Di Annalisa
Petrella
Fu l’afroamericano Victor
Hugo Green, ex impiegato delle poste di Harlem, che pubblicò per
trent’anni, a partire dal 1936, The
Negro Travelers’ Green Book,
una guida indispensabile per gli automobilisti neri che si mettevano in viaggio. Il
Green book segnalava motel, ristoranti, distributori di benzina e
servizi dove gli afroamericani potevano sostare senza rischi. Venne pubblicato
fino al 1966, due anni dopo la promulgazione del Civil Rights Act di
John Fitzgerald Kennedy, che dichiarò illegale la segregazione razziale.
A partire dall’edizione del 1949 l’editore puntualmente
scriveva: “Verrà un giorno, in qualche
tempo di un vicino futuro, in cui questa guida non sarà più pubblicata. Quando
avremo pari opportunità e diritti negli Stati Uniti. Sarà un grande giorno
quello in cui sospenderemo questa pubblicazione per poi poter andare dove
vogliamo, senza imbarazzo. Ma fino a quel momento continueremo a pubblicare
queste informazioni per aiutarvi, ogni anno.”
Nel film “Green book”, celebrato nel febbraio
scorso al Dolby Theatre di Los Angeles con l’Oscar come miglior film, la guida “Green book” diventa il compagno di
viaggio dei due protagonisti Tony e Donald, interpretati in maniera talentuosa dagli
attori Viggo Mortensen e Mahershala Ali. Il film ricorda
le pellicole degli anni Cinquanta ed è un classico per tutti, di ottima fattura,
godibilissimo, rassicurante e sfacciatamente mainstream, girato da Peter Farrelly sulla bellissima sceneggiatura
originale, anch’essa premiata con l’Oscar, scritta da lui con Brian Hayes Curry
e Nick Vallelonga, nella realtà figlio di Tony Vallelonga, il protagonista
italoamericano.
Tony,
italoamericano, bianco, rozzo, con la sigaretta sempre in bocca, al volante di
una splendida Cadillac turchese - modello Sedan DeVilles,
la terza protagonista del film - è stato ingaggiato come autista tuttofare per
un viaggio di otto settimane attraverso gli Stati Uniti del sud America da Doc
Donald Shirley, nero, colto, raffinato, pianista di grande fama, per una serie
di concerti. Siamo nel 1962, lo sfondo in cui si muovono è accattivante per le
ambientazioni, gli abiti e la musica eccellente, ma raccapricciante per il
razzismo con il quale fanno i conti lungo i loro spostamenti in Tennessee,
Louisiana, Mississippi, Georgia. Negli Stati del sud il
retaggio di una mentalità fortemente razzista faceva applicare, a dispetto
della dignità umana, le Leggi Jim Crow sul segregazionismo razziale in tutti i
servizi pubblici come scuole, trasporti, ristoranti, hotel, bagni pubblici,
esercizi commerciali. La regola prevedeva proibizioni, divieti, pestaggi e pene
pesantissime per i neri che le trasgredivano. Martin
Luther King, inseguendo il suo sogno, l’indimenticabile: - I have a dream! - continuava a lottare per la parità e proprio
per questo sarebbe stato assassinato sei anni dopo.
Le soste vengono scelte consultando il
Green Book e le disavventure con le quali devono fare i conti sono descritte
toccando tutti i registri della sensibilità umana. I due personaggi sono
totalmente opposti e lungo il percorso l’artista e l’uomo di strada si studiano,
si scontrano, gradualmente imparano a conoscersi e a rispettarsi attraverso le
esperienze, le ipocrisie, i pregiudizi e la discriminazione imperversante. Certo, i contrasti tra i due sono forti: Tony Vallelonga,
detto Tony Lip,- lip sta per labbro, parola facile, cito alla lettera il film
“Tony spara stronzate”,- è italoamericano, figlio di immigrati siciliani, abita
nel Bronx con la famiglia a cui è legato moltissimo ed è circondato da una
masnada di parenti che mantengono il dialetto d’origine e le abitudini del loro
paese. Fa il buttafuori al Copacabana, uno dei locali più frequentati di New
York,
è incolto, grossolano, mena le mani con facilità e con
ottimi risultati, è un divoratore di cibo al limite della resistenza e se la
intende con le gang mafiose in auge nel Bronx. La proposta di lavoro di Donald
lo lascia di stucco, non avrebbe mai ipotizzato di dover lavorare per un uomo
di colore, seppur ricco. Tony non è scevro da pregiudizi e da una sorta di
razzismo serpeggiante, ma accetta l’incarico per denaro. Donald Shirley, uomo elegante, raffinato e
di grande cultura, eccezionale pianista jazz formatosi sulla musica classica, è
ricco, abita in una casa lussuosa a Manhattan sopra la Carnagie Hall con un
cameriere personale in livrea, ma è ammalato di solitudine, soltanto la musica
gli offre piacere, la sua eccellenza nell’arte non gli risparmia le sofferenze
della discriminazione razziale: dopo i concerti, dove viene acclamato dai
bianchi che
lo invitano a suonare nei luoghi più esclusivi, deve immediatamente
rientrare negli spazi angusti riservati alle persone di colore e vivere una degradazione avvilente
e inaccettabile. E’ nero, ma per cultura, successo e denaro interiormente è
bianco per cui vive in una costante contraddizione e non ha mai un luogo dove
sentirsi accettato né di qua né di là.
La vicenda si
basa
su una storia vera tradotta in una sceneggiatura vivace e bilanciatissima nello
scambio irresistibile di battute fra i due personaggi, così diversi, ma proprio
per questo complementari. Mentre il paesaggio scorre fuori
dal finestrino continuando a mutare tra deserto, boschi, città, paesi, campi e
case di ricchi proprietari terrieri, i due imparano a comprendersi nel
profondo, la strada diventa vita e sentimento e il viaggio perde la sua
connotazione geografica diventando la metafora di una crescita personale dell’uno
insieme con l’altro.
Pur affrontando
tematiche anche dolorose, la visione del film è improntata a una grande
leggerezza e fa bene al cuore e alla mente, ci si indigna, ci si arrabbia, ci
si emoziona e si ride, si ride di gusto.
Peter
Farrelly ha confezionato con tocco artigianale un film nel quale
l’umorismo scoppia potente, ma è sempre controllato a dovere, e l’andatura cadenzata della sceneggiatura da buddy
movie on the road con la sua prevedibilità è attraversata da
sprazzi brillanti di intelligenza e comicità.
I due attori protagonisti
sanno guidare efficacemente la messa in scena e l’andamento crescente delle
situazioni via via sempre più coinvolgenti, le indirizzano e vi imprimono un
senso che trascende i singoli fatti.
Mahershala
Ali con la sua sobrietà ed eleganza è perfetto nella parte, sa
dare anima all’uomo irrigidito dalle regole sociali, intimidito dalla
contraddittoria percezione di sé alla ricerca di una legittimazione e di una
tenerezza negata. Meritatissimo l’Oscar attribuitogli come miglior attore non
protagonista.
Va
sottolineata tuttavia la capacità interpretativa di Viggo
Mortensen che fa risaltare nelle scene sfumature e dettagli che soltanto
le sue espressioni riescono ad esprimere. Il suo personaggio, un uomo semplice,
ignorante, razzista, ma di buon cuore, la notte di Natale rientra a casa
trasformato dopo il lungo viaggio nel sud: è diventato amico di un uomo di
colore.
Belli film e recensione
RispondiEliminaContro il razzismo sempre
RispondiEliminaFilm da vedere!!!
RispondiEliminaBrava, è così attuale
RispondiEliminaInteressante!
RispondiEliminaBella recensione per riflettere su pregiudizio e ingiustizia.
RispondiEliminaOttima recensione, Anna Lisa. Il film è davvero godibilissimo, con attori strepitosi. Mortensen è eccezionale nella gestualità- come sottolinei tu- e il risultato è stupefacente. Abbiamo bisogno di film come questi!
RispondiEliminaCome sempre le tue recensioni sono godibilissime. Per me che ho già visto il film, questa recensione è un piacevole approfondimento e completamento di questo bel film. Lucrezia
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