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mercoledì 4 ottobre 2023

Rudolf Nureev

 (di Anselmo Pagani)



Nascere su un treno in corsa non è da tutti, ma vedere la luce sulla Transiberiana è appannaggio esclusivo di un solo uomo, anzi di un mito che di nome fa Rudol’f Nureev.

Il 17 marzo del 1938 così lo partorì mamma Farida, in viaggio verso Vladivostok insieme alle due figlie per raggiungere il marito Hamet, militare dell’Armata Rossa perennemente sballottato ai quattro angoli dell’immenso territorio dell’allora Unione Sovietica.

Questa sorta di “marchio di fabbrica” gli avrebbe fatto dire che: “Era il mio destino essere cosmopolita e non essere a casa da nessuna parte”.
Nell’unica stanza fredda in cui l’intera famiglia trascorse il periodo bellico a Ufa, l’unico saltuario divertimento su cui il piccolo Rudolf poté contare fu qualche spettacolo di balli folkloristici.
A far sorgere in lui il desiderio di dedicarsi alla danza, però, fu la visione del “Canto dell’Airone”, opera inscenata dalla Compagnia di Ballo di Ufa il 31 dicembre del 1945.
Anna Udeltsova, ex ballerina, gli insegnò le basi della danza classica, che gli consentirono di accedere alla prestigiosa Scuola di ballo del Bolshoi di Mosca.
Da semplice studente debuttò già nel 1958 sul palco del prestigioso Teatro Kirov di San Pietroburgo, esibendosi nello “Schiaccianoci” e riportando uno strepitoso successo.
Ribelle, geniale e testardo, Nureev si atteggiava già a bizzosa star, cambiando a suo piacimento le coreografie, rifiutando le parrucche e disegnandosi gli abiti di scena, tanto da destare le invidie e gelosie dei colleghi.
Per la sua indisciplinatezza nel 1961 rischiò di non partire per la tournée europea del Kirov, venendo imbarcato solo all’ultimo momento.
Nel maggio di quell’anno debuttò all’Opera di Parigi per il tripudio del foltissimo pubblico che in lui riconobbe l’astro nascente della danza mondiale.
Certo, persino gli zelanti funzionari del KGB che accompagnavano tutta la trasferta faticarono a tenere sotto controllo quel giovane tanto refrattario alle regole e alla disciplina, sempre pronto ad escogitare uscite notturne non autorizzate per frequentare feste e ambienti omosessuali.
Tanta irrequietezza gli costò il richiamo in patria, ma una volta raggiunto l’aeroporto parigino del Bourget, il timore di finire in carcere una volta rimesso il piede a Mosca lo indusse a lanciarsi in una fuga rocambolesca per chiedere asilo politico alla Francia.
Nel suo Paese, Nureev poté rientrare solo 26 anni più tardi, nel 1987, appena in tempo per dare l’ultimo saluto alla madre morente e rivedere la sua prima insegnante di danza, Anna Udeltsova, ormai ultra centenaria.
Grazie ai suoi nuovi protettori e amici, diede inizio a quel magico trentennio che l’avrebbe consacrato a popstar a livello mondiale, facendolo esibire sui più importanti palcoscenici globali sempre più spesso in compagnia dell’amatissima Margot Fonteyn con la quale, sebbene avesse vent’anni più di lui, strinse un sodalizio artistico, professionale e affettivo destinato a durare sino alla morte di lei, nel 1991.
La passione che mise nel lavoro, Nureev, da dandy romantico, tenero e irascibile qual era, non la risparmiò neppure nella vita privata intrattenendo una serie di relazioni amorose che riempirono le pagine dei rotocalchi, scandalizzando non poco un certo perbenismo ipocrita di quegli anni in cui i rapporti omosessuali ancora faticavano ad essere accettati.
Numerosi furono i suoi compagni. Fra i più noti e famosi figurano l’attore Antony Perkins, i ballerini Erik Bruhn e Robert Tracy (che gli fu accanto sino alla fine), le popstar Mick Jagger e, soprattutto, Freddy Mercury che lui chiamava “Eddie”.
Notevole fu la sua attività nel nostro Paese, specialmente a Milano e Roma dove si esibì per la prima volta con Carla Fracci nel 1965.
Proprio in Italia, già sofferente e stanco, decise di trascorrere le sue giornate più belle e serene acquistando, nel 1989, una splendida villa a strapiombo sul mare costruita su progetto di Le Corbusier sull’isolotto Gallo Lungo, il più grande dei tre che compongono l’Arcipelago delle Sirenuse, al largo di Positano.
Sarebbe stata la dimora più amata, dove ritrovare un po’ di pace quando le sue condizioni di salute andavano rapidamente peggiorando a causa dell’AIDS che l’avrebbe portato alla tomba il 6 gennaio del 1993.
Riposa nel cimitero ortodosso di Sainte Genevieve des Bois, nei pressi di Parigi, in un sepolcro sormontato da un mosaico che riproduce uno splendido kilim kazako.
La sua opera vive grazie alla fondazione che porta il suo nome, finanziando gli studi di giovani danzatori e danzatrici in ristrettezze economiche, oltre che gli studi per la lotta all’AIDS




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