di
Annalisa Petrella
Era un uomo mite dall’aspetto insignificante e dall’età
indefinibile compresa tra i cinquanta e i sessanta, la sua statura accentuata era
mitigata dall’incurvatura delle spalle nelle quali s'incuneava, a mo’ di
tartaruga, un collo sottile che terminava in una testa oblunga spelacchiata
coperta quasi sempre da un vecchio cappelluccio a tesa stretta.
In ufficio sembrava che non esistesse per nessuno perché non
c’era persona che gli rivolgesse la parola o mostrasse attenzione nei suoi
confronti. Arrivava ogni giorno in Rue
de Vitesse al numero 11 con quindici minuti d’anticipo sull’orario di servizio,
entrava nell’atrio furtivamente, quasi a volersi nascondere, salutava il
portiere con un timido cenno del capo e si infilava nell’ammezzato dove
raggiungeva la sua postazione nel gabbiotto buio che affacciava sullo stretto
cavedio del palazzo. Poi, finalmente solo, dopo aver appeso accuratamente
dietro la porta il lucido pastrano demodé, iniziava il suo
lavoro di archivista della piccola casa editrice dal nome ambizioso “Le monde” dove era
impiegato da venticinque anni, sempre con la stessa mansione.
Non si può dire che il suo compito gli pesasse, anzi lo svolgeva
con grande scrupolo e precisione, e lo aveva ben capito il redattore capo, Monsieur
Cadit, che, consapevole della mole di lavoro che Remì Asbert si sobbarcava da
solo sei giorni su sette, senza mai avanzare pretese di miglioramento, gli
aveva fatto pervenire tre anni prima una lettera di elogio che gli aveva
fruttato un piccolo scatto economico. Remì, nella sua incommensurabile
modestia, ne era rimasto sorpreso e gratificato, non tanto per l’impercettibile
aumento di stipendio quanto per il riconoscimento inaspettato e conservava
gelosamente la lettera nel primo cassetto del suo comodino.
Si sapeva poco di lui tranne che abitava da solo in zona Montparnasse in un
appartamento appartenuto alla madre con la quale aveva vissuto fino alla sua
morte avvenuta diciotto anni prima. Qualcuno diceva che quando la madre era in
vita Remì fosse diverso, riservato sì, ma un po’ più socievole; capitava che durante
la pausa caffè scambiasse qualche chiacchiera con i colleghi d’ufficio e, una
volta, aveva addirittura accettato di uscire a cena con il gruppo per il festeggiamento
della promozione di Monsieur Cadit. La
sua ritrosia si era trasformata in chiusura totale a seguito della dipartita della madre. Dopo il funerale Remì era
rientrato subito in ufficio, aveva chiuso tutti i boccaporti e non aveva
comunicato più con nessuno, se non per l’indispensabile. Monsieur Cadit, aveva
creduto di aiutarlo quando, dopo un colloquio riservato, lo aveva spostato su
sua richiesta a lavorare in totale isolamento nel bugigattolo e aveva invitato
gli altri a rispettare il suo bisogno di tranquillità. Le curiosità e le dicerie
su Remì, compresa l’illazione su un probabile amore non corrisposto in
gioventù, si erano presto spente e l’uomo era diventato invisibile per tutti.
Nessuno l’avrebbe mai immaginato ma Remì aveva una mente artistica
e amava scrivere poesie, lo faceva in gran segreto a casa, la sera dopo cena.
Disponeva sul tavolo del tinello una risma di fogli azzurri e un quadernetto
rilegato - di quelli che si possono chiudere con l’elastico - le cui pagine
erano profilate di un color rosso ciliegia, si concentrava sui propri appunti e
s'immergeva in una miriade di pensieri collegati tra loro da emozioni, ricordi
e fatti vissuti, il percorso non sempre era semplice perché le divagazioni lo
portavano lontano, ma quando riusciva a cogliere l’idea, quella giusta, la
trasferiva delicatamente sul foglio azzurrino che aveva davanti, scrivendola a
matita, quasi fosse un fragile fiore da
trattare con cautela. Il fruscio dei pensieri prendeva forma e si trasformava
in versi poetici che Remì lasciava sedimentare fino alla sera successiva
dedicata al lavoro di limatura: l’uomo rileggeva, aggiungeva, cancellava senza
remore, con l’obiettivo di ottenere un testo pulito, leggero che poi veniva
ricopiato con il lapis sul quadernetto nero. Le poesie erano numerate e
suddivise per tema. I quaderni erano tanti, ormai erano diventati una piccola
collezione che accompagnava la sua vita.
Ce n’era uno però che non aveva più toccato da anni, lo
aveva messo sullo scaffale in alto e non aveva più voluto aprirlo da quella
notte. L’ultima.
La routine giornaliera di Remì Asbert era invalicabile
tranne che per un’eccezione: ogni giovedì alle ore 13, durante la pausa pranzo,
con passo lesto e ben orientato si recava in una pasticceria dall’insegna
immaginifica “Chocolat
et autres choses” in Rue
Rocambolesque 23, un locale bello e accogliente che per lui era diventato il luogo
ideale; lungo il percorso a piedi che divideva l’ufficio dal negozio la sua
postura usualmente ingobbita si modificava e la figura si ergeva riacquistando
i centimetri di statura sacrificati, il viso dall’espressione sempre severa e
sfuggente si trasformava disponendosi a un celato sorriso che evidenziava due
occhi brillanti dal raro colore pervinca.
Varcando la soglia della pasticceria veniva subito avvolto dal
suono diffuso della musica classica, si toglieva il cappello e salutava con una
certa deferenza madame Josephine, la pasticcera:
- Buongiorno,
Madame Josephine, ben ritrovata, cosa ci riserva di buono oggi?
Madame Josephine, donna amabile dal sorriso contagioso e dalle
forme floride, ben evidenziate dal vezzoso grembiule bianco, lo aspettava con
una certa trepidazione e con voce flautata rispondeva:
-
Monsieur Remì, è sempre un piacere averla qui, oggi poi c’è
una sorpresa per lei, un piccolo esperimento sulla Sacher che le chiedo, da vero
intenditore, di testare. Si accomodi pure che arrivo subito.
Le proposte variavano quotidianamente in base alla fantasia
della pasticcera che con la sua arte magica sfornava delizie da primato
mondiale: torte paradiso, ciambelle, plumcake, crostate, strudel decorati con
la panna, cheesecake, Monte Bianco, Sacher, Saint Honoré, dolci al cucchiaio.
Di tutto e di più.
La sosta in pasticceria risvegliava in Remì un piacere
primordiale, un godimento di tutti i sensi. La vista, il profumo, il contatto
con i dolci e il loro gusto, esaltato dal suono delle voci garbate sullo sfondo
della musica di Mozart, trasformavano la sua pausa pranzo del giovedì in
momenti indimenticabili che lo trasportavano in una dimensione multisensoriale
da sogno. La presenza della pasticcera poi, la cui fama attirava numerosi
clienti, completava il suo benessere e lo faceva lievitare felicemente sollevandolo
da una quotidianità monotona e stantia.
Nel locale ampio e luminoso, decorato tutt’intorno da una delicata boiserie
color panna, lavoravano anche due commesse e un aiuto pasticcere che
consideravano Remì uno dei clienti migliori. Madame con loro era stata chiara:
-
Monsieur Remì è un ospite speciale da trattare con ogni
riguardo!
L’uomo si accomodava a un tavolino d’angolo, sempre lo stesso,
ricoperto da una tovaglia di fiandra color champagne sulla quale erano appoggiati
una zuccheriera di alpacca argentata e un lezioso tovagliolino bordato di pizzo
e aspettava Josephine per il rituale scambio di convenevoli prima di fare
l’ordinazione. Nel frattempo apriva uno dei suoi quadernetti dalla copertina
nera e si disponeva a scrivere con il suo lapis di foggia classica.
Quando Josephine finalmente
riusciva a raggiungerlo al tavolo servendogli la leccornia del giorno la sua
beatitudine raggiungeva il massimo perché la donna era l’unica persona con la
quale Remì si sentiva a proprio agio, la sua presenza gli risvegliava una
sensazione di armonia che il profumo della donna, combinato con quello
delizioso dei dolci, amplificava trasformandola in uno stato di piacere
complessivo che non ricordava di avere mai provato. Ovviamente l’uomo sapeva
ben celare i propri sentimenti, controllo e discrezione erano il suo imperativo
categorico, per cui si limitava a scambiare qualche frase apparentemente di
nessun conto sul tempo, la salute o poco altro, ma ormai entrambi avvertivano
che in quello scambio passava qualcosa di più profondo che li univa e, ogni
volta di più, si suggellava un’intesa autentica non rivelata.
I primi tempi in cui Remì era apparso in pasticceria Madame
Josephine aveva provato nei suoi confronti soprattutto un senso di rispettosa
pena per il suo modo di essere che faceva trasparire un senso di solitudine
totale, inoltre la inteneriva il tratto educato e sempre gentile dell’uomo che lo
distingueva dalla clientela media. Ma quando un giorno le capitò di cogliere in
due clienti abituali piuttosto sfacciati un atteggiamento di vaga sufficienza
nei confronti di Remì, la donna, amareggiata dalla loro superficialità, avvertì
dentro di sé il risveglio di un senso di protezione nei suoi confronti e da
quel momento esibì apertamente in negozio una considerazione che Remì non aveva
mai ricevuto da nessuno. In verità Madame si era resa conto che Remì le
interessava sempre di più, si sentiva attratta da lui per il suo indubitabile
stile e anche se, per certi versi, era un uomo imperscrutabile, capiva che
aveva un’anima degna, infine non le erano sfuggiti i segni delle sue palpitazioni
amorose quando gli stava vicino, cosa che faceva pensare a una passionalità
frenata da un’estrema timidezza. Il che non guastava. Per cui la donna, sola da
troppo tempo, capì che se non avesse preso lei l’iniziativa tra loro non
sarebbe mai successo niente: i dolci del giovedì erano stati il filo conduttore
ma era ora di varcare la frontiera delle formalità e partire all’attacco. Un giovedì di maggio gli chiese con nonchalance cosa scrivesse
sui quadernetti che portava sempre con sé. Lui aveva sussurrato, arrossendo un
po’:
-Tento di scrivere poesie, una compagnia per la mia anima
solitaria.
- Se non le dispiace, mi piacerebbe leggerne una.
- Ne rimarrebbe delusa e non vorrei…
- Monsieur Remì, io faccio i dolci che lei ben conosce da
anni, mi offra in cambio la lettura di una sua poesia. Ne sarei onorata!
Remì, turbato, non volle scontentare Josephine e le offrì
una poesia sulla primavera che la donna trovò bellissima.
-
Un vero poeta, in pochi versi mi ha ricordato le sere della
mia infanzia felice nel giardino di casa e la ringrazio.
Fu così che ogni giovedì tra una cioccolata calda e un
biscotto alla crema l’uomo dedicava una poesia a Josephine e, mentre gliela
leggeva, aveva imparato a sorridere svelando espressioni del volto che ai suoi
occhi lo facevano apparire bello e romantico.
I biglietti per il concerto li aveva procurati Josephine,
fingendo che le fossero stati regalati. Ce ne volle per combinare la serata
perché Remì appariva incerto, quasi impaurito dalla proposta. Finalmente s'incontrarono e lui rimase folgorato dall’eleganza di
Josephine che, a sua detta, lo faceva sfigurare. Stettero bene insieme e
tornando a casa la donna gli raccontò a grandi tratti la propria vita.
Semplicemente. Gioventù, felicità,
vedovanza precoce, sofferenza, l’arte della pasticceria, la rinascita. Di
contro Remì si limitò a poche parole sugli studi, la musica, la madre, il
lavoro. Una vita da poco, così disse e Josephine rifiutò questa definizione
sminuente. Gli fece notare, per incoraggiarlo ad aprirsi, che era stato un
bravo studente, un buon lavoratore e, soprattutto, un figlio devoto che si era
sacrificato molto per assistere la madre durante la lunga malattia. E questo non
era poco.
L’uomo di colpo si
chiuse in un silenzio totale, il volto pallido e l’espressione quasi
trasparente facevano pensare a una volontà di estraniamento dal presente, quasi
a un tentativo di fuga in un luogo lontano. Lei avvertì tutto il peso della sua
sofferenza di cui non conosceva la ragione, lo prese sottobraccio e parlando
sottovoce fece qualche tentativo per risvegliarlo dall’angoscia che
visibilmente lo attanagliava, ma Remì era irraggiungibile. Quando arrivarono sotto
il portone di casa, lei strinse tra le sue le mani dell’uomo, lo guardò negli
occhi e gli disse: - Si ricordi che io ci sono e che le voglio bene.
Buonanotte, Remì!
Il giovedì successivo Remì non si presentò in pasticceria,
era la prima volta che accadeva dopo sei anni. Josephine, preoccupata, gli
scrisse subito un biglietto che gli fece recapitare in ufficio: - Caro Remì, mi
permetto di darti del tu perché mi è più facile parlarti da amica: non so se ho
sbagliato qualcosa con te e, se l’ho fatto involontariamente, ti chiedo di
scusarmi. Non conosco la causa dei tuoi turbamenti ma sappi che nulla mi
potrebbe allontanare da te. Per me sei insostituibile. Ti chiamo stasera. JO.
Remì rispose al quarto squillo della seconda chiamata e le
disse con voce atona:
-
Non hai sbagliato nulla tu, sono io che non ti merito.
-
Vediamoci e parliamone, subito Remì, non dobbiamo buttare
via il nostro tempo! Vengo subito a casa tua.
L’uomo scese e la guardò con una tristezza infinita, era
avvilito e sconsolato.
Jo lo prese per mano
e lo accompagnò nell’appartamento. Entrando avvertì un senso di oppressione, i
mobili, gli oggetti, le tende, tutto era fermo nel tempo, i colori lividi,
l’atmosfera cupa di un’epoca passata che ricopriva ogni cosa. Si accomodarono
al tavolo e Remì, come un automa, si mise a prepararle un caffè.
Nell’attesa lo sguardo di Jo percorse le foto esposte sulla
credenza e vide Remì nelle varie fasi della sua crescita accanto a una donna
avvenente, sicuramente la madre, che esibiva un’espressione volitiva e amabile.
Niente uomini, soltanto loro due.
Jo non si pose domande e seppe rispettare il silenzio
dell’uomo aspettando. Finalmente Remì si alzò e si diresse alla libreria dove,
sollevandosi sulle punte dei piedi, arrivò a prendere il quadernetto dimenticato:
Maman.
Aprì l’ultima pagina scritta e l'offrì
a Jo, abbassando il capo in segno di resa.
La donna leggeva in silenzio e l’uomo la guardava intensamente
mentre rivoli di lacrime si riversavano sul suo volto in una sorta di lavacro
purificatore: fiumi di salmastro, stagni di fanghiglia, correnti di mari
asiatici dai gorghi infidi, cascate egizie irte di sassi cuneiformi, cateratte
sciabordanti di alghe brunastre, maree impercettibili e invasive, tutto si
scioglieva, le contaminazioni si stemperavano, i fluidi metafisici scorrevano
liberi fuori dai suoi occhi e dalla sua anima devastata dal fantoccio, ormai
smascherato, di una colpa senza fine.
E le parole uscirono:
-
Era
agli sgoccioli e m'implorava di aiutarla, non si muoveva più dal letto e mi
chiedeva di farla finita. No, dicevo io, non posso farcela, voglio che tu viva.
Distrutta dal dolore e dalla disgregazione di un corpo che era stato una roccia
e che mi aveva sostenuto in ogni momento mi insultava, quasi beffarda, per la
mia codardia. Ipocrita, non vedi che questa non è più vita. Abbi il coraggio di
chiamare col suo nome questo straziante e inutile inferno: agonia senza
speranza, senza pausa, senza limite al dolore, ti prego …voglio dignità, voglio
poterti sorridere e non urlare… non voglio più soffrire …io ti ho dato la vita…
e io ora ti chiedo di lasciarmi andare via. Un gesto di coraggio, figlio mio,
passami soltanto la scatola e poi provvedo io.
Sono rimasto con lei fino alla fine
e, mentre precipitava nel sonno, mi ha stretto la mano bisbigliando: - Tesoro
mio, perdono!
Il medico ha subito detto che
finalmente era venuto il suo momento, ma io… non posso dimenticare e non me lo
sono mai perdonato. Avrebbe…
Jo appoggiò la mano sulla sua e gliela strinse, come per
zittirlo.
Rimase in silenzio tenendo lo sguardo fisso sulla pagina,
senza più vederla, la sua mente correva dietro ai propri ricordi e rivide per
un attimo il volto di Serge esangue, era così giovane e sfortunato…Cacciò via
quei pensieri, non aveva più senso rifugiarsi nel passato. Tornò in quella
stanza e le parve di sentire l’eco della voce di Remì bambino che giocava con
la madre bella e piena di energia. Il presente con i mobili e le suppellettili
del tinello raccontava la storia di una tragedia che aveva bloccato tutto da
anni.
Faticosamente si provò a reagire e si alzò, ma era difficile
raccogliere le forze. S'impose di farlo e prese dal ripiano l’immagine più
bella che li ritraeva insieme in un momento felice, erano seduti su un moscone
tirato a riva e ciascuno teneva un remo, le due teste si sfioravano mentre
ridevano rivolti verso l’obiettivo. Avvertì un fiotto di calore e di profonda empatia
per Remì che restava immobile, in attesa della sua condanna.
La voce le uscì
dolcemente, come il canto di un usignolo:
-
Hai già espiato, Remì, in tutti questi anni, io non credo
proprio che tu abbia bisogno di perdono. Non è facile e non so come dirtelo, ma
più ci penso e più sono convinta che tu abbia compiuto un gesto d’amore,
null’altro che un dolorosissimo gesto d’amore.
RACCONTO DELLA MIGLIOR ANNALISA CON TUTTA LA SUA SENSIBILITA'
RispondiEliminaMiriam
Grazie Miriam.
EliminaAnnalisa
Delicatezza e profondità lo rendono bellissimo. Silvia
RispondiEliminaGrazie Silvia.
EliminaAnnalisa
Bello! bello e commovente. Mary
RispondiEliminaMary, ti ringrazio.
EliminaAnnalisa
Emozionante... Rudy
RispondiEliminaGrazie Rudy.
EliminaAnnalisa
L'ho letto tutto d'un fiato e mi è piaciuto tantissimo. Lucia
RispondiEliminaTi ringrazio, Lucia.
EliminaAnnalisa
Personaggio degno di un Simenon o di un Marcel Aymé! Anche la pasticcera ha molto fascino! Si legge d'un fiato e con commozione. Scritto molto bene, ricco di sfumature ma senza sbavature. Brava Annalisa. Anna
RispondiEliminaAnna carissima, ti ringrazio.
EliminaAnnalisa
Anche io l'ho letto tutto d'un fiato! Un ritratto delicato che in punta di piedi svela note ed emozioni profonde e coraggiose che commuovono e rendono più forti. Un abbraccio, Ludmilla
RispondiEliminaGrazie Ludmilla.
EliminaAnnalisa
Delicato e profondo Annalisa,mi è molto piaciuto!
RispondiEliminaCara Stefania, ti ringrazio.
EliminaAnnalisa
I racconti per la loro brevità possono lasciare l'impressione di qualcosa di inconcluso. I tuoi racconti no, sono profondi, ben equilibrati e completi con un finale di grande impatto. Cate
RispondiEliminaCara Cate, ti ringrazio.
EliminaAnnalisa
Dopo il primo racconto mi ero preparato a provare ancora emozioni forti e dure e invece ho trovato una tenerezza dolce e profonda. Davvero brava anche per l'eclettismo dei sentimenti. Vittorio
RispondiEliminaGrazie Vittorio!
RispondiEliminaAnnalisa
Mi è piaciuto molto questo racconto. Le atmosfere e i personaggi mi hanno fatto venire in mente alcuni romanzi di Simenon. Personaggi carichi di umanità e pervasi da un profondo senso di solitudine. Scritto molto elegante e emozionante. Lucrezia
RispondiEliminaGrazie, Lucrezia, il confronto mi inorgoglisce.
RispondiEliminaAnnalisa