di Annalisa Petrella
"Sono nato in una famiglia della classe operaia, in cui per divertirsi bisognava utilizzare la propria immaginazione" racconta Redford in occasione della presentazione del film “Il drago invisibile”,
della Walt Disney, uscito da pochi giorni nelle sale italiane. E aggiunge: "Sono un narratore e credo nel potere delle storie, dunque mi è sempre piaciuto raccontare fiabe ai miei figli. Credo che le storie abbiano un'importanza inestimabile. Per questo, penso che C'era una volta sia una delle frasi più belle del mondo. Quando un bambino sente dire C'era una volta, la sua immaginazione prende il volo".
Sempre affascinante, con lo sguardo intelligente e l’immancabile chioma bionda, Robert Redford interpreta nell’ultimo film la parte del nonno intagliatore del legno, un narratore di favole che ha mantenuto nell’animo la capacità di sognare al punto da credere che il mago Elliot esista.
Ha compiuto ottant’anni il 18 di agosto e, anche se la sua bellezza è ormai un po’ fané, Redford conferma, pur in film di minor calibro rispetto ai capolavori che lo hanno reso famoso, uno spessore e un’incisività da grande divo. Nella sua lunga carriera, iniziata negli anni Sessanta, ha dimostrato in modo impeccabile di sapersi muovere, prima come attore e poi come regista, con disinvoltura e professionalità all’interno dell’intricata giungla di Hollywood, alternando progetti cinematografici più espressamente commerciali a scelte impegnate, profondamente sentite e prodotte personalmente per raccontare l’America da diversi punti di vista con animo idealista e democratico.
Ciò che ha caratterizzato le sue interpretazioni è il senso della misura e del contenimento, il saper riempire la scena da protagonista senza sbavature ed eccessi. Redford ha sempre privilegiato una sorta di understatement recitativo che lascia allo spettatore lo spazio per intuire la complessità psicologica dei personaggi interpretati, creando un feeling ineguagliabile con il suo pubblico. E’ uno degli attori più amati nel mondo: bello, sportivo, amante della natura e delle cause civili, molto professionale e coerente, Redford emana una correttezza di fondo che va ben oltre la sua figura di attore.
Ha rappresentato il prototipo del glamour e dell’attrattiva erotica, si pensi a “Come eravamo”, con Barbara Streisand (1973), e a “La mia
Africa” (1985) con Meryl Streep. Ma anche l’eroe virile in versione moderna come in “Butch Cassidy” (1969): è stato forse l’unico attore destinato negli anni Sessanta a soppiantare nel western i grandi del passato attualizzando la figura del cow-boy, dello sceriffo o del bandito. Lo vediamo nel 1969 in “Butch Cassidy and the Sundance Kid” e “Ucciderò Billy Kid”, e nel 1972 in “Corvo rosso non avrai il mio scalpo”. I tre film appartengono al filone che dà un giro di volta al genere western classico alla John Wayne con il mito della frontiera e dei “buoni” contrapposti ai “cattivi”. Con i registi Hill George Roy e Sidney Pollack, che diventerà grande amico di Redford – i due lavoreranno insieme in ben sette film - si introducono nei film western sentimenti e punti di vista completamente nuovi nei confronti dell’altro, del diverso da sé, che sia indiano o fuorilegge.
In “Butch Cassidy”, Redford interpreta la parte di Sundance Kid, pseudonimo di Harry Longabaugh, un bandito che tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento fece parte della banda del “Mucchio selvaggio”.
Il capo della banda è Butch, interpretato da Paul Newman, i due protagonisti sono spericolati e beffardi rapinatori di banche e di treni, due anti-eroi che per anni riescono a sfuggire alla legge. Dopo alterne vicissitudini le loro fughe rocambolesche si concludono in uno scontro con un intero reparto dell’esercito e un massacro che chiude la loro avventura con una morte spettacolare, sfumata, leggendaria, da immagini popolari che la polvere ricopre e fa precipitare nel passato con una certa malinconia.
Il regista Hill riesce a mettere in luce l’innocenza del fuorilegge e la marcia implacabile di un progresso privo di morale, quasi a sottolineare che con il vecchio West scompaiono, insieme ai pionieri, anche i banditi che vivevano secondo un’etica e uno humor d’altri tempi incarnando una libertà anarchica mai sfiorata dal concetto sociale.
Robert Redford dopo questa interpretazione viene acclamato come uno dei nuovi grandi divi di Hollywood e Sundance diventerà nel 1990 il nome del Film Festival da lui fondato con Sidney Pollack per lanciare registi e attori emergenti indipendenti dallo Star System: il festival è diventato uno dei più importanti avvenimenti mondiali nel settore cinematografico.
A partire da “Corvo rosso non avrai il mio scalpo” (1972) a “I tre giorni del condor” (1975) e da “Il cavaliere elettrico” a “Havana” (1990), Robert Redford, ha rappresentato l’immagine dell’eroe solitario e perdente del cinema di Sidney Pollack.
Ogni volta che rivedo “I tre giorni del condor”, basato sul romanzo di James Grady, ritrovo un thriller
ineccepibile estremamente attuale, ambientato in una livida New York dove il Condor, nome in codice di uno splendido Redford, è l’unico superstite di una strage perpetrata in un ufficio della Cia. Il Condor determinato a scoprire la verità sul massacro, si muove in un clima di totale minaccia per l’intero film che è attraversato da una suspense d’impronta hitchcockiana e da un tagliente senso di angoscia. Solo la presenza in alcune scene della fotografa Kathy Hale (meravigliosa Faye Dunaway) offre attimi, se pur controversi e rubati, di comprensione e una notte d’amore tra le tristissime fotografie in bianco e nero da lei scattate. Il film è un caposaldo della cinematografia mondiale.
Tra i film di forte impegno sul versante sociale e politico sono indimenticabili “Tutti gli uomini del presidente”, per la regia di Alan J.Pakula (1976) e “Brubaker” per la regia di Stuart Rosenberg (1976). Seguono “Il castello” (2001), e per la sua regia “Leoni per agnelli” (2007), “La regola del silenzio” (2012), infine “Truth” (2015), per la regia di James Vanderbilt .
In “Tutti gli uomini del presidente” Robert Redford e Dustin Hoffman interpretano la parte di due giovani giornalisti del Washington Post che rincorrono in modo avvincente l’inchiesta sullo scandalo politico del Watergate. Il film offre una ricostruzione rigorosa della vicenda esplosa due anni prima con le dimissioni del Presidente degli Stati Uniti Richard Nixon. Pakula ha confezionato un capolavoro sul tema del giornalismo d’assalto sostenuto dalla recitazione spettacolare della coppia vincente Redford - Hoffman. Il film ha totalizzato quattro premi Oscar.
A proposito di premi Oscar Robert Redford ne ha vinti due, il primo nel 1981 per il film “Gente comune” da lui diretto e interpretato, il secondo alla carriera nel 2002.
Nel 2013 Robert Redford si è cimentato in un’impresa ardua ed estrema, anche da un punto di vista fisico: all’età di settantasei anni con il film “All is lost” , per la regia di J.C.Chandor, l’attore ha
offerto una delle sue migliori interpretazioni come unico attore in scena a bordo di una barca sballottata dai flutti dell’Oceano dopo un incidente in mare. Si tratta di un survival movie, con un Redford impegnato al limite della resistenza in una lotta disperata con la forza implacabile della natura nel tentativo di sopravvivere. L’attore recita senza controfigure in un silenzio quasi assoluto interrotto soltanto dai rumori e dai suoni sinistri dei fenomeni naturali: una prova eccezionale di grande intensità.
Robert Redford è tuttora impegnatissimo nell’attività cinematografica sia come attore sia come regista e produttore e, pur rappresentando perfettamente il ruolo del divo hollywoodiano, rifugge dai vezzi e dalle consuetudini mondane delle star, vive nel suo ranch tra le montagne nello Utah e sceglie quando e come comparire. Dietro al suo sorriso ancora perfetto e rassicurante si celano un distacco, un’inquietudine interiore, una combattività controllata ma tenace che si rivelano nelle sue interpretazioni indimenticabili.
Brava, Redford è il migliore. Luisa
RispondiEliminaGrazie, Luisa.
EliminaAnnalisa
Il leone del cinema è molto appropriato.
RispondiEliminaUn'associazione immediata. Grazie.
EliminaHa scelto un taglio interessante per raccontare il grande divo che io amo moltissimo. Gio.
RispondiEliminaNon è stato semplice scegliere. Grazie, Gio.
EliminaAnnalisa
Brava Annalisa, hai colto l'essenza Redford, andando oltre il suo aspetto gradevolissimo e virile. E' un grande attore, un serio professionista che riesce sempre a raggiungere il suo scopo con rara e profonda coerenza, come in continuità tra fiction e realtà. Un ritratto a tutto tondo.
RispondiEliminaTi ringrazio del bel commento. Annalisa
EliminaBravissima Annalisa, a tribute to Redford che è davvero il migliore.
RispondiEliminaLudmilla
Cara Ludmilla, un tributo al mio preferito. Annalisa
EliminaNon ho visto "All is lost" e vorrei tanto recuperarlo. Grazie dell'articolo elegante e misurato che rispecchia la personalità dell'attore. Mattia
RispondiEliminaGentile Mattia, lo trova in DVD. Grazie. Annalisa
EliminaRedford the best! Grazie! Elena
RispondiEliminaA lei! Annalisa
EliminaChe piacere leggere i suoi articoli dedicati a personaggi famosi! Veronica
RispondiEliminaCara Veronica, vedo che mi segue e ne sono molto contenta. A presto con un altro personaggio. Annalisa
EliminaÈ sempre un piacere leggere le sue recensioni. Vittorio
RispondiEliminaLo è ancora di più il suo apprezzamento! Annalisa
EliminaRobert Redford costituisce per me l'immagine della "mia"
RispondiEliminaAmerica;grazie per aver scelto di scrivere quest'articolo su di lui.
Grazie a te, cara Stefania.
RispondiEliminaAnnalisa
Non posso far altro che complimentarmi con te, come al solito. Robert Redford è uno dei miei idoli e tu hai saputo cogliere nel segno: non solo attore ma soprattutto uomo.
RispondiEliminaMiriam
Miriam carissima, grazie!
RispondiEliminaMiriam carissima, grazie!
RispondiEliminaMitica Annalisa, oltre che mitico Robert!
RispondiEliminaGrazie!
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