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sabato 18 dicembre 2021

Storia di San Pietroburgo, parte quattordici

(di Tatiana Bertolini)

 

I 900 Giorni (Terza Parte)

 

Ascolta patria, parla Leningrado, la città di Lenin…” era l’annuncio iniziale con cui la radio comunicava con gli stessi leningradesi, e il resto del mondo, tedeschi compresi.

Per tutta la durata del blocco la radio, amplificata da altoparlanti per le strade, trametteva canzoni popolari e patriottiche, diffondeva i notiziari, oltre ovviamente gli allarmi aerei. Poi un giorno tacque. I leningradesi protestarono: “potete toglierci il pane ma non la radio. Senza la sua voce non possiamo resistere

Artisti e scrittori leggevano alla radio i loro scritti e cercavano per quanto possibile di rincuorare la gente.

E’ famoso l’appello che Anna Akmatova lesse mentre stava iniziando l’assedio
nell’agosto del 1941 “Tutta la mia vita è legata a Leningrado. A Leningrado sono diventata una poetessa. Leningrado ha dato ali alla mia poesia. E io, al pari di tutti voi in questo momento, vivo nell’incrollabile fede che Leningrado non sarà mai fascista”.

 Ricordiamo due sue poesie: una scritta dopo il primo bombardamento sulla città

 Il primo grosso calibro su Leningrado


E nel variopinto tran tran della folla
tutto mutò di colpo.
Ma non era un suono cittadino,
e nemmeno campagnolo.
E’ vero, era la copia esatta
del boato di un tuono lontano,
ma in un tuono c’è l’umido
d’alti, freschi cirri,
c’è l’annunzio dei lieti temporali
che anelano i prati.
E questo era secco, come l’inferno,
e l’orecchio turbato non voleva credere
a come si ampliasse e crescesse,
a come, indifferente, recasse morte
al mio ragazzo.

 

Un’altra quando a seguito di un altro attacco aereo aveva visto cadere dei bambini

 

Picchia col pugnetto, e aprirò.



Io a te ho aperto sempre.
Ora sono di là d’alti monti,
di deserti, di venti e calure,                                  
ma mai ti tradirò...
Non ho sentito il tuo lamento,
non mi hai chiesto del pane.
Portami un ramo d’acero
o verdi erbette soltanto,
come la primavera scorsa mi portasti.
Portami un sorso della nostra pura,
fredda acqua della Nevà,
e dalla tua testina color d’oro
laverò i segni del sangue.


Sopra i tetti del conservatorio la notte stava un uomo arruolato volontario nei pompieri, non era stato accettato per motivi di salute nell’esercito ma voleva ugualmente dare il suo contributo. Di giorno sedeva al pianoforte e sotto le bombe componeva. Voleva dedicare una sinfonia alla sua città. Quanto il pericolo aumentò anche se lui non voleva, fu evacuato. La partitura, terminata, arrivò su un biplano e il 15/3 del 1942 nella sala del Palazzo delle culture un’orchestra sfinita dalle privazioni ma animata da grande orgoglio, eseguì la sinfonia n7 Leningrado, di Dimitri Shosta­kovič. La sala era gremita, le note risuonarono nella città e nel mondo via radio sulle onde corte. Si narra che per tutta la durata del concerto ai tedeschi fu impedito di cannoneggiare. Ad oggi è uno dei lavori più eseguiti del compositore russo, ed è quasi impossibile ascoltandolo, non pensare alle condizioni in cui fu scritto (agosto-27 dicembre 1941). Come ha detto la critica questa sinfonia è un canto funebre in cui esplodono rabbia e spirito di rivlota contro l’aggressore.

 

Di seguito in link nell’interpretazione del maestro Valery Gherghev

https://youtu.be/AxRIBVh4e7I

 

Il Dopoguerra (le immagini di questa puntata sono in gran parte dedicate al monumento dei 900 giorni che si trova nella zona di Pulkovo).

 

Un anno


Quando nel gennaio del 1944 la città ruppe l’assedio la guerra era ancora in pieno svolgimento e i russi avrebbero dovuto attendere ancora 17 mesi prima di vedere la fine del conflitto, che è stato chiamato dai russi Grande Guerra Patriottica. Per tutto questo periodo Leningrado continuò nello sforzo della produzione industriale. All’epoca dell’assedio in città vi erano 520 stabi­limenti che occupavano complessivamente 780.000 operai. Vi si produceva il 91% delle idro turbine del paese, l’82% dei generatori di turbine, il 100% delle caldaie a corrente diretta.  Come abbiamo visto esse continuarono a lavorare durante i 900 giorni fornendo soprattutto munizioni, bombe e materiale bellico. Le distillerie produssero oltre un milione di bombe Molotov *

 

Il dopoguerra


Il prezzo pagato dalla Russia alla fine della guerra fu enormemente tragico: oltre 20 milioni di morti, e un paese largamente distrutto.

Vi fu quindi l’immane lavoro della ricostruzione: dapprima si privilegiò il ripristino dell’attività agricola, l’Ucraina – il granaio d’Europa - era stata ampiamente devastata dall’invasione tedesca, e la riconversione in civile dell’attività industriale. Oltre al recupero e alla ripartenza dell’attività didattica.   


Questo fu un impegno quasi ventennale, solo all’inizio degli anni ‘70 si iniziò a risolvere il problema delle coabitazioni con la costruzione dei nuovi quartieri nelle periferie delle città. Il primo decennio post bellico poi fu oltremodo difficile per il ritorno della politica staliniana delle purghe, Stalin di concerto con Berja, aveva ripreso le deportazioni e i processi politici. Persino i soldato sovietici che, fatti prigionieri dei tedeschi, erano sopra­vvissuti all’orrore dei lager nazisti furono processati e spediti in Siberia, tra essi anche lo stesso figlio di Stalin.

 

Il disgelo

Con questo termine si intende il periodo successivo alla morte di Stalin, che vedrà un miglioramento della situazione interna e un riavvicinamento dell’URSS agli USA, anche se la condizione politica fra le due sfere di influenza stabilite ad Yalta, denominato Guerra Fredda era bel lungi dall’essere superato. 

A S. Pietroburgo poi la ricostruzione interessava anche il ripristino dei monumenti della città, che, visto come sono legati i russi alla loro storia, dove­vano tornare come prima.

Un esempio sono le residenze estive degli zar, che si trovavano nei sobborghi della città ed erano state pesantemente danneggiate dai tedeschi.

  


                                   

                                                                            Pulkovo 4 maggio 1988

 

A Tsarskoe Selò essi avevano asportato i pannelli della camera d’ambra, e in genere le statue e parte degli edifici erano stati distrutti. I leningradesi si recarono nelle fabbriche originali, ancora esistenti a Mosca, e con i brandelli rimasti delle tappezzerie ricostruirono e restaurarono gli ambien­ti. Ancora oggi nelle sale sono esposte le foto di come erano state ridotte.

 


Non potevano però dimenticare l’assedio: ai piedi delle colline Pulkovo dove sorge ora l’aeroporto, costruirono un grande memoriale, che all’interno è un grande museo dove sono esposti reperti e testimonianze di quei terribili giorni (foto, diari, oggetti di uso quotidiano)


 

Coloro cui si riuscì a dare sepoltura, riposano al cimitero Piskarëvskoe; ancora all’inizio del XXI secolo gli abitanti di Pietroburgo portavano sulle tombe un pezzo di pane, perché “se allora lo avessero avuto non sarebbero morti”.

 


 

* I dati sono stati raccolti dal libro I 900 giorni. L’epopea dell’assedio a Leningrado, di Harrison E. Salisbury, ed. Il Saggiatore, Milano

 

La Metropolitana

 


All’inizio del XX Secolo due grandi capitali europee Londra e Parigi avevano la Metropolitana; Londra già dal 1863, Parigi invece l’aveva inau­gurata nel 1900 in occasione dell’esposizione universale.

Anche lo zar Nicola II aveva pensato ad un progetto analogo ma si era dovuto scontrare con l’opposizione del clero che non concepiva si potesse scavare nelle viscere della terra, negli inferi. Dopo la rivoluzione la capitale fu trasferita a Mosca e così la prima metropolitana russa fu     La mappa con le attuali 5 linee

Ivi inaugurata nel 1936.

Leningrado dovette aspettare la fine della guerra anche perché, essendo nella maggior parte della sua estensione sul delta di un fiume bisognava rivolvere problemi di carattere ingegneristico. La prima linea fu inaugurata nel 1955. Sei anni dopo la seconda (1961), nel 1967 la terza, nel 1985 la quarta e nel 2008 la quinta.

Le sue fermate, pur essendo più moderne rispetto a quelle di Mosca sono ugualmente dei capolavori artistici. Ne vediamo di seguito alcune, prima però prendiamo una delle lunghissime e velocissime scale mobili

 



La Narvatskaja


 

 

 

 

 

 

 


La Puškinskaja


 

 

 

 

 

 

 


 


 

 

 

 

 

  

 La Baltiskaja

 

  Di recente le autorità cittadine hanno dato vita ad un esperimento: il metrò letterario.

All’interno delle vetture sono stati installati pannelli che riportano brani da romanzi russi

 


 

 


10 stazioni, denominate ascensori orizzontali, sono state costruite con le banchine chiuse dalla parte dei treni con serramenti scorrevoli in ferro

 

La fermata Park Pobedy dopo

questa modernizzazione


Ritorna S. Pietroburgo

 


La conquista dello spazio

 

Il decennio compreso tra il 1958 e il 1970 è stato segnato dalla conquista dello spazio. Nel 1957 i sovietici mandano in orbita il primo satellite artificiale: lo Sputnik (in russo compagno o Sputnik di viaggio), seguito il 12 aprile del 1961 dal lancio della Vostok (Oriente) 1 con a bordo il primo astronauta Jurij Gagarin che compì un intera orbita attorno al nostro pianeta prima di rientrare sulla terra.

 


Gli anni ‘ 80

 


Gli anni ’80, aperti dalla celebrazione dei giochi olimpici a Mosca, sono stati segnati da tre avvenimenti: la tragedia di Chernobyl, la Perestrojka di Gorbačëv e il crollo del muro.

Il tentativo di colpo di stato nel 1991, un episodio mai chiarito del tutto, da cui trasse vantaggio Boris Eltsin, portò in breve tempo alla fine dell’Unione delle repubbliche socialiste e alla nascita della CSI: confederazione degli stati indipendenti. Si passò quindi da uno stato federale ad una confederazione che però non comprendeva tutte le precedenti repubbliche. Le prime a staccarsi furono le repubbliche Baltiche (Lettonia, Lituania ed Estoni), poi fu la volta dell’Ucraina, seguita quindi dalle repubbliche meridionali quali l’Armenia, la Georgia e l’Uzbekistan.

Del difficile raporto tra Ucraina e Russia ne abbiamo accennato, così come la situazione delle repubbliche baltiche o di quelle meridionali con­qui­state militarmente e, durante l’impero zarista, sottoposte a russifica­zione.

A Leningrado il 6 settembre del 1991 si tenne un referendum per decidere se cambiare nome alla città. Il 54% votò per tornare al nome originario quindi ora essa si chiama nuovamente S. Pietroburgo, ma per quanto riguardò l’Oblast (suddivisione territoriale corrispondente alla regione) decisero di tenere Leningrado.

Dagli anni ’80 l’attuale S. Pietroburgo aveva iniziato a potenziare il turismo con la costruzione di grandi alberghi quali il Pulkovskaja

  


E il gigantesco Pribaltiskaja affacciato sul Baltico.


 

Oggi il traffico molto più caotico e la frenesia che contraddistingue le attuali metropoli non tolgono a questa meravigliosa e unica città il suo fascino, ed essa continua ancora a sorprenderci.




 

 

 

Una scultura raffigurante un naso è stata posta sulla facciata della casa dove Gogol ha ambientato l’omonimo racconto

 





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