminava il boccone per minuti. Fissando un punto che solo lui poteva vedere. Jorge provò a metterla sull’ironia.
-          Oggi fai concorrenza al nostro Mario, in due avete mangiato meno di un neonato.
-          Meglio stare leggero, - replicò Pinozzi ammiccando – stasera devo reggere il confronto con una trentenne.
-          Allora non è sufficiente andare a stomaco vuoto, ti serve la pillola blu. – Jorge acido.
-          Mica devo fare una maratona, mi basta una buona corsetta.
-          Attento, ricordati che hai superato i cinquanta!
-          Mandami pure la contravvenzione a casa, io vado.  Ci vediamo domani.
Jorge non rinuncia all’ultima battuta. Non da quando Mario lo conosce.
-          Lascio il cellulare acceso, quando sarai in Cardiologia fai chiamare me per le tue ultime volontà.

Giunto sul luogo dell’appuntamento, Mario trovò la sede della Fondazione con  porte sbarrate e  luci spente. Nessun segno di vita all’interno, né lungo il perimetro dello stabile. L’orologio diceva ventidue e dieci, il cervello si preparava alla fregatura, lo stomaco protestava. Mario sentiva la lana del maglione sulla pelle del collo, fastidiosa; il termometro della farmacia di fronte lampeggiava verde la cifra 23. Clima ed eventi della sera precedente gli avevano messo i brividi, oggi l’estate tentava un approccio sfrontato ricordandogli la latitudine a cui si trovava. In compenso non c’era traccia di chi l’aveva invitato; notò solo un ombra ondeggiante che si avvicinava.  Quando entrò nel cono di luce dei lampioni i contorni divennero  netti e i colori si accesero: le gambe salivano da tacchi dodici, rossi, verso curve pericolose. Su una di queste poggiava il braccio che scompariva nel giubbotto stretch color della notte; l’altra mano teneva una sigaretta spenta. Il viso si nascondeva tra occhiali e capelli. Nerissimi. Sulle labbra trionfava il vermiglio.
-          Hai da accendere?
Mario realizzò che l’apparizione sapeva parlare.
-          Mi scuso per la risposta banale, ma non fumo. – disse fissando le lenti scure.
-          Tutto pregi e virtù, o una traccia di cattivo ragazzo la troviamo?
-          Quando finirà il terzo grado mi piacerebbe capire chi ho di fronte.
La donna sfilò gli occhiali e liberò una risata sincera.
-          Ti facevo più attento ai particolari, non hai riconosciuto la mia voce.
-          Ho notato dettagli ben più interessanti di quattro parole!  Tu non sei l’ Ekhaterina che ho conosciuto oggi.
-          Quante storie per un po’ di trucco e due stracci addosso. Tu piuttosto, sembri un professore universitario: maglione di lana, jeans e Timberland. Andiamo.
Gli porse il braccio e si incamminarono verso Bari vecchia.
L’insegna appesa sopra l’ingresso saettava laser nel buio e sulle pareti del vicolo: una coda multicolore si snodava dalla soglia dell’Insomnia, perdendosi nel buio. Mario ignorò le occhiatacce rivolte a lui ed Ekhaterina che superavano la fila, diretti senza remore verso l’entrata del locale. Questa era sbarrata da una figura che Mario etichettò come la custodia per qualche altro uomo, enorme. Salutò la donna e la abbracciò, mentre Pinozzi si preoccupava per l’ incolumità della sua compagna.
-          Ciao Faruk, come va a casa? Amina e Amir?
-          Alla grande sorella, lei sta bene e il piccolo cresce. Spero non quanto il padre o ci cacciano da casa!
-          Lui è Mario, un amico. Andiamo a farci quattro salti.
-          Gli amici di Ekhaterina sono amici miei. – fissando Mario.- I suoi nemici durano poco. Divertitevi.
Il locale teneva fede al nome: le teste dei ragazzi si alzavano e abbassavano ritmiche, i bassi pompavano nel petto di Mario, Ekhaterina lo afferrò e lo trascinò nel mucchio.
Dopo minuti interminabili il medico mimò il gesto del time-out, prese la donna per mano e la trainò fino al bar.
-          Che bevi? – le disse.
-          Un rhum cooler, per cominciare.
-          Per lei quello che ha chiesto, - rivolto al barman – io prendo una Coca con ghiaccio.
-          Hai paura di sbronzarti e che possa approfittare di te? – rise lei.
-          Io e gli alcoolici abbiamo rotto l’amicizia da tempo, è una storia lunga.
Piuttosto, qua non c’è niente da mettere sotto i denti?
-          Vuoi mettere a rischio la mia linea? Lascia perdere, il messaggio è chiaro: l’ Insomnia non fa per te. Seguimi.
Questa volta fu lei a solcare per prima il mare di persone e raggiungere l’aria aperta.
Non servì la guida della donna, fu sufficiente affidarsi al naso: nonostante l’ora trovarono qualche piatto di riso patate e cozze, burrate, Primitivo e acqua (per lui, ormai è ovvio), cioccolata  e cartellate. Mario propose l’ennesimo caffè, Ekhaterina un bicchiere di amaro che vennero ingollati sugli scogli del lungomare; la luna si comportava da testimone discreto e ci metteva la luce sufficiente.
-          Che mi dici di Mario, - chiese la donna – sei davvero un Genovese burbero e taciturno. O c’è altro sotto la scorza?
-          Se scavi troverai roba buona e cattiva, l’ho sepolta dopo aver fatto pulizia. Ho avuto a che fare con tanti tipi di sporcizia e quando sposti rifiuti qualcosa ti resta addosso: puzza e macchie. Mi sta bene così, affronto mostri differenti in sala operatoria e fuori: il risultato è simile, ricavi qualcosa e perdi altro. Quello che conta è il bilancio finale.
-          Sei soddisfatto?
-          È presto per tirare le somme, sono ancora in corsa e non vedo il traguardo. Diciamo che cerco di vivere il presente senza guardarmi troppo dietro le spalle.
Ekhaterina invece si sente di più  Penelope o  Circe?
-          Solo la prima era Greca e non è proprio il mio ideale: non mi ci vedo ad aspettare  Ulisse ogni sera. – un’occhiata alla luna che stava per abbracciare il mare. - Ma le ore scorrono e presto il sole brucerà il resto della notte. Che ne dici di non sprecarlo?
Il bacio fu lento e delicato, un assaggio dei loro sapori: a entrambi piacque e   proseguì a casa di Ekhaterina. Divenuto un pasto, si tramutò in una cena sontuosa che li impegnò sino all’alba.
Fu Mario a preparare il caffè, dopo aver tradotto con Google la frase della donna: “Pamos gia cafe?”. E avere spedito un SMS anche a Munnacci, il giornalista.
In casa scovò l’attrezzatura completa per preparare la bevanda secondo le tradizioni elleniche, ma il risultato fu una brodaglia calda e sporca che copriva della fanghiglia marrone. Dopo una doccia insieme consumarono l’abbondante colazione al cospetto del Teatro Petruzzelli, indifferenti ai comuni mortali che continuavano a recarsi al lavoro nonostante i festeggiamenti in corso.
Fu Mario a rompere gli indugi e affrontare la questione.
-          Che ne sai di Giuseppe e Mariella, le cose sono davvero così brutte?
-          Quello che conosco l’ho carpito a Dimitros: lui è assillato dai debiti, lei era ostaggio di “Croce e libertà” e da allora le cose sono peggiorate.
-          Avete fatto ricerche su quella gente? Ricattavano Mariella? Forse non era la santa che dice Giuseppe.
-          Quello bisogna chiederlo a mio padre, ha agganci nella Polizia e amici “particolari”. Nulla di illegale, ma sono persone di cui non conosco il nome.
-          Potresti farmi parlare con lui?
-          Ma l’hai già fatto! E conosci anche mio fratello, Dimitros.
Lo stupore fece spazio alla rabbia, non certo la fame, quella andava tenuta ancora al guinzaglio.
-          Complimenti, mi tieni d’occhio per conto della famiglia e te la spassi. Ti presento Mario, il fantoccio.
Fece per alzarsi, lei lo trattenne con forza.
-          Mi sei piaciuto subito, ma non volevo darlo a vedere. Detesto mio fratello e la sua smania di essere all’altezza di nostro padre! Lui non c’entra nulla.
-          Non basta per farti perdonare, - con un sorriso – ho bisogno di aiuto.
-          Come vuoi, andiamo a trovare un amico. Potrà esserti utile, ti anticipo però che conosci anche lui.
Faruk e la famiglia abitavano al terzo piano di una moderna palazzina nel Quartiere Libertà; la porta fu aperta da Amir, una piccola e nera forza della natura che zompò tra le braccia di Ekhaterina. Dopo le presentazioni Amina guidò tutti in salotto, Faruk dormiva e non era consigliabile svegliarlo prima dell’ora di pranzo. Mentre Mario fu destinato a rintuzzare gli attacchi del bambino, le donne si dettero da fare in cucina. Prepararono agnello e cous-cous, thè alla menta e pane secco, datteri e frutta fresca.
Il pranzo trascorse in silenzio, Mario che tentava di indovinare il peso del cibo ingurgitato da Faruk e il figlio, mentre lui e le due donne si accontentarono di porzioni pediatriche. Il capofamiglia parlò dopo il thè, senza essere interrogato e dopo avere spedito Amir a giocare in camera.
-          Giovanni Armenise fu Luigi arriva da Bitonto tre anni fa, su invito dello zio paterno Pietro, detto Petrù. Vive nella palazzina rossa che puoi vedere dalla finestra  alle tue spalle. Gira in auto, non riceve femmine, qualcuno dice che sia molto religioso: io penso che è solo un grande frocio. Lo zio presta denaro a strozzo, ha inguaiato parecchie persone e altrettante ditte sono passate nelle sue mani.
-          Quindi quella specie di setta, “Croce e libertà”, sarebbe una copertura. – disse Mario.
-          Piuttosto l’amo per prendere i pesci giusti. Certa gente di qua è molto religiosa, parlo di famiglie serie e importanti, devota al Santo e credente. Alcune delle signore sono state agganciate e convinte a fare donazioni importanti, al punto di rovinare le aziende del consorte. A quel punto entra in gioco Petrù che offre il prestito e si pappa tutto.
-          La Polizia che fa, - intervenne Ekhaterina – va a pranzo con quelli?
-          No di certo, ma sanno come muoversi e hanno avvocati in gamba.
-          Perché la morte di Mariella, - chiese Pinozzi – cosa è andato storto?
Faruk rispose allargando le braccia e girando in alto i palmi delle mani.
-          Attento a come ti muovi, Mario, quella è gente velenosa. Non tirare dentro la mia amica in questo guaio.
-           Perché mi hai raccontato tutta la storia?
-          Io e Amina le dobbiamo molto, quando ti ho visto con lei ho fatto un paio di telefonate, ed eccoci qui. Ekhaterina non sapeva che ho raccolto informazioni su di te: siete venuti solo per chiedere il mio aiuto. Ma io mi fermo, temo per la mia famiglia.
-          Sai parecchie cose e parli un Italiano perfetto, dove hai studiato?
-          Qui a Bari, sono ingegnere e Amina fa l’insegnante part-time: Mariella era sua collega.
-          Capisco, l’unico che ti faceva lavorare era Giuseppe. Il colore della pelle pesa anche da queste parti e se non fossi un armadio saresti a spasso.
Questa volta l’uomo rispose solo con un sorriso degli occhi.
Il tono di un messaggio in arrivo ruppe il silenzio sceso sulla tavola. Mario controllò il telefono e  una smorfia deformò il volto.
-          Che succede? – disse Ekhaterina.
-          Guai, Giuseppe ha ricevuto una telefonata da un numero sconosciuto: la voce si diceva dispiaciuta per la disgrazia familiare e consigliava di non rivolgersi alle persone sbagliate.
Mario parlò fissando il tavolo, Faruk guardò la moglie che chiuse gli occhi e abbozzò un sorriso. Ekhaterina strinse i pugni.
Faruk posò il tovagliolo, si alzò senza fare rumore, stirò il collo.
-          Andiamo, - disse – Mario prende il caso di Amina e tu quello di mio figlio.
Il sidecar Guzzi V7 era rosso, fiammante: i due lasciarono il guscio alla donna, Faruk guidava, Mario si teneva ben saldo allla cintura dell’armadio umano. Il mezzo si rivelò in forma e partì senza sforzo, seguito a breve distanza da un'Alfa Giulia blu con i vetri scuri.
Mentre percorrevano un largo viale l’auto accelerò e si piazzò accanto alla moto, il guidatore che strombazzava con il clacson.
-          Che cazzo sta facendo questo? – disse Mario.
-          E vattene, vai a dormire! – Ekhaterina con il dito medio alzato.
Faruk rallentò e fu imitato dall’auto, diede gas e così fece l’autista che rimaneva a pochi centimetri dal sidecar. Il finestrino si abbassò e la canna lucida e scura di una pistola sparò due colpi. Faruk scartò un poco, Mario tolse il casco e lo scagliò centrando l’abitacolo, la Giulia sbandò terminando la corsa in una fila di auto parcheggiate. Faruk osservò la scena dallo specchietto e frustò a dovere i cavalli del V7.
Arrivarono a casa di Giuseppe dopo mezz’ora di corsa bruciando semafori e stop. Faruk era impassibile, Mario aveva il volto livido, a Ekhaterina tremavano le mani.
-          Da dove venite,  - disse Jorge – dalla Parigi-Dakar?
-          No, ci hanno solo sparato addosso per strada.- rispose Mario.
-          Non volevano colpirci, impossibile sbagliare a quella distanza. – Faruk, con la calma abituale – Era solo un avvertimento a non ficcare il naso. Me lo aspettavo, ma non con questa velocità, mando un paio di amici da Amina e Amir.
Si allontanò per telefonare, mentre Jorge e Giuseppe portavano  da bere.
-          Mi serve un caffè, lo sai. Dobbiamo fare il punto, capire cosa abbiamo. – attaccò Pinozzi – Usurai travestiti da congregazione religiosa, ma Giuseppe doveva dirci qualcosa di più! Un falso suicidio, gli amici della Fondazione Ellenica che fanno gli gnorri e minacce a mano armata. Io mi sarei rotto di prenderle, sarebbe ora d restituire qualche pugno.
Giuseppe reagì a modo suo, impregnato dal la calma del vinto.
-          Vedo che sai come stanno le cose, ma non ho idea del perché Mariella sia morta. Non ho altro da dirti.
Lasciò la sala per rifugiarsi in  bagno.
-          È il momento di lanciare un SOS:- disse Mario -  io penso a chiamare Milano, tu  contattata i tuoi amici.
Senza attendere risposta Pinozzi afferrò il telefono e sparì, mentre Jorge si avviò alla porta. Faruk confabulava nella lingua madre, Ekhaterina aprì il mobile e si versò un whisky.
Diversi minuti dopo Mario tornò e riferì.
-          Dopo la morte di Mariella ho chiesto notizie al Commissario Moruzzi e al giornalista Munnacci: sono due tipi  di Milano degni di fiducia. Hanno fonti diverse, ma confermano il giro di usura e la “setta” usata come copertura  per estorcere denaro. Anche gli amici di Ellenica – gli occhi su Ekhaterina – si sono mossi per capire i motivi del suicidio-messa in scena. Da tempo tentano di arginare quella piaga con mezzi legali, ma la salita è ripida. Perciò ho dato via libera a Jorge, che ha contatti con persone efficienti: vi assicuro che mi hanno aiutato in un grosso guaio, senza fare domande. Resta da capire cosa possiamo fare noi tre, visto che  Giuseppe sembra fuori gioco.
-          Torno a casa e affido i miei ai fratelli, li porteranno in un posto sicuro. – disse Faruk.
-          Io penso di andare alla Fondazione, meglio non tornare a casa da sola.
-          Resta qui, - consigliò Mario – Giuseppe è a pezzi. Non vorrei facesse qualche cazzata, vado io dai tuoi. Ti va?
-          Okay capitano, ma non lasciarmi troppo a lungo su questa barca.
 Mario la salutò con un bacio, prese il casco e uscì con Faruk. Scendendo le scale gli parlò deciso.
-          Adesso telefoni ai tuoi fratelli, che pensino ad Amina e Amir. Tu vieni con me, mi potrai essere utile.
-          Capisco, prima hai detto una mezza verità.
-          Diciamo che ho avuto notizie un po’ meno chiare di ciò che ho riferito. Avverto Jorge e andiamo.
Telefonata concisa, casco in testa e in sella.
-          Salta nel guscio, starai più comodo. Dove ti porto?
-          Nella culla della civiltà occidentale.
Al termine del breve tragitto il mento di Pinozzi aveva  conosciuto intimamente  le ginocchia, la schiena lo maledisse e la testa gridò di felicità una volta liberata dal casco pediatrico. Scesero e si avviarono.
-          Ancora una volta qua, mi sta diventando familiare. Entriamo.
Trovarono l’interno in condizioni simili al giorno precedente, salvo  le scodelle con il cibo che contenevano pochi avanzi. Stessi poster e depliant,  medesima luce e profumi. Bussarono alla porta della direzione, la voce tuonò un “avanti”.
-          Buongiorno Anastasios, oppure è una mattina sbagliata?
-          Mario, che ci fai qui? Lui chi è? – domande a raffica, come da copione -  Dove hai lasciato Giuseppe? Sono solo, Dimitros è andato al porto e mia figlia non si è vista.
-          Siamo tutti soli, come quando dobbiamo prendere decisioni. Quando ci innamoriamo e apriamo il cuore con qualcuno. Siamo soli anche se ci arrabbiamo e siamo delusi: anche la rabbia cresce sola, è un seme cattivo che germoglia annaffiato da delusioni e fallimenti. Si alimenta e  diventa un’ erbaccia che non puoi estirpare, ti serve aiuto. In alternativa puoi coltivarla, diventare una pianta che ha bisogno di sempre maggior nutrimento. Infesta il tuo giardino, impedisce a chiunque di entrare e non ti permette di uscire.
-          Ci mancava solo un altro filosofo, no grazie ne abbiamo avuti anche troppi. Sono un uomo pratico, vai al dunque.
-           Non parlo di te, ma di qualcuno che nutre la rabbia con ambizione e orgoglio,  fame di successo. Io stesso cedo talvolta a un certo tipo di fame e di smania, non è un bello spettacolo quando succede…
-          Basta! Chi sei tu per venire a giudicare e sputare sentenze a casa mia, criticare il lavoro di anni. Fuori di qui!
Anastasios stava in piedi e si reggeva alla scrivania con le braccia tese.
Mario mise le mani nelle tasche dei jeans, non erano chiuse a pugno. Non ancora, attendeva il momento giusto, il bersaglio adatto.
Sulla porta si materializzarono due figure, silenziose e armate. Due uomini giovani, eleganti, occhi senza anima. Uno dei due sorrideva ed esibiva un taglio recente sulla fronte. L’altro teneva la pistola con mani in guanti di lattice.
-          Buongiorno a tutti, - disse quello col sorriso – voi due raggiungete mio padre dietro la scrivania. Niente cazzate, non ne avreste il tempo.
-          Tranquillo Dimitros, non mi stavano minacciando. Metti pure via…ma..che ci fai con una pistola? Chi è il tipo con te?
-          Sei proprio un povero vecchio che non si arrende al tempo, non vedi o ascolti altri che te stesso.
-          Come puoi parlarmi cosi? Sono tuo padre…
-          È quello il punto, ma tu hai voluto essere anche padrone, maestro, comandante. E non puoi tenere il timone se non governi le vele, ma basta parlare: è ora che ti fai da parte.
-          Porta rispetto, non  vali un decimo di tuo padre.
Dimitros disse “no” più volte con la testa, l’aria sconsolata.
-          Non lo capisci neanche davanti a una pistola: non mi è mai fottuto di essere alla tua altezza! Io penso a Dimitros, alle sue ambizioni, le sue voglie: basta sopportare il vecchio maschio alfa della famiglia.
-          Pensi di sapere gestire tutto questo, i rapporti compl…
-          Ti puoi portare tutto nella tomba! Con Giovanni, -  un cenno del capo verso il complice – ho iniziato una vita di affari e piacere. Ce la godiamo e spenniamo quei grassi imprenditori buoni solo per  lavorare e le mogli credulone.
Seguì il silenzio, sul fondo solo il respiro affannoso di Anastasios rosso in volto e con  i pugni serrati. Mario riceveva qualche segnale, dalla frequenza cardiaca ai primi  brividi. Faruk assisteva impassibile, ma gli sguardi saettavano da Armenise a Dimitros: ancora non aveva scelto la preda più debole.
Come negli incontri precedenti fu il vecchio a parlare, sussurrando, nessun tuono dalle corde vocali.
-          Che fallimento, un figlio traditore e nemmeno uomo, una figlia che non si sposa. Ma si, meglio che finisca così. – concluse afflosciandosi sulla sedia.
Dimitros spostò gli occhi dal padre sconfitto a Faruk e Mario, cercava altra soddisfazione.
-          Tu non parli, ma pagherai anche questo. – indicò la fronte – Hai avuto solo fortuna nel centrare il finestrino.
-          Io vedo solo un bullo armato che si è portato l’amichetto body-guard: faresti la voce grossa se fossimo soli?
-          Non ci casco, non me ne frega nulla di regole non scritte  o cazzate del genere.
-          Neanche a zio Petrù Armenise , che fotterà te senza pensarci un minuto quando non gli sarai più utile. Non credere che gli importi qualcosa del debito che hai con lui. – Mario parlò ad Anastasios – Sì, il tuo campione ha parecchi vizi e costano caro: da quello che si guadagna la cricca del suo amichetto trattiene una bella cifra. Così sanno che lui dovrà darsi da fare per mantenere il tenore di vita: l’ultima vittima è stata Giuseppe, anzi Mariella. Perché l’avete ammazzata?
-          Tanto non lo dirai a nessuno, - un lampo di freddo orgoglio – la stupida si è innamorata di Giovanni: che vuoi, deve essere gentile e premuroso con quelle come lei. Era assillante, gli telefonava, capitava in sede a orari assurdi, gli stava addosso.
-          Temevate che raccontasse qualcosa a Giuseppe, del tipo che Giovanni ci aveva provato, per fargliela pagare.
-          Peccato doverti sparare, ci farebbe comodo uno come te.
-          Dovresti prendere anche il mio amico Jorge, siamo inseparabili.
Dimitros rise.
-          Quello non vale nulla, l’ho capito l’altra sera. Pende solo dalle tue labbra.
-          E che mi dici di Faruk, lui è in gamba, fortissimo.
-          Nessuno può fermare un paio di pallottole, neanche quell’armadio.
Ci fu un nuovo stallo: Dimitros si alzò, Faruk prese a spostare lento il peso da un piede all’ altro, Dimitros puntava la pistola a turno sui tre dietro la scrivania, Armenise e Mario parevano statue di cera.
-          Fermo tu, gorilla – disse Dimitros.
Faruk respirava lento.
-          Tu alzati, padre.
La pistola guardava ora Anastasios.
-          Giovanni, tu pensa agli altri due.
Armenise ruotò testa e braccio di pochi gradi verso destra.
-          Guardami negli occhi, figlio.
Dimitros sparò, il vecchio rovinò sulla sedia. Armenise si girò sulla sinistra e sparò alla testa di Dimitros: il sangue lordò i poster. Faruk divenne una palla scura di catapulta, partì un altro colpo. L’uomo bianco venne colpito al petto dalla testa ricciuta,  l’effetto della carica di un toro, e cadde. Braccia e gambe del killer spuntavano dalla mole che lo ricopriva: aveva perso l’ arma e tentava di togliersi di dosso Faruk. Mario allontanò la pistola con un calcio e ne sferrò un secondo sul volto di Giovanni, che svenne. Tentò di muovere Faruk, che sanguinava, ma dovette desistere: gli tastò il polso e afferrò il cellulare, compose il 112 e riattaccò dopo due squilli.

-          Ce ne hai messo di tempo.
-          Ho fatto subito un paio di telefonate e mobilitato gli amici, ma erano solo in tre. Servivano più persone, e più ore.
-          Fortuna che la Polizia è arrivata in forze, mi hanno aiutato a girare Faruk e ho potuto controllare. Si è beccato un proiettile in pancia, ma sembra uscito senza fare danni, se la caverà; ha caricato  come un bisonte e quello ha sparato a caso.
-          Con Dimitros non ha sbagliato.
-          Gli stava accanto e non  sospettava di dover morire.
-          Perché questa commedia?
Mario si grattò la barba e sbadigliò, stava iniziando la vera fame. Il tributo alle scariche di adrenalina.
-          Zio Petrù deve aver pensato che Dimitros era diventato un problema, per come aveva gestito la faccenda di Mariella. Per loro era solo un contabile da licenziare.
-          Che mi dici di Anastasios?
-          Ha la spalla destra in frantumi oltre che il cuore a pezzi. Per fortuna il figlio non valeva nulla neppure come killer. Armenise è vivo, ma si è guardato bene dal dire anche una sola parola.
-          E Mario come si sente?
-          Sta come ogni volta che mi infilo in qualche guaio: abbiamo pulito, ma la sporcizia era tanta e  me ne porterò addosso un po’. Per qualche tempo.
-          O fino alla prossima volta.
Hai parlato con la figlia del vecchio?
-          Non mi risponde, ma posso capirla: ha scoperto che il fratello non era un semplice gradasso ambizioso e ha quasi perso il padre. Che l’ha vista sempre come un secondo  maschio mancato e rinunciava al sogno di vederla sposata. Ha toccato con mano un mondo di cui sentiva solo nelle cronache.
-          Adesso dovrà accudire il padre, pensare a lui.
-          Sarà una gara tra due tipi diversi di orgoglio ferito, non so dire se uno di loro accetterà il compromesso.
Jorge tacque, poi si grattò la testa. Mario conosceva quel gesto.
-          Spara, - disse - cosa ti tormenta?
-          Due questioni: chi ha chiamato la Polizia?
-          Deve essere stato Moruzzi, quando ho sentito lui e Munnacci mi hanno dato notizie simili su “Croce e libertà”. E su Dimitros.
-          Sospettavi di lui?
-          Da subito: l’arroganza, i vestiti e l’orologio costosi, l’auto di lusso. Come poteva permetterseli lavorando per il padre?
-          Lui non ha mai avuto sospetti verso il figlio.
Mario accarezzò ancora la barba e stirò il collo.
-          Spesso non vogliamo vedere i segnali lanciati dalle persone che amiamo.
-          La seconda domanda è più pertinente: che facciamo con Giuseppe?
-          Nulla. Deve sapere che ci siamo, ma adesso è solo e deluso come Ekhaterina e Anastasios. E da solo dovrà farcela.
Adesso andiamo, voglio  fare una doccia, mangiare e dormire. Non necessariamente in questo ordine.
Dal volo di ritorno i due salutarono la città di San Nicola, il mare e la sua gente: che si era fatta chilometri per recuperare le spoglie di colui che venerava e aveva scelto come patrono. Pensarono alle anime pulite che lo avevano festeggiato e a quelle nere, arricchite in nome di una religione distorta a proprio favore. Videro il film della festa nella città vecchia, sempre disponibile a scambiare profumi mediterranei con il porto: l’approdo accogliente per gli avi di Anastasios e altre genti, tanto simile a quello della città cui tornavano. Ricca di verità, qualche ombra e tanta, tanta luce.





1 commento:

  1. hai mai pensato di scrivere un libro? complimenti
    Adriana

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