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giovedì 22 maggio 2014

QUATTRO FLASH DA IL FESTIVAL DEI LETTORI di Bologna - 2014

di Valentina Ruvoli


Questo importante Festival, svoltosi a Bologna dal 15 al 18 maggio, mi ha permesso di avvicinare quattro autori che mi hanno molto affascinato.

Paolo Cognetti è sulla cresta dell'onda, c'è poco da dire.
Giovane, bravo, pubblicato da una casa editrice (
Minimum Fax) altrettanto sulla cresta dell'onda, ci ha fatto una bella sorpresa, non solo accettando l'invito, ma rivelandosi una persona alla mano, che non si è montata la testa.

Siamo praticamente coetanei e, ascoltandolo, avevo l'impressione di avere davanti a me uno dei miei amici, un po' imbarazzato per la tanta gente venuta a sentirlo, ma con il sorriso sempre pronto.


Durante l'incontro ho appuntato alcune citazioni interessanti:
- «Si pensa che il racconto sia una forma minore del romanzo, ma è solo diversa. Il romanzo dà l'impressione di essere "finito", il racconto invece dà un senso d' incompletezza. Il racconto è la poetica del frammento.»
- «Per "Orientarsi con le stelle", il titolo di un mio racconto, non ho preso spunto dal titolo omonimo della raccolta di poesie di Carver. Al contrario, il titolo originale della raccolta era differente e la casa editrice mi ha chiesto se poteva utilizzare quello del mio racconto.»
«Il racconto breve ha preso più piede negli Stati Uniti perché là ci sono vere riviste letterarie (vedi il New Yorker) e in Italia no, ci sono corsi di scrittura universitari, da noi solo la Scuola Holden o corsi amatoriali. Ecco perché la forma racconto continua a resistere negli USA.»
«I miei autori preferiti di sempre sono Salinger, Hemingway e Carver, ma anche Fenoglio, Primo Levi e Pavese, nei quali si possono infatti trovare riferimenti nella letteratura anglosassone.»
«Leggendo letteratura americana ero abituato a leggere un italiano tradotto e quindi pulito, che è poi quello che ho imparato a usare io. Quando mi sono approcciato a Fenoglio e Primo Levi ho fatto più fatica, perché usavano parole (meravigliose) molto legate alla loro terra.»
Valerio Varesi

Io ho una cotta per Valerio Varesi, chi mi conosce lo sa.
Al Festival dell’anno scorso Varesi mi aveva stregata con il suo "Il rivoluzionario", ora ho in programma di leggere "La sentenza", che tutti mi hanno consigliato, e poi, sicuramente, dovrò fare la conoscenza del suo famosissimo Commissario Soneri.
Varesi mi ha conquistato soprattutto per come parla e riesce a trasmettere agli altri le sue conoscenze. Ho sentito qualcuno dire: "Sa così tante cose che ti fa sentire ignorante". No, io direi che, alla fine di un incontro con lui, ti senti più acculturato e più "pieno" di conoscenza.
Varesi è un grande, punto.

Ecco alcune citazioni interessanti dell’autore, appuntate durante l'incontro.

«La lettura, per me, è un vizio solitario.»
«Gialli, noir, ormai c'è una forte ibridazione. Il romanzo, per me, deve evolversi e portare a qualcosa di più di una semplice indagine, di un semplice intrattenimento.» 
«Mi piace indagare anche su ciò che ha prodotto il delitto, non solo chi, ma perché. Voglio raccontare perché si produce un certo tipo di odio.
Quanto di me c'è in Soneri? Lui è disincantato, sa che la soluzione del caso non è la soluzione del problema e questo non dà sicurezza. Sono molto vicino a lui, abbiamo lo stesso sguardo verso la realtà.
Raymond Chandler è stato fondamentale per me e per tutti quelli che scrivono noir, Soneri stesso è molto "chandleriano", si dice che il noir sia uno stato d'animo e Soneri è proprio così.»
«Mi sento molto vicino alla tradizione francese: Jean-Claude Izzo, Simenon, ma anche a Gadda, Sciascia, Scerbanenco. Quest'ultimo, poi, ha scritto dei gialli direttamente nella direzione del giallo sociale.»
«Ci sarebbe bisogno di una forma di Resistenza anche oggi, non armata, per carità, ma intellettuale. »
«La bellezza di leggere un libro è immaginare tutto, avere la mente bianca. Senza i libri e la scrittura non sarei granché, forse non esisterei. Probabilmente ci sarà un seguito de "Il rivoluzionario". Si ferma al 2 agosto 1980 e vorrei raccontare quello che è successo dopo.»

Stefania Bertola è un'autrice che ho conosciuto grazie a mia cugina, sua accanita fan, che mi aveva regalato il suo libro "Ci vediamo a cena". L’ho letto in preparazione all'incontro e mi è piaciuto, anche se lontano dai generi che sono solita leggere. La Bertola scrive in modo leggero, parla di situazioni divertenti e a volta surreali, spesso ci si riconosce nelle sue parole: i suoi libri strappano spesso un sorriso, sono un toccasana e funzionano come piacevoli scacciapensieri.
Che dire dell'autrice? E'
torinese e ironica e se, ascoltandola, si chiudono gli occhi, sembra di avere davanti Luciana Littizzetto.
Come per gli altri autori ho scelto alcune piccole citazioni significative anche della Bertola.
«I bambini delle scuole vanno messi nella condizione di leggere quello che desiderano, non vanno obbligati e nelle biblioteche devono sentirsi liberi, devono avere con i libri lo stesso rapporto che hanno con gli smartphone, la stessa confidenza. La reverenza è nemica dell'amore.»
«Mi è sempre piaciuto scrivere e, da pigra, un giorno ho pensato se avrei potuto scrivere per vivere. Ho iniziato per passare le lunghe serate in casa da sola, mi divertiva, per me era come andare in un altro Paese».
«La cosa che più mi ha insegnato a scrivere è stato tradurre, per tradurre devi scegliere le parole, è faticoso, ma dà tanta soddisfazione.» 
«Non bisogna mai mentire ai lettori, J.K. Rowling, ad esempio, mette dei "semini" nei primi Harry Potter che poi si potranno ritrovare nel settimo e ultimo libro, questo è rispetto per il lettore. "La verità sul caso Harry Quebert", invece, è un libro che inganna, dice tante cose che poi non vengono più tirate in ballo. Agatha Christie diceva sempre che nei libri gialli non bisogna mentire, invece Joel Dicker mente ai suoi lettori.»

Pino Cacucci. Mitico, sì, Cacucci è proprio così. Lo avevo già capito leggendo i suoi libri e dal vivo ne ho avuto la conferma.

Quando risponde alle domande dei lettori è come un
fiume in piena, racconta storie, aneddoti personali sui più disparati argomenti, soprattutto sul Messico,.
E' alla mano, sorridente e disponibile, una persona piacevolissima.

L'ho "conosciuto" a 15 anni leggendo "
Puerto Escondido" che mi lasciò folgorata e ho continuato a consigliarlo a tutti negli anni.
Che dire anche di "
In ogni caso nessun rimorso" sulla vita dell'anarchico francese Jules Bonnot, un libro straordinario, e di "Mastruzzi indaga", raccolta di racconti che hanno per protagonista uno sgangherato ispettore bolognese alle prese con i piccoli e grandi mali che attanagliano la città felsinea, o ancora di "Viva la vida!" opera teatrale sulla vita di Frida Kahlo.
Questi sono i testi che ho letto, ma ne vorrei leggere tanti ancora, primo fra tutti "
Demasiado Corazòn", a detta di Luis Sepùlveda fra i suoi dieci libri preferiti di sempre.

Ecco le citazioni che mi hanno colpito di Cacucci:
«Vi consiglio il libro di Giuseppe Catozzella "Non dirmi che hai paura". E' la storia vera di Samia, la ragazzina Somala che ha corso (contro tutti e tutto) alle Olimpiadi di Pechino ed è finita morta naufragata al largo di Lampedusa. La storia è un pugno allo stomaco, ma è raccontata con molta delicatezza.»
«In Nicaragua ne ho conosciute di persone come il protagonista cattivo del mio "Demasiado Corazòn".
Forse non avrei scritto quasi nulla senza il mio amato Messico. 
Quando nell'82 sono andato in Messico per la prima volta non cercavo la terra promessa, andavo semplicemente via da un'Italia che non mi piaceva.
Ogni tanto torno nella casa di Frida, magnificamente trasformata in un museo, ma lasciata come lei l'ha vissuta, torno per respirare l'aria che la circondava.
A Frida mi sono avvicinato lentamente. Sulla sua vita c'erano già fior fiore di biografie, non c'era l'esigenza che ce ne fosse anche una mia. Sono partito con Tina Modotti che, invece, era stata molto trascurata, mi sono appassionato alla sua vita e alla sua amicizia con Frida. Dopo circa trent'anni mi sono sentito maturo, l'avevo "assimilata", la sentivo vicina, ho pensato "Frida, ora ti conosco" e ho quindi ho scritto "Viva la vida!", nel quale faccio sì che Frida ripensi alla sua vita con rabbia e con amore, ma senza farne una biografia.
Se ti innamori del Messico non puoi non innamorarti di Frida, che è l'emblema della messicanità.»
«Sì, sembra ancora incredibile anche a me, ma fui amico di Federico Fellini. Per un caso fortuito lesse il mio primo libro, ne rimase entusiasta e chiese in giro ai giornali perché ancora non stessero parlando di questo giovane e promettente autore. Mi invitò a Roma a conoscerlo e passammo intere giornate a parlare del Messico, anche lui ne era appassionato e ha sempre voluto girare un film là. Quelle chiacchierate sono una delle fortune della mia vita.»
«Come sono diventato uno scrittore? Sono nato come lettore accanito, sono figlio di operai che mi hanno cresciuto con la consapevolezza che i libri possono essere compagni d'avventure. Hemingway è il mio amore di sempre (ma anche Orwell), perché parlava del sogno americano con una coscienza politica forte.»
«"Puerto Escondido" è nato dall'amore che avevo allora per il genere noir e vi potete ritrovare già la mescolanza delle mie esperienze in Messico. I personaggi che sembrano più fantasiosi sono infatti reali, attingevo da quello che vedevo, quello che descrivevo era così e mi incuriosiva "montare" delle storie gialle.»
A questo punto non posso dire che "Arrivederci al prossimo anno!"

(per maggiori informazioni vi rimando al sito www.peekabook.it)






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