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martedì 10 ottobre 2023

GUERRA, GUERRA, GUERRA

 di Luigi Giannacchi

 

 

 Sono sconvolto dall’inasprimento del conflitto medio-orientale arabo-israeliano, anche se non ero così ingenuo da pensare che dopo l’epidemia di Covid l’umanità si fosse convinta a ridurre la spesa della tecnologia bellica ricercando piuttosto tecnologie in grado di migliorare l’ecosistema del pianeta in cui viviamo. Nel dicembre 2019, poco prima che scoppiasse l’epidemia, ma arrivavano già notizie inquietanti dalla Cina, un documentario televisivo metteva in evidenza come la spesa bellica in tutti i paesi della Terra era aumentata in maniera irrrazionale. L’epidemia ha solo fatto posticipare propositi di guerra che sono rimasti sopiti per la paura di un’arma biologica non ancora nota. 


 Nella scelta fra essere e divenire che nasce dai primordi della filosofia ho sempre dato priorità ai filosofi che incentravano il loro modo di vedere il mondo su una visione dinamica e complessa delle vicissitudini della storia, ho sempre preferito Eraclito a Parmenide, ma spesso mi sono chiesto se veramente la guerra abbia una sua giustificazione nella pace che ne segue. Sono d’accordo con lui: il mondo è sempre in divenire fra uno stato di guerra ed uno stato di tregua. “Come il movimento dei venti preserva il mare dalla putredine cui sarebbe ridotto da una bonaccia duratura, così la guerra preserva i popoli dalla putredine cui sarebbero ridotti da una pace duratura o addirittura perpetua”. L’amore che ho per il mare e l’utilità del vento mi fa condividere solo per quanto riguarda il vento questa frase di Hegel, ma è veramente così inverosimile che possa esistere una pace universale in vita o dobbiamo aspettarcela solo alla morte?

 “Life, Lady Stutfield, is simply a mauvais quart d’heure made up of exquisite moments” La vita non è altro che un brutto quarto d’ora fatto di momenti squisiti, diceva O.Wilde. Siamo nel mezzo del quarto d’ora più terribile da quando un preistorico virus che era rimasto endemico fra i pipistrelli è rientrato in contatto con la specie umana. Chiaramente non per colpa dei pipistrelli, ma se mai per colpa della popolazione umana che sta continuando ad occupare ecosistemi di altri animali, senza rendersi conto che le epidemie provenienti dal mondo animale saranno d’ora in poi più frequenti di prima. Stiamo deforestando, inquinando, allevando senza criterio, riducendo a merce qualunque parte di questo pianeta possa arricchirci ed in più proseguiamo anche a farci la guerra come se niente fosse. Non sembra un animale tanto intelligente questo homo sapiens!

 Durante il Rinascimento l’utilizzo delle armi da fuoco e la necessità da parte dei governanti di avere un esercito permanente accelerava la volontà di acquisire territori per avere il sopravvento sui propri vicini confinanti. Per questo motivo Erasmo da Rotterdam condannava duramente l’uomo impegnato “con tanto zelo, con tante spese, con tanti sforzi alla reciproca rovina della guerra. Che infatti facciamo nella vita se non la guerra o prepararci alla guerra? Neppure tutte le bestie combattono tanto, ma solo le belve, le bestie cattive.”

 Non era di questo avviso N. Machiavelli che invece invitava il Principe a “prepararsi alla guerra e a tutto ciò che essa comporta”, in questo invito seguito senza posa da Cesare Borgia, consapevole che “i principi che si sono dedicati più ai piaceri della vita che all’arte militare hanno perso il loro potere”. Era quest’ultimo così interessato all’arte della guerra piuttosto che alle altri arti da invitare Leonardo Da Vinci a lavorare per lui per progettare una macchina da guerra invincibile in uno scontro armato.

 Il generale Von Clausewitz, morto nel 1831 della stessa epidemia di colera nella quale morì anche il filosofo Hegel, era ossessionato dalla figura di Napoleone, da cui era stato sconfitto nella battaglia di Jena del 1806. Tanto era la sua avversione verso Napoleone che preferì arruolarsi nell’esercito russo durante la coalizione fra la Prussia e la Francia. Esaminando nel suo libro “Della guerra” se questa fosse più vicina all’episteme (il sapere), oppure alla techne (l’applicazione del sapere) finiva per concludere che “la guerra non appartiene né al dominio dell’arte né al dominio della scienza, ma al dominio della vita sociale. E’ un conflitto di grandi interessi che ha una soluzione sanguinosa e solamente in questo differisce dagli altri. Si potrebbe piuttosto paragonarla al commercio che a qualsiasi altra arte, perché il commercio è anch’esso un conflitto di interessi e attività: e alla guerra si accosta ancor più la politica, che può anch’essa a sua volta considerarsi come un commercio in grande scala”. Von Clausewitz comprende già ai suoi tempi che la guerra non è più un’arte o un gioco, ma è sul punto di diventare una religione, basandosi sul concetto di rivalità mimetica: desidero quello che desidera il mio nemico, mi armo come il mio nemico, combatto come in uno specchio il mio nemico, in una sorta di fuga vertiginosa verso l’abisso. René Girard ha portato alle estreme conseguenze questo concetto di von Clausewitz: gli uomini tendono ad essere sempre più aggressivi quanto più si somigliano, in una rincorsa indifferenziata verso la militarizzazione e l’autodistruzione dell’umanità.

 Aveva forse visto giusto Aristofane che in una sua commedia ipotizzava la figura di un contadino dell’Attica, il quale, stufo delle tribolazioni della guerra, volava su di uno scarabeo stercorario verso il cielo per parlare con gli dei. Con sua enorme sorpresa scopriva che anche gli dei se ne erano andati via, disgustati dalla cattiveria umana. Al loro posto trovava invece due giganti che  avevano imprigionato Eirene, la dea della pace, dentro un antro custodito da enormi macigni. Non restava loro che apprestarsi a distruggere le poleis greche dentro un mortaio, ma mancavano i necessari mestatori per utilizzare al meglio il pestello del mortaio, fra i quali non ultimi i mercanti di armi e i politici.

 A voler essere utopico un pianeta senza armi sarebbe una gran successo, non c’è dubbio, ma in primo luogo dovrebbero venire a mancare tutte le persone che dalla produzione e dalla vendita di armi hanno un guadagno. Così procedendo bisognerebbe annullare qualsiasi fonte di ricchezza economica, ovvero gli istituti nati per accumulare denaro, in quanto sono loro a comportare sempre un debito per l’individuo e per la società, se non addirittura per gli Stati. Negli anni ‘70 la Bank of Credit and Commercial International con sede a Karachi e Londra risultò coinvolta in una rete di traffici illegali con attività terroristiche.

Nella mia vita ho visitato alcuni stati senza un esercito regolare, fra cui il Costarica che l’ha abrogato nel 1949 per investire in istruzione e salute e l’Islanda dove gli Stati Uniti hanno preso in carico la sicurezza dell’isola, sebbene sia presente una piccola flotta con aerei per il pattugliamento e la difesa delle acque territoriali. Non mi sono mai sentito così al sicuro come nei brevi periodi che ho passato in questi Stati.


 

 

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