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giovedì 27 luglio 2023

Georgia: viaggio nel cuore del Caucaso

 

appunti sparsi di viaggio di Marina Fichera

 


Dopo aver visitato l’Armenia nella primavera del 2014, avevo programmato un secondo viaggio nel Caucaso già nel 2018 ma, per una serie di motivi, sono riuscita a renderlo realtà solo cinque anni dopo, alla fine di aprile di quest’anno. Per fortuna non ho desistito, perchè la Georgia è un paese magnifico e nei prossimi anni mi auguro che diventi una meta turistica molto richiesta, anche se temo che ciò possa cambiare questa oasi di vita ancora genuina e sincera in una delle tante mete instagrammabili. Nel frattempo io me la sono goduta a pieno, incontrando persone fiere e accoglienti, con pochi turisti e nello splendore di montagne innevate, alberi fioriti e fiumi in piena. Paesaggi e colori che solo la primavera può regalare

                                                     Primavera sul Caucaso (foto di Marina Fichera)


Il mio viaggio inizia da Tbilisi, la capitale della Georgia, fondata nel V° secolo d.C.. La città, che conta circa un milione e duecentomila abitanti - un quarto dell’intera popolazione nazionale - è un crogiuolo di storia, cultura, arte e architettura molto affascinante. Prendo la cabinovia per salire fino all’imponente fortezza di Narikala – di cui in realtà restano solo le mura esterne – per ammirare l’incantevole città e il suo fiume dall’alto. Davanti ai miei occhi vedo chiese, case colorate in legno, grandi edifici del XIX e XX secolo, fino alle più ardite architetture moderne, tra cui il Ponte della Pace, opera di un architetto italiano. Un miscuglio  armonioso di oriente e occidente e di epoche che crea un’atmosfera unica.

Scendo e mi immergo nella città, in un susseguirsi di mistiche chiese ortodosse, monumenti, antiche terme, viuzze pedonali piene di ristorantini, case di legno finemente intarsiato, per giungere infine alla grande piazza della Libertà e al lunghissimo corso Rustaveli, dove visito il Museo Nazionale della Georgia. Il meteo è incerto, in pochi attimi si passa dal temporale al sole e viceversa, ma questo rende ancora più affascinante la scoperta di questa città così varia e stratificata, ed è un vero peccato avere solo un giorno per visitarla.

Nuove e vecchie architetture di Tbilisi, dalla fortezza di Narikala 
(foto di Marina Fichera)

La città rupestre di Vardzia, quasi al confine con l’Armenia, per alcuni aspetti potrebbe ricordare la nostra Matera. Scavata su tredici livelli di una montagna che si affaccia sul fiume Mtkvari - quello che bagna Tbilisi - risale a quasi novecento anni fa. Fondata dalla regina Tamara - ancora oggi molto amata dai georgiani - dopo un’iniziale destinazione militare, divenne un importante luogo sacro. Di recente, dopo secoli di abbandono, una piccola comunità monastica è tornata a popolarla. La visita, oserei dire sconsigliabile a chi soffre di vertigini, permette di ammirare la bellezza del sito e della valle sottostante, salendo e scendendo lungo la parete attraverso scalette appositamente costruite. Mentre visitiamo la piccola chiesa che conserva uno dei pochi affreschi ancora esistenti raffiguranti la regina Tamara incontriamo un anziano monaco, e mi chiedo come sia vivere in questo luogo così particolare, affollato di turisti di giorno e isolato, a picco sulla vallata, di notte.

                              La città rupestre di Vardzia e la valle con il fiume Mtkvari

                                                      (foto di M. Fichera) 

Nel nostro viaggio incontriamo, tra le tante cose, anche enormi fabbriche dismesse e monumenti dell'era sovietica, tra cui il mosaico del 1983 dedicato all’amicizia dei popoli tra Georgia e Russia, a mio parere molto bello come opera artistica e anche perché è posto in un punto di incredibile suggestione. 

Cerco di capire come è vissuta da parte dei georgiani  l'attuale guerra, dall'altra parte del Mar Nero. L preoccupazione è ben celata dietro i grandi sorrisi e l'affabilità delle persone, ma il ricordo dell'invasione da parte della Russia del 2008 è ancora troppo fresco, e soprattutto irrisolto, per far finta che sia tutto normale.

Per noi occidentali la caduta del muro, e il conseguente disfacimento dell’Unione Sovietica, è sempre sembrata una sorta di grande festa collettiva. Un’ubriacatura di libertà, in un mondo lontano e misterioso, in cui tutti erano, all’improvviso, diventati finalmente ex comunisti, liberi e felici. Questa però è una banalizzazione, la realtà di ciò che accadde si può capire - e solo in parte, vista la complessità e la delicatezza del tema - solo parlando con chi ha vissuto quel periodo traumatico di trasformazione. 

                      Monumento all’amicizia Georgia-Russia (foto di Marina Fichera)

In realtà, per le popolazioni dei paesi dell’ex blocco sovietico, gli anni ‘90 sono stati durissimi. La nostra guida, una donna colta e amante della cultura italiana, ci racconta che in quegli anni i georgiani hanno fatto la fame, nel senso reale del termine. In un attimo tutto era scomparso: il lavoro, l’elettricità, il riscaldamento, il cibo... Ogni certezza sul presente e sul futuro era svanita, evaporata come neve sotto un sole improvviso. Solo il pensiero di ritrovare la libertà e l’antica spiritualità cristiana, negata per decenni dal regime, hanno permesso loro di salvarsi dall’inattesa privazione del, seppur povero e limitato, mondo materiale sovietico.

Io credo che per noi, fortunati europei occidentali, sia molto difficile immaginare cosa abbiano vissuto queste persone, in un passaggio scioccante ma fondamentale nella storia del XX° secolo. E comunque non sono del tutto convinta che noi si sia liberi davvero,  stretti come siamo tra tecnologia, consumismo e voglia di dimostrare a tutti i costi di non essere solo un numero tra otto miliardi di essere umani.

Il complesso monastico di Gelati (foto di Marina Fichera)

La caduta dell’URSS ha permesso ai georgiani di poter tornare a vivere pienamente la religione - questo è uno dei primi paesi cristiani nella storia - e la spiritualità.  Molte delle chiese e dei monasteri georgiani sorgono in luoghi impervi, ricchi di fascino e silenzio. La pietra color miele degli antichi complessi religiosi si staglia contro altissime vette innevate, sotto cieli limpidi e azzurri ornati da bianche nuvole svolazzanti. È tutto di una bellezza che mi lascia quasi senza parole, in un incanto che si rinnova ogni giorno di questo breve viaggio.

                                      La chiesa della Trinità di Gergeti (foto di Marina Fichera)


Affresco dell’Ultima cena nella chiesa di Ubisa 
(foto di Marina Fichera)

Ci dirigiamo verso l’area di Svaneti, a nord ovest della Georgia e al confine con la Russia. Questa è la mitica regione attraversata da Giasone con gli Argonauti per raggiungere la Terra del Vello d’oro.

Arrivati a Mestia, a oltre 1.500 metri s.l.m., nel cuore di Svaneti, ammiriamo le montagne del Caucaso Maggiore, con alcune imponenti sommità che superano i 5.000 metri s.l.m.  Per due giorni siamo circondati da una natura grandiosa in un susseguirsi di vette innevate, boschi verdissimi e centinaia di fiumi impetuosi.

 

Le vette del Caucaso Maggiore (foto di Marina Fichera)

Qui la presenza umana è sempre stata limitata a piccoli paesi dalle strane architetture. Le famose torri di Svaneti – Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco dal 1996 – che sorgono accanto a molte delle case locali, nacquero con lo scopo principale di difendersi dalle incursioni degli abitanti dei villaggi vicini. Questa splendida terra infatti è stata attraversata per secoli da faide e lotte fratricide.

Torri a Ushguli (foto di Marina Fichera)

La nostra guida ci racconta che intere famiglie si sono estinte, stritolate in una spirale di omicidi e vendette di cui probabilmente, nel tempo, si era perso il senso. Per me è sconcertante e anche curioso pensare che invece di cercare il dialogo e la pace, queste persone abbiano ideato le torri di difesa, in un atavico meccanismo di occhio per occhio che ha sconvolto per secoli le vite degli svaneti, ma che ora è una delle principali ricchezze della zona.

Mestia con le sue famose torri (foto di Marina Fichera)

Nella regione di Svaneti non si può non dedicare un’intera giornata alla visita di Ushguli, un piccolo villaggio noto per essere l’abitato permanente più alto in Europa, a 2.200 metri s.l.m.. Lo raggiungiamo in jeep dopo un percorso in salita di oltre un’ora e mezza. Fino a qualche anno fa la strada era praticamente inesistente - se volete vedere andare a cercare la seconda puntata della 14ma serie di Overland su Raiplay - ma ora solo gli ultimi dieci chilometri sono abbastanza impegnativi. Siamo davvero fortunati, fino alla settimana precedente il tempo era brutto e faceva ancora freddissimo, noi troviamo una splendida giornata, con un brillante sole, un cielo color lapislazzulo e una temperatura che ci permette di pranzare all’aperto. L’antico villaggio è un piccolo presepe, un gioiellino incastonato tra montagne alte fino a 5.200 metri, che purtroppo si sta lentamente trasformando in un luogo turistico. Ai primi di maggio siamo noi e qualche altra decina di turisti, ma mi raccontano che in estate è ormai preso d’assalto. Il posto è talmente bello che non posso non capire quelli che si avventurano fin quassù come me, ma poi, come sempre, mi sembra di contribuire alla gloria e al tempo stesso alla rovina di questi posti così unici e magici.

Ushguli e il monte Shkhara, 5.200 metri s.l.m. (foto di M. Fichera)

In Georgia vengono prodotti degli ottimi formaggi che sono alla base della saporita e sostanziosa cucina locale, naturalmente da accompagnare con gli ottimi vini della regione di Kakheti. Per questo motivo ci sono mucche ovunque, e sono talmente numerose che pascolano nei luoghi più impensabili, le ho viste persino brucare l’erba nell’aiuola che separa le quattro corsie dell’autostrada tra Kutaisi e Tbilisi!

Ma le mucche più divertenti e intelligenti le abbiamo incontrate a Mestia, all’ora del tramonto di una bella giornata di sole. Le tre bovine scendevano, da sole, dal pascolo verso la via centrale del paese. Arrivate a un bivio una delle tre con un “muuu muuu” ha salutato e preso una direzione diversa, mentre le altre due hanno proseguito fino a quando una si è fermata davanti a un cancello e l’altra è andata oltre. Pochi istanti ed è uscito il padrone che ha aperto per farla entrare e lei si è sistemata accanto alla macchina parcheggiata nel cortile!

La mucca che “torna dal lavoro” da sola, a Mestia 

(foto di Marina Fichera)

Una delle curiosità da visitare in Georgia è il complesso museale - museo, casa natale e carrozza del treno – dedicato a Iosif Stalin, la cui creazione risale al 1957. Dopo un primo momento di titubanza sull’opportunità di visitare o meno il museo, ha prevalso la curiosità, perchè credo che andare a vedere con i propri occhi sia sempre la cosa migliore.

Arriviamo nella città natale di Stalin all’ora di pranzo del primo di maggio e scopro che qui la festa dei lavoratori si festeggia lavorando. Prima di effettuare la visita, pranziamo velocemente in una panetteria proprio accanto all’imponente sito museale. Allegri studenti delle scuole superiori vestiti alla moda addentano profumate focacce ripiene di carne o formaggio e sorseggiano coca cola o birra, mentre la radio trasmette una canzone dance dal ritmo sudamericano. Forse nessuno ci fa caso ma per me è davvero uno strano contrasto. Dai tempi del dittatore comunista la storia è andata avanti e questi studenti hanno una libertà che i loro genitori e nonni hanno sognato per un bel po’ di anni, eppure il museo è ancora lì, e può esser interpretato come una celebrazione del triste passato oppure un monito a non rifare gli stessi errori.

Dopo aver visto l’esterno della minuscola e povera casa natale del dittatore, entriamo nel museo e attraversiamo scaloni ricoperti di tappeti rossi un po’ lisi e ampi saloni in cui sono esposti enormi ritratti, documenti storici e addirittura decine di teche contenenti regali dai paesi di tutto il mondo (sono numerosi i regali al compagno Giuseppe Stalin inviati dall’Italia).  A rimettere le cose un po’ al loro posto, dal 2010 c’è anche una sala dedicata al sanguinoso periodo delle repressioni sovietiche, tema che si può approfondire meglio al Museo Nazionale di Tbilisi.


Interno del museo dedicato a Stalin (foto di Marina Fichera)

I georgiani sono molto gentili e ospitali e amano festeggiare e stare insieme, come a confermare che la millenaria cultura del vino è nata in Georgia, e che vino vuol dire convivialità e allegria. In ogni località abbiamo trovato ristoranti sempre affollati in cui, oltre a mangiare e bere benissimo, si balla e si canta. Ovunque si incontrano grandi tavolate che trascorrono allegramente la serata tra brindisi, cibo e risate. Questi eventi sono gestiti da una figura importante che si chiama tamadà. Il tamadà è una figura sociale ben precisa, è il cerimoniere responsabile di ogni festa, colui che dà il ritmo all’evento – e non importa che sia un matrimonio o una semplice cena tra amici - scandendolo con una lunga serie di brindisi: prima il tamadà proclama pensieri e dediche, che tutti ascoltano in rispettoso silenzio, e poi insieme si manda giù il bicchiere di vino! Gaumargios!

L’ultima sera del viaggio, in un elegante ristorante di Tbilisi affacciato a picco sul fiume Mtkvari, oltre ad ammirare il sole che si spegne sulla città e mangiare ottimi piatti, assistiamo a uno spettacolo di danze tradizionali georgiane. I salti dei giovani e bravi danzatori nei bellissimi costumi regionali mi ricordano di quando, da bambina, avevo ammirato le foto delle popolazioni del Caucaso sull’enciclopedia dei primi anni ‘70 “I popoli della terra” e sognato che, prima o poi, sarei andata a vederli di persona. Forse è anche grazie a quelle letture che sono diventata una viaggiatrice curiosa e aperta all’incontro (almeno spero).

Danze georgiane (foto di Marina Fichera)

Torno a casa felice di aver visitato la splendida Georgia, con gli occhi colmi di bellezza, calore e sorrisi e lo zaino pieno di formaggi e vino, in una grande celebrazione della vita spirituale e profonda ma anche di quella sanguigna e godereccia. A presto, alla salute! Gaumargios!

 

 

“Lingua, patria, fede!”

Ilia Chavchavadze (1837 – 1907), scrittore georgiano.

 

12 commenti:

  1. Ciao Marina grazie della tua condivisione. Il tuo racconto mi ha accompagnato nel mio viaggio in treno rendendolo più’ leggero.

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    1. son contenta, grazie a te! Un saluto Marina

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    2. Grazie mille Marina per aver apprezzato la mia patria e per averci lasciao i ricordi pieni di ammirazione

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    3. La Georgia mi è entrata nel cuore, so che tornerò presto!

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  2. Attendo il prossimo tuo con ansia 😀

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  3. E dove ci porterai prossimamente?

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