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giovedì 8 ottobre 2020

Dedicato a Tilda Swinton

 di Annalisa Petrella

 


Tilda Swinton è arrivata alla Mostra del Cinema di Venezia per ricevere il Leone d’oro alla carriera e presentare in anteprima con Pedro Almodovar il corto “The human voice”, monologo di trenta minuti basato sulla pièce teatrale del 1930 di Jean Cocteau, all’epoca portato in scena dall’attrice Berthe Bovy. L’opera negli anni è stata interpretata da Simone Signoret, Judith Anderson, Susanna York, Liv Ullman, ma resta indimenticabile l’interpretazione di Anna Magnani nella prima versione cinematografica per la regia di Rossellini, col titolo “La voce umana”, in un episodio del film “L’amore”.

 



Oggi Almo
dovar reinventa Cocteau, ne fa un adattamento più attuale, lo ricalibra, lo ravviva, mantenendone tuttavia la struttura e inserendo alcune variazioni che sono riflessi stilistici e drammatici della sua filmografia, e lo affida a Tilda Swinton.

 

 

È un personaggio inusuale la Swinton: britannica, defilata rispetto allo scenario dello star system, pur essendo sulla cresta dell’onda del cinema da trent’anni, una bellezza strana, particolare, vagamente androgina che rimane impressa nella mente e trasmette un senso di modernità, apertura mentale, indipendenza. L’aspetto è algido in un metro e ottanta di statura, collo da cigno, occhi chiari in un volto diafano dai colori scozzesi, ravvivato da un ciuffo aranciato che svolazza sopra un taglio di capelli cortissimi che in poche, a cinquantanove anni, si possono permettere.

 

Nel monologo recitato in inglese, si noti che è la prima volta che Pedro non gira in lingua spagnola, la Swinton appare in uno splendido abito rosso, 

tende la telefonata dell’amato che l’ha lasciata e si muove nell’appartamento indossando gli auricolari bianchi - l’apparecchio telefonico è ormai superato -, soppesando il passare del tempo, guarda le valigie che l’ex amante dovrebbe venire a ritirare e un cane irrequieto che ancora non sa di essere stato abbandonato dal suo padrone. Si tratta della storia dell’abbandono di due esseri viventi e dell’immensa sofferenza che implica.

 


Tilda è magnifica nella sua interpretazione, riesce a comunicare con le espressioni del volto, la gestualità, i movimenti, le parole, l’intensità degli stati d’animo di cui è preda in tre lunghissimi giorni di attesa: dolore, impotenza, angoscia, rabbia, disperazione contro l’ipocrisia, il silenzio e la meschinità dell’altro. La donna sull’orlo dell’abisso non ha risposte, è sola in scena e parla fiera in una luce forte con primi piani travolgenti che catturano tutte le emozioni e non risparmiano le rughe che la rendono più reale e contribuiscono ad offrire una lezione morale sul desiderio. I due leoni alla carriera, lo scorso anno lo aveva ricevuto Almodovar, si sono incontrati e insieme fanno scintille.

 

La carriera

 Ribelle, anticonformista, Tilda Swinton è una delle interpreti più originali e intense a partire dagli anni Ottanta e mostra una versatilità come attrice fuori dal comune. Viene da una famiglia di tradizione militare appartenente all’alta borghesia scozzese, il padre è stato generale delle Guardie Scozzesi, la madre è australiana. Nasce a Londra nel 1961, vive l’infanzia in un castello di proprietà della famiglia da generazioni, frequenta le scuole dell’alta società britannica, avrà per compagna Diana Spencer, e nel 1980 si sposta all’università di Cambridge dove si laurea in Scienze politiche, ma il palcoscenico è la sua passione, frequenta quindi la prestigiosa Royal Shakespeare Company e si dedica al teatro. Nel 1985 l’incontro con Derek Jarman la fa approdare al cinema, diventerà la sua musa e interpreterà tutti i suoi film - “Caravaggio”, “The last of England”, “Aria”, “Edoardo II”, per il quale vince la Coppa Volpi a Venezia, “Wittgenstein” e “Blue” - fino alla morte del regista avvenuta nel 1994 per Aids. Nel 1992 viene consacrata al grande pubblico con l’interpretazione di “Orlando” per la regia di Sally Potter, liberamente tratto dal romanzo di Virginia Woolf, dove recita il ruolo ambiguo di un personaggio che attraversando quattro secoli di storia passa da sembianze maschili a femminili e diventa l’interprete ideale del tema del “doppio”. Ha lavorato con alcuni dei maggiori registi contemporanei, ma è soprattutto fedele ad alcuni autori, dopo Jarman nasce un sodalizio speciale con Luca Guadagnino, con il quale ha realizzato “Io sono l’amore”, “A bigger Splash”, “Suspiria” e ha condiviso il progetto di dar vita a un cinema fuori dagli schemi. “Ha la capacità di passare dal cinema d’autore più radicale a grandi produzioni hollywoodiane, senza mai rinunciare al proprio inesausto bisogno di dar vita a personaggi inclassificabili. La sua unicità riposa su una personalità esigente ed eccentrica, in questo senso Tilda Swinton si conferma come l’interprete per eccellenza del cinema contemporaneo, che non si accontenta della semplicità e del richiamo delle mode, ma aspira all’inosabile” (Alberto Barbera, direttore artistico della Mostra del Cinema di Venezia).

Si apre senza remore a diversi generi cinematografici interpretando anche ruoli torbidi “Perversioni femminili”, “The Beach”, “Young Adams”, nel 2002 è protagonista del thriller “I segreti del lago” per il quale viene candidata ai Golden Globe. Nel 2005 interpreta il ruolo della strega bianca in “Le cronache di Narnia”, nel 2007 in “A prova di spia” dei fratelli Coen è di nuovo candidata ai Golden Globe, nel 2008 vince l’Oscar come miglior attrice non protagonista, spalla di George Clooney, in “Michael Clayon”. Instancabile ha lavorato e continua a lavorare in numerosi film e performance artistiche dando prova di essere un’attrice poliedrica di grande calibro; nel discorso di accettazione del “Leone d’oro alla carriera” esprime in maniera inequivocabile la sua passione per il cinema:


 
“Il cinema è, semplicemente, il mio luogo felice. È la mia vera madrepatria. E la sua compagnia, l’albero genealogico del mio cuore. I nomi sull’elenco di coloro ai quali è stata tributata questa onorificenza sono i nomi dei miei maestri. Sono la ragazzina punk fissata con il cinema che fa l’autostop per la stazione per prendere un treno per le colline ai piedi delle vette delle loro conquiste. E, ad ogni modo, io sto appena iniziando.

Grazie per il mio leone con le ali. Il miglior dispositivo di protezione personale per l’anima che possa immaginareViva Venezia. Cinema, cinema, cinema! Wakanda forever! (il saluto che Chadwick Boseman, attore prematuramente scomparso a causa di un tumore, pronuncia nel film ‘Black Panther’) Nient’altro che amore”.

 

Due donne


In “Io sono l’amore” Tilda riveste il ruolo di Emma, moglie di Tancredi Recchi, ricco industriale appartenente all’alta borghesia milanese, sono sposati da molti anni, forse senza essersi mai amati veramente, e trascorrono la loro esistenza nel centro di Milano, nella meravigliosa 
Villa Necchi Campiglio, utilizzata come location per il film di Luca Guadagnino. Hanno tre figli adulti, uno stuolo di domestici e sono molto legati ai genitori di Tancredi, Gabriele Ferzetti interpreta egregiamente il ruolo del patriarca. Tra mondanità e consigli d’amministrazione Emma svolge il ruolo della bella moglie che dirige la casa, sa ricevere, sempre stando al posto suo, e si dedica ai figli. Del resto si è sposata giovanissima, catturata da Tancredi che l’aveva conosciuta in Russia nella casa del padre restauratore, e si è assuefatta ai propri doveri svolti nel lusso di una Milano elegantissima ripresa dal regista con un tocco viscontiano. L’arrivo di un amico del figlio prediletto, un giovane di umili origini che fa lo chef, sconvolgerà la vita a lei e alla famiglia intera.

Tilda è abbagliante nella sua perfezione, prima algida, regale, misurata, timidamente integrata nel gruppo di famiglia (in un interno, verrebbe da dire), poi solare, strabordante di passione, viva, in una dimensione che la conduce alla verità su se stessa e su ciò che conta nel vivere.

 

In “I segreti del lago”, thriller girato in un magnifico paesaggio sul lago Tahoe in Nevada, la Swinton è la madre. Ha tre figli e un suocero che abita con loro in una casa in riva al lago, il marito, ufficiale di marina distaccato su una petroliera, vive sempre in mare e lei, da sola, gestisce la vita dell’intera famiglia. Quando scopre che il figlio diciassettenne è stato irretito in una relazione omosessuale da un losco proprietario di night, scatta nella donna l’istinto di protezione e chiede all’uomo di lasciare in pace il ragazzo. L’uomo non molla la presa e lo raggiunge di notte a casa, ma, dopo un alterco con lui, muore sulle rive del lago. La madre, all’insaputa del figlio e credendolo colpevole, si assume totalmente la
responsabilità di occultarne il cadavere per evitargli
conseguenze, ma cade in una rete di ricatti che danno una svolta alla vicenda. 


Il film 
tratto dal racconto degli anni Quaranta di Elizabeth Sanxay Holding, “The blank wall”, è un thriller sui generis in bilanciato equilibrio tra thriller psicologico e giallo con sfumature noir. Si focalizza principalmente sulla vita quotidiana della famiglia, indagando sulle sensazioni e reazioni dei diversi componenti coinvolti nella vicenda più che sulla caccia all’assassino, ciò che maggiormente conta qui è come si possa vivere con il senso di colpa e la paura di essere scoperti. Margareth, la madre, è il perno della storia e la Swinton ne offre un’interpretazione molto intensa. Costretta a confrontarsi con qualcosa di più grande di lei che la trasporta in un mondo sordido e pericoloso, la donna, sempre più immersa nella paura e in una silenziosa  angoscia, non demorde nel suo intento salvifico, ad ogni costo, mentre le acque del lago diventano lo specchio dei suoi segreti.

 

32 commenti:

  1. Articolo bellissimo per una grande attrice

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  2. La conosco poco ma è bravissima

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  3. Finalmente un premio meritato

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  4. articolo molto interessante che ha saputo mettere in giusto rilievo la bravura dell'attrice

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  5. Magistrale limpidezza e critica, straordinaria attrice e protagonista regale unità nella molteplicità del Nostro essere Umani. Eccellente critica. Complimenti, Annalisa

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  6. Analisi lucida e possente formulata con dinamismo ed eleganza, complimenti.

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  7. Si tratta di una attrice inusuale e difficile da inquadrare. Sei riuscita a descriverla e dipingerla in modo egregio. Complimenti Annalisa. Vittorio

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  8. Sono pienamente concorde sul meritatissimo premio a Tilda Swinton!
    Come di consueto il suo ritratto è preciso e completo
    CV

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  9. Ricerca biografica completa e accurata unita alle recensioni appassionate di due film della brava attrice

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  10. Accurata e profonda recensione, coglie e descrive l'unicità di Tilda Swinton, bravissima Annalisa (se solo la Swinton potesse leggerla!).
    Ludmilla

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  11. Sei riuscita a catturarmi su un'attrice la cui bellezza mi ha sempre disturbato, per cui sorvolavo sulle notizie che la riguardavano e sulle foto che la ritraevano. Ora mi hai messo in crisi e sento che debbo rimediare alla mia voluta ignoranza. SR

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  12. Accurata e profonda recensione. Andrò a vederlo.

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  13. Credo di non aver mai visto questa attrice " all' opera". Tuttavia ho presente il suo aspetto originale e molto interessante. Grazie alla bella e accurata presentazione di Annalisa, adesso la Swinton ha anche un " carattere". Brava, come sempre, Annalisa!

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  14. Gentile come sempre, Renza!

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  15. Accurata e brillante analisi di una donna e di un'attrice di non facile comprensione.

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  16. Un’attrice davvero particolare, molto intensa e profonda. Mi è piaciuta molto la tua recensione, intensa e profonda come l’attrice che descrivi.

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  17. Come al solito sei riuscita a suscitare in me curiosità. Non sapevo molto di questa attrice di cui non ho mai visto nessun film. Rimedierò al più presto. Grazie. Lucrezia
    P.S. Nell'opera "The human voice" si riconosce anche nelle foto scelte nella tua recensione, il tocco di Almodovar, quel bel rosso deciso che spicca su tutti gli altri colori rendendo le immagini stesse dei piccoli cqpolavori

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