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giovedì 6 maggio 2021

PIAZZALE GORINI


di Vincenzo Zaccone

 Piazzale Gorini. Una piazzetta ovale, un giardinetto al suo centro; e poi la vita, che in maniera consapevole o non, intorno continua a ruotarvi. Per arrivare e fermarsi, per visitarla e andarsene o per rimanere indistricabilmente legata alla fisicità di quella parte di Milano est.

Dal buio emerge un’auto rossa, che fa almeno un paio di giri completi della  piazza, lentamente, guardinga, poi rallenta, si blocca, parcheggia. Parcheggia, come spesso accade, sul marciapiede, come ormai normalizzato dalla consuetudine Milanese. All’interno dell’abitacolo c’è Patrizia, con i suoi distintivi capelli rossi e lo smalto rosso vivo, immancabile, che spiccano nella notte come i denti di un vampiro famelico. Poi c’è Davide, con i capelli scuri, spettinati, la barba un po’ lunga. 

                                                                               (foto dal web)


Non hanno smesso di parlare un attimo sin da quando sono apparsi e continuano a farlo mentre scendono dall’auto; le voci si rincorrono da una portiera all’altra, inframezzate da sonore risate, malamente contenute solo per evitare diventino schiamazzi nel silenzio di quella piazza, che rischia di metterli a nudo. Lo sarebbero comunque, a nudo, anche se non si potesse sentirli interagire. Lui ha gli occhi innamorati, dove la complicità ha a che fare con la vita stessa e amore è solo una parola con cui si cerca di possedere verbalmente una connessione emotiva assoluta.

Si dirigono all’Union Club, anche questa volta. Lui finisce di raccontarle l’episodio che gli è accaduto quel giorno in farmacia: “… e insomma, questo tizio, senza dare nessun tipo di anticipazione, mi mostra sul suo telefono la foto del buscio…” Patrizia scoppia a ridere e biascica un veloce “Ma come!” e Davide insiste: “Sì, ti giuro! Sono rimasto impietrito, perché nemmeno in un video porno così tanta dovizia di particolari… Mi volevo fare dare il modello del telefono, perché la fotocamera era davvero di alta qualità, non c’è che dire!”. Stanno ancora ridendo e commentando la storia della felice trovata del cliente di Davide per farsi suggerire l’unguento più opportuno per il fastidio che sentiva da quelle parti, quando entrano nel locale.

C’è qualcosa, nella finta lascività di quel posto, che fa sentire a proprio agio ogni tipo di cliente; c’è una cura nella scelta dei pezzi kitsch che adornano il locale, che mette d’accordo sia gli arredatori d’interni sia gli studenti non-curanti che si riversano ogni sera là per una pinta di Tennent’s Super.

Quadri come il Cuore di Gesù con la lampadina che accende l’organo di dolore, non poteva non richiamare, come sirene i propri marinai, le memorie di figure in pena sulle pareti di case del sud Italia. Accadeva a Davide ogni volta.

Le prime due pinte atterrano sul tavolino-scacchiera. Segue il secondo giro di birre e il terzo, mentre i primi turni in bagno iniziano a cadenzare le chiacchiere e le risate. Patrizia e Davide continuano a raccontarsi i dettagli più futili e divertenti della loro settimana. In genere gli episodi più ilari sono inevitabilmente quelli di incontri sessuali, di entrambi, con compagni per una sera, di incontri eccitanti e vuoti dalle sfumature spesso ridicole. I due si raccontano con leggerezza e ironia anche le frustrazioni più grandi, per esorcizzarle. Mentre le paure più inavvicinabili si tacciono.

Quando è il momento dell’Amaro del Capo per lui e del mirto per lei, l’esigenza di cercarsi e vedersi nello sguardo dell’altro arriva. Il bisogno di confessarsi l’uno all’altra fa poi il resto.

Davide le chiede: “Com’è andata alle prove questa settimana?”; lei lo guarda, poi abbassa gli occhi: “Semplicemente non è andata” – pausa – “Anche questa volta mi ero preparata, avevo provato tanto, con le coinquiline, con i vicini di casa… poi sono arrivata là e mi sono bloccata. Sono di nuovo andata nel panico. Non ti so dire nemmeno a che punto della musica le mie mani si sono irrigidite. So solo che ho dovuto interrompere”. Davide mette la mano sulla sua, per ristabilire il contatto perso con gli occhi, e le dice: “Mi spiace che sia successo di nuovo. L’importante è che non la vivi come una trappola da cui non puoi uscire. È successo e probabilmente succederà ancora, ma ci stai lavorando su e la psicoterapia ti aiuterà a superare questo blocco”. Patrizia alza gli occhi: “È da anni che non riesco a esibirmi sul palco. Ho deciso di continuarci a provare fino alla fine dell’anno accademico, dopodiché farò la cosa più adeguata e mi occuperò solo di insegnamento”. Davide distoglie i suoi occhi a sua volta, in un gesto istintivo di disapprovazione: “Non posso accettare di vederti arrendere. Lasciare che la paura limiti le tue scelte, è l’esatto contrario della vita, è la sua negazione! Non puoi lasciare che accada”. Questa volta è Patrizia ad abbassare lo sguardo, in segno di resa: “Sono perfettamente d’accordo con quello che dici, ma confrontarmi ogni giorno con quello che non riesco a essere, è devastante. Faccio fatica a continuare a scontrarmi con i miei limiti, cercare di superarli per poi guardarmi impietrita sul palco ogni volta. Quei limiti sono parte di me; forse è il momento di concentrarmi su quello che posso fare, anziché usare tutte queste energie per cambiare quello che sono”. “Ma essere sul palco e suonare la musica che componi per il mondo è parte di quello che sei, della tua felicità”, insiste Davide; lei risponde con voce tenue ma decisa: “È quello che mi piacerebbe fare, ma forse non è quello che posso. C’è una gran differenza”. A quel punto, Patrizia aggiunge: “Sai perché stavo con quello stronzo di Valerio? Perché ero profondamente irretita dal suo modo di fare, dalla presunzione di sé che metteva in qualunque cosa; sembrava essere sempre all’altezza della situazione. Ovviamente, si declinava in positivo e in negativo… c’erano parecchi momenti in cui ti faceva venire voglia di prenderlo a calci in culo!” – sorride – “La verità è che per diventare in quel modo, ci deve essere stato qualcuno che, prima di te, in quel modo ti ci ha guardato. Il modo in cui hanno guardato me adesso mi inchioda su quel palco. Lo sforzo di cercare di diventare quel tipo di persona è più frustrante di essere contenta per quello che posso avere”. Gli sorride triste e rassegnata.

Davide si risveglia.

Sbatte gli occhi in mezzo al frinire delle cicale, immerso nell’ombra accogliente e ventosa che le pinete della Sicilia sanno regalare anche nelle giornate più afose. Accanto c’è Andrea, che lo ha visto risvegliarsi confuso e un po’ deluso… e capisce. “L’hai sognata ancora?”, gli chiede; Davide annuisce. “Era viva?”, “Sì, lo era” - dice Davide - “In realtà credo di esser stato in dormi-veglia per tutto il tempo, perché non è stato un sogno ma più un ricordo di una della nostre ultime serate all’Union Club”.

La vita non aveva mai smesso di ruotare intorno a Piazzale Gorini, neppure dopo tutti quegli anni, neppure dopo avere visto la fisicità del rapporto estinguersi, dissanguata in una vasca da bagno. 

5 commenti:

  1. finalmente la tua penna acuta è tornata!

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  2. La delicatezza, unita a una sotterranea violenza, fa di questo racconto il ritratto di un rapporto finito "in una vasca da bagno"
    Serena

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