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giovedì 13 novembre 2014

"Party Girl"

Recensione del film “Party girl”
Di Annalisa Petrella

E’ da poco uscito nelle sale italiane “Party Girl”, un interessante film francese, dal titolo inglese, premiato al Festival di Cannes, nella sezione Un Certain Regard, con il Caméra D’Or 2014, per l’opera prima d’insieme di tre giovani registi: Marie Amachoukeli, Claire Burger, Samuel Theis. 
Il film è ambientato a Forbach, in Lorena, regione di confine tra Francia e Germania, terra con una lunga storia d' immigrazione dovuta alle sue miniere, e in quest' ibrido paesaggio di frontiera, il night dove lavora Angélique, la protagonista, rappresenta il fulcro della sua complessa e ambivalente storia personale. 
Angélique ha superato i sessanta, è una donna passionale che ha fatto della seduzione la sua arma quotidiana, lavora da sempre al “Tanz Cabaret” come entreneuse, e continua ancora oggi a trascorrervi tutte le sue notti, immancabilmente. 
Ogni sera si prepara, indossa abiti succinti e tigrati, acconcia i capelli con una cascata di boccoli improbabili, trucca il volto rugato in modo vistoso, evidenziando pesantemente gli occhi chiari, ancora belli e vivaci, entra nel locale, saluta tutti e si siede al bancone dove rimane per lunghe ore, ingollando un bicchiere di liquore dopo l’altro.



Ogni tanto lancia intorno occhiate compiacenti, attendendo il cenno di un cliente che la faccia sentire ancora desiderabile, e guarda malinconicamente le ballerine più giovani mentre ballano la lap-dance o le coppie occasionali che bevono, ridono e si brancicano negli angoli fumosi. Tutti la conoscono e le vogliono bene, la proprietaria del locale, le ragazze, i dipendenti, ma i clienti si sono diradati e, a fine nottata, sola, ubriaca e barcollante viene regolarmente accompagnata dal buttafuori nel bugigattolo dove vive, una camera sopra il locale colma di paccottiglia e cianfrusaglie degne di un’adolescente di provincia.
Il senso di vuoto e di solitudine incolmabile dettati dal suo declino la spingono a rintracciare un vecchio cliente affezionato che da tempo non frequenta il locale.
Michel, ex minatore, è felice di rivederla, le dichiara il suo amore e con grande tenerezza le chiede di sposarlo: non vuole più condividerla con altri uomini e desidera costruire con lei una tranquilla vita di coppia. Angélique, che è una contraddizione vivente, è sorpresa e attratta dalla generosa offerta di Michel, incredula e gratificata si fa travolgere dalla novità di un progetto che non aveva mai ipotizzato per se stessa e, in un clima di entusiasmo e allegria, coinvolge le colleghe di lavoro e i figli nella sua realizzazione. 
La seconda parte del film presenta un’Angélique “diurna” che cerca una vita normale in contrasto con quella notturna della sregolatezza e recupera dopo tanti anni un rapporto affettuoso con i suoi figli, da sempre trascurati, e che, malgrado tutto, la amano profondamente. Va addirittura a fare la conoscenza della quarta figlia che, alla nascita, aveva abbandonato e dato in adozione e di cui non aveva più seguito le tracce. Giorno dopo giorno la donna costruisce grazie a Michel una rete di affetti solidi; figli, nipoti e amici si stringono intorno alla coppia e la sostengono nella preparazione della nuova vita a due. 
I preparativi fervono, gli incontri familiari si susseguono e tutto pare procedere nel migliore dei modi. Ma la sera precedente le nozze, quando il figlio Sam, l’unico che si è emancipato dal suo ambiente provinciale e dimesso, la riaccompagna in automobile a casa, Angélique appare turbata e gli confida di non  sentirsi del tutto sicura del passo che sta per compiere, facendogli presente che alla base di questa storia manca il grande amore. Il dialogo tra madre e figlio è sintomatico di una situazione capovolta: è il figlio che tranquillizza la madre, facendole notare che parla come un’adolescente priva di un qualsivoglia senso della realtà e la invita alla ragionevolezza. 
Il matrimonio viene quindi celebrato con una grande festa dove tutti appaiono molto felici, il pranzo, i balli, i discorsi annunciano un futuro sereno in cui tutti vogliono credere, ma quando Angélique si ritira a casa con il marito e si prepara per la prima notte di nozze tutto cambia. La donna appare diversa, ha lo sguardo perduto e i movimenti rallentati, quasi a volersi allontanare dalla situazione. La macchina da presa coglie nel silenzio della scena il dissidio di una persona ormai completamente estraniata, è sdraiata sul letto in camicia da notte in attesa di Michel e i primi piani sul suo volto, solitamente espressivo, rivelano che ogni sprazzo di gioia è andato perduto per sempre e che è affiorata in lei una certezza inesorabile. Quando l’uomo si avvicina e la cerca con desiderio lei si ritrae e, implacabile, gli dice: - Non sono innamorata di te. -
La rabbia e la disperazione di Michel non la scalfiscono, Angélique è lì ma è già altrove e appare insensibile di fronte alle recriminazioni e alla disperazione dell’uomo. 
In silenzio si alza, si veste sommariamente con i suoi discutibili indumenti zebrati, e nel cuore della notte esce per strada e s' incammina con passo deciso verso il Tanz Tabarin, unica dimensione di vita che per lei abbia un senso compiuto.
Le note struggenti della canzone “Party Girl” di Chinawoman fanno da colonna sonora al circolo che si chiude irrimediabilmente. 
Il film si basa sulla storia vera della madre di uno dei tre registi, Samuel Theis che nel film interpreta se stesso affiancando la propria vera madre, Angélique, che, a sua volta, ha accettato di interpretare coraggiosamente se stessa. Da questo insolito progetto di tre registi esordienti, molto amici tra di loro, è nata un’intensa creazione cinematografica che vibra di sentimenti profondi e mette a nudo la bellezza interiore di un personaggio inconsueto, racchiuso in un’eterna adolescenza. Va apprezzata nella regia una sorprendente maturità stilistica, assai rara in registi così giovani, e la notevole capacità di dirigere brillantemente interpreti non professionisti.
La presidente della giuria del Festival di Cannes, Nicole Garcia, quando ha annunciato il premio dal palco, ha definito il film: “selvaggio, generoso, ribelle”. Una definizione perfettamente calzante al personaggio di Angélique che, con tutte le sue contraddizioni e fragilità in una vita ai margini, si fa amare perché è autentica, vitale e inevitabilmente irresponsabile. Di prim’ordine la recitazione della protagonista, Angélique Litzenburger, che riesce a interpretare se stessa con una naturalezza e uno spessore artistico che conquistano la simpatia del pubblico e l’apprezzamento della critica.


23 commenti:

  1. Splendida recensione! Susanna

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  2. Ancora una volta confermi la tua sensibilità e occhio critico.
    Miriam

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  3. Lo vado a vedere subito. Grazie. Angela

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  4. Il cinema francese a volte è noioso. Questo film mi attira.

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  5. Attraverso questa recensione ti cali perfettamente nell'atmosfera del film che io ho visto. E' molto interessante questo personaggio femminile così chiuso nella sua corazza indurita di adolescente. La consapevolezza della vecchiaia imminente spinge questa donna a tentare altre modalità di sopravvivenza ....ma è un sopravvivere senza nessun momento di gioia e questo per lei è peggio di qualunque altra cosa. Grazie Annalisa per aver scelto questo film! Lucrezia

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    1. Cara Lucrezia, siamo in perfetta sintonia. Grazie. Annalisa

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  6. La tua recensione mi ha fatto capire il personaggio più intimamente. L'avevo sottovalutato.

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  7. Le sue parole trasmettono emozioni.

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  8. Ho visto il film e questa recensione rispecchia appieno l'ambientazione emotiva e culturale in cui si svolge la storia. Le ulteriori informazioni sul rapporto fra attori/registi e realtà lo arricchiscono ulteriormente.

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  9. Recensione o riassunto?
    Andrea

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  10. Recensione profonda e introspettiva. Marco Casiraghi.

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  11. Mi ricorda Irina Palm. Giusy

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    1. Ci può essere un nesso, forse l'età delle protagoniste, il mondo della trasgressione, ma le due sensibilità sono completamente diverse.Grazie. Annalisa

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  12. Lettura densa di atmosfere e sentimenti. Complimenti da Lucia.

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