di Mimma Zuffi
Giacomo Manzù nacque il 22 dicembre 1908 a Bergamo, da una famiglia molto povera e religiosa, undicesimo di dodici fratelli.Il padre, calzolaio, era
anche sagrestano e custode della chiesa delle monache di Sant’Alessandro in
Colonna; religiosità unita alla schietta semplicità popolare influenzeranno il carattere del
giovane Giacomo. Il suo vero cognome, Manzoni, attraverso la deformazione
dialettale bergamasca si trasforma in Manzù.
L’infanzia di quello che
diventerà uno dei più importanti e famosi scultori del Novecento è alquanto
dura.
Lasciati gli studi in terza
elementare, per raggranellare qualche soldo, entra nella bottega di un
decoratore che, accortosi del suo gusto per la scultura, gli affida piccoli
lavori di stuccatura e intaglio
A sette anni realizza le sue
prime scultura, una sirena e un leone per cui prende a modello il gatto di casa.
Nel 1927 è di leva a Verona,
dove frequenta spesso l’accademia Cignaroli per studiare i calchi e le sculture
esposte. Una volta congedato, si trasferisce a Milano dove entra in contatto
con l’ambiente degli artisti: Sassu, Birolli, Tomea, Montale, Quasimodo.
Ha fatto la sua scelta:
l’arte sarà la sua vita, anche se non ha mai amato definirsi “artista”, fedele
alle sue origini di umile artigiano. Forse proprio perché considera la scultura
“un lavoro da fare seriamente”, va a Parigi, dove non fa in tempo a conoscere
gli artisti che vi risiedono e lo straordinario clima culturale che vi si agita
perché, vagabondo e affamato, viene rispedito in Italia dalla polizia. È allora
che gli viene ritirato il passaporto dalle autorità fasciste, insospettite da
quel giovane artista che espatria per respirare altra aria. Gli verrà ridato
solo nel 1936, quando il suo nome sarà ormai famoso grazie anche all’appoggio
offertogli dai critici Cesare Brandi e Carlo Ludovico Ragghianti, suoi primi
appassionati scopritori.
Terminato il breve soggiorno
parigino, Manzù si trasferisce a Milano nel 1931 dove partecipa alla sua prima
mostra collettiva e Scheiwiller, suo amico, gli pubblica la prima monografia.
Scolpisce la Bambina con la sedia (tema
che si ripeterà con successo) e, dopo un viaggio a Roma nel 1934, concepisce la
serie dei Cardinali, il cui ultimo
esemplare è dedicato a Monsignor Lercaro e si trova a San Petronio a Bologna.
Ottiene un importante riconoscimento nel 1936 col Premio Principe Umberto alla
“Permanente” di Milano. La miseria è finalmente finita. Si sposa e ha tre
figli, due dei quali moriranno giovanissimi. Il terzo, Pio, laureato in architettura, affermato designer
a stilista automobilistico, morirà appena trentenne nel 1969 in un incidente
d’auto.
Ottiene la medaglia d’oro
della Triennale di Milano nel 1937, partecipa alla ventunesima Biennale nel
1938 (dove riceve una feroce stroncatura da Ugo Ojetti) e infine nel 1940 viene
chiamato a insegnare all’Accademia di Brera, da cui si dimetterà nel 1954
perché “uno che esce diplomato dall’Accademia delle Belle Arti va bene per fare
l’imbianchino o la maschera al cinema. Non sanno nemmeno come si mettono le
dita su un pezzo di creta, nessuno
glielo insegna e a loro non interessa di impararlo.”
Intanto prosegue lo studio
degli amati maestri: Donatello, Bernini, Medardo Rosso, Brancusi, Picasso, per
il quale ha una vera e propria venerazione, Fra i letterati comincia ad amare
Leopardi, e poi l’amico Quasimodo ed Ezra Pound. Ma soprattutto Moravia che
frequenterà abbastanza assiduamente negli anni della maturità. Per gli artisti
italiani non avrà mai molta ammirazione,
tranne che per Morandi e De Chirico.
Schivo ed anche un po’
“orso”, Manzù cercherà sempre di tenersi al di fuori delle mode e delle
amicizie mondane, rivendicando per sé l’antica definizione di umile “artigiano
delle forme”, sottolineata anche fisicamente da una massiccia corporatura di
contadino e dall’abitudine di portare cappellacci su cui infila piume colorate.
Trascorre il tempo di guerra
isolato a Clusone, nel Bergamasco, ideando una serie di Crocifissioni, gli
“orrori della guerra”, e di studi di foglie ed erbe, ispirandosi ai due
fenomeni che aveva di fronte, la Natura e la Guerra, anche se l’artista lo
nega.
Tiene poi una grande mostra a Milano nel 1947, vince il premio per la scultura alla Biennale del, 1948, e nel 1951 ottiene l’incarico per la “Porta della Morte” di San Pietro a Roma, incarico che lo terrà occupato per molti anni fino alla definitiva inaugurazione nel 1964. Questa celeberrima opera, insieme alle altre per la cattedrale di Rotterdam e per il Duomo di Salisburgo, testimonia il complesso rapporto che corre tra l’artista sensibile ai temi sacri e l’uomo divenuto ateo e politicamente orientato a sinistra. Le frequenti visite fatte a Giovanni XXIII durante il suo pontificato, di cui è testimone il busto in bronzo eseguito per il suo concittadino, lasciano una profonda traccia nell’animo dell’artista. “Papa Giovanni
è sempre stato un’altra cosa, da vivo e da morto. Per me conoscere lui è stato ritrovare Lenin, Gandhi, tutti i veri uomini in cui credo. E Giovanni è stato per me la loro continuazione umana. Se ho sentito Dio accanto a lui? Posso dire questo soltanto, dopo la sua morte: anche per un laico come me è certo che persone come Giovanni non muoiono, è certo che lui resterà, non può essere diversamente.”
Nel 1954 tiene dei corsi
estivi a Salisburgo insieme al pittore Kokoschka, ed è lì che conosce Ingeborg Schabel, la donna che
gli darà due figli: Giulia e Mileto (“L’ho scelto perché non è un nome
cattolico”).
Pochi anni più tardi vanno
ad abitare nella grande casa-laboratorio di Ardea, vicino a Roma, anche perché
l’impegno in Vaticano richiede una presenza continua. Proprio ad Ardea Inge ha
dato vita ad un museo degli “Amici di Manzù” dove sono custodite moltissime
opere soprattutto in bronzo, il materiale prediletto dal Maestro.
Nella produzione di Manzù spiccano oltre alle opere già citate il “Cardinale seduto”, gli “Amanti” (che entusiasmò Quasimodo), l’altorilievo per il palazzo del Mercato Comune di Bruxelles, le “Maternità”, ma soprattutto le opere destinate in qualche modo a luoghi aperti (“Preferisco la piazza al museo”), come la “Pattinatrice” di Anversa, o il “passo di danza” posto nel mezzo di un crocevia di Detroit. Celebri sono anche i ripetuti busti di Inge, le sculture sul tema dello strip-tease e i volti di personaggi celebri, come quello di Barnard.
Accademico di San Luca,
membro della Reale Accademia del Belgio, eletto ad honorem all’Accademia
Americana di Arti e Lettere di New York e all’accademia Nazionale di Belle Arti
di Buenos Aires. Premio Lenin per la pace nel 1966, ha dovuto pagare lo scotto
di tanta prestigiosa popolarità quando nel novembre 1974 alcuni banditi hanno
tentato di rapire i suoi figli, senza peraltro riuscirvi, ma costringendolo a
trasferirli in Germania.
Nel 1979 Manzù dona le sue opere allo
Stato Italiano.
Nel 1989, a New York, viene
inaugurata di fronte alla sede dell'ONU l'ultima sua grande realizzazione, una
scultura in bronzo alta 6 metri. Nel 2007 un gruppo di 6 sculture viene
esposto, "en plein air", ad Orta S. Giulio, in provincia di Novara.
Manzù muore nella sua villa-museo a
Campo del Fico (Aprilia), il 17 gennaio del 1991
molto interessante, grazie Mimma
RispondiEliminaMarina
Grazie a te, Marina.
RispondiEliminaE' stato davvero un grande!