Tra le due guerre.
Pur non essendo più la capitale, Leningrado mantenne un ruolo di peso all’interno del paese. Dopo l’economia di guerra già con la NEP (nuova politica economica) si era vista una ripresa. Nel 1922 vi era stato un raccolto abbondante e questo aveva portato dei guadagni ai contadini che ora lavoravano la loro terra (non era ancora avvenuta la collettivizzazione), parimenti stava procedendo anche lo sviluppo nella produzione industriale cosa che aveva comportato un aumento delle retribuzioni.
Leningrado si andava sempre più caratterizzando come città industriale e di commercio grazie al porto sul Baltico e alle ferrovie. L’attività industriale fu incrementata, le officine e le fabbriche presenti già prima della rivoluzione furono ampliate e venne diversificata la loro produzione.
Nello stesso tempo iniziò quell’attività di cura, manutenzione e restauro dei palazzi e delle opere d’arte che perdura ancora oggi. Un tratto caratteristico di questa città è dato dalla sua collocazione nordica e marittima: il clima umido e salmastro, meteorologicamente molto variabile anche se non eccessivamente freddo (-9°), arreca danni ai palazzi storici e alle chiese. Rifacimenti e restauri di facciate corrose dalla salsedine, sono ancora oggi tra le sue attività principali.
La nobiltà quando era fuggita all’estero, aveva lasciato nei suoi palazzi diverse opere d’arte. Esse, come ad esempio i dipinti trovati a palazzo Stroganov, furono catalogati ed esposti all’Hermitage.
Numerosi musei si vennero istituendo, alcuni legati alla sua storia, come il Museo della rivoluzione d’Ottobre e quello della Storia della città, oppure dedicati ad argomenti più generali quali i musei del Teatro e della Letteratura. In musei furono trasformate anche alcune chiese, gli edifici religiosi anche se sconsacrati, vennero comunque anch’essi sottoposti a restauro
Il museo d’arte Russa, fondato da Nicola II nel Palazzo Michailovskij fu riorganizzato ed implementato con opere di autori russi che si trovavano all’Hermitage o in altri edifici;
esso consta di due sezioni: una molto vasta dedicata alle icone, e un’altra dedicata all’arte russa e comprende dipinti, sculture e opere di grafica che vanno dal 1800 fino all’arte sovietica degli anni ’30. Di essi ricordiamo celebri dipinti di Repin e Malevič
Repin I battellieri del Volga
Malevič Il quadrato nero
Si realizzarono ugualmente anche nuove costruzioni, nel 1936 fu iniziata l’edificazione del nuovo palazzo del Soviet di Leningrado, in stile chiamato Classicismo socialista
Nel 1934 Leningrado si trovò al cento di un fatto di cronaca politica che ancora una volta segnerà la storia del paese.
Di questo fatto, su cui non si fece piena luce e che diede adito a diverse interpretazioni, se ne servì Stalin per scatenare una grande purga* all’interno del partito e sbarazzarsi così degli oppositori interni.
Il teatro Marinskij, il ponte della Trinità sulla Neva e le storiche officine Putilov furono ribattezzati Kirov, mentre in tutto il paese numerosi dirigenti politici furono eliminati e sostituiti con figure di fiducia di Stalin.
Il Ponte Kirov
* in russo la parola purga (пурга) significa tormenta
I 900 Giorni (Prima parte)
L’Unione
Sovietica del 1939 era molto cambiata rispetto a quella i vent’anni prima. Dopo
un enorme sforzo compiuto dai suoi cittadini, era quasi riuscita a colmare la
differenza che ancora la separava dal resto dell’Europa in termini di sviluppo
industriale ed economico. Certo questo era costato grandi sacrifici e anche
aspre lotte di carattere politico. Un grosso problema era stato ad esempio la
meccanizzazione dell’agricoltura, l’opposizione dei Kulaki alla
collettivizzazione delle terre (opposizione duramente combattuta), lo sviluppo
a tappe forzate di un’industria che ancora ad inizio secolo era ultima in
Europa dietro ad altri paesi quali la Gran Bretagna, la Germania, la Francia e
l’Italia.
Non
ultimo fu il grande sforzo di alfabetizzazione compiuto in quegli anni. Dei
ragazzi come degli adulti. La scuola rimase, anche dopo il secondo conflitto
mondiale, gratuita per ogni ordine e grado, anche all’Università.
Tutto questo aveva comportato una rapida urbanizzazione cui non aveva corri
Operazione Barbarossa
Questo il nome in codice dato da Hitler all’invasione dell’Unione Sovietica, iniziata il 22 giugno del 1941 con il più grande impiego di uomini e mezzi della storia militare. Oltrepassato il confine, l’esercito tedesco si divise lungo tre direttrici: una orientata verso Mosca, una verso Kiev (e da lì si sarebbe diretta sul Volga per essere fermata e sconfitta a Stalingrado, la battaglia che cambiò le sorti della guerra), la terza su Leningrado.
Hitler aveva dato ordine di cancellare questa città, anche se per il capodanno seguente aveva preparato i biglietti di invito per festeggiare la venuta del nuovo anno all’hotel Astoria. Ma - come avverrà poi con Napoli, che lo stesso Fürher aveva ordinato di ridurre a cenere e fango e da cui i suoi soldati erano stati fatti fuggire dagli stessi napoletani - anche a Leningrado non riuscì ad attuare i suoi propositi e dopo 900 giorni di assedio la città ruppe il blocco. Questo assedio è rimasto uno dei più lunghi della storia, superato solo, alla fine del XX secolo da quello di Sarajevo, ma ben più drammatico. Lo storico Harrison Salisbury scrisse che “tra tutte le tragedie della seconda guerra mondiale, Hiroshima compresa, quella di Leningrado rimane senza uguali nella storia delle grandi città del mondo”
08/09/1941 – 18/01/1944
l' inizio della guerra era stato per l’Unione Sovietica terribile, l’esercito non era pronto ed anzi, gli aerei erano stati per la maggior parte distrutti già a terra dall’aviazione tedesca.
La Wermacht avanzava rapidamente: in agosto era a 50 km da Leningrado e aveva occupato Gatcina. Gli abitanti della città avevano iniziato subito, all’indomani dell’invasione, lavorando 12 ore al giorno, a scavare trincee e a predisporre le prime difese. Nonostante questo l’8 settembre i tedeschi erano a 10 KM dal centro città ed essa era isolata.
Lo sbocco sul mare era impedito dalle motovedette tedesche, a nord premevano i finlandesi, la ferrovia di collegamento con Mosca era stata interrotta.
Sembrava quasi impossibile una resistenza ma in questo momento così difficile ebbe la meglio, oltre al fatto di non voler cadere in mano dei nazisti, l’amore che essi avevano per la loro città, Piter come la chiamavano affettuosamente, una città sorta dal nulla, costata sacrifici, ma che alla fine aveva saputo creare un forte legame identitario con i suoi cittadini. All’epoca erano 3 milioni di abitanti, solo 1 milione scelse di evacuare: coloro che erano stremati dalla fame, i malati, i bambini. Per tutti gli altri lasciare la città sarebbe parso un tradimento. A fine assedio si conterà oltre 1 milione di morti.
I 900 Giorni (Seconda parte)
La
Lutwaffe colpì tra l’altro la centrale elettrica. Per quasi tutta la durata
dell’assedio la luce era disponibile solo 3 ore al giorno ed era riservata agli
ospedali e alle fabbriche dove si lavorava 24 ore al giorno per produrre
munizioni, bombe ed armamenti. Ma in novembre colpì ed incendiò il magazzino Badajev dove erano conservate
tonnellate di alimenti. Per la città era la fine. Pensando che oramai fosse una questione di giorni Hitler
spostò parte delle truppe su Mosca. Nel mentre si era iniziato a rifornire la
città per via aerea, ma l’esercito era rimasto con pochi velivoli e non
potevano essere impegnati tutti per Leningrado. Si riuscì a consegnare diverse
tonnellate di viveri al giorno ma questo era assolutamente insufficiente oltre
che pericoloso. Iniziarono così a mangiare i cani e i gatti. Inoltre quello del
1941-42 fu uno degli inverni più freddi degli ultimi 100 anni, aveva iniziato a
nevicare da fine ottobre e la temperatura scese fino a -30°. Il freddo aveva
fatto saltare le tubature del riscaldamento in molte case. Nelle fabbriche si
lavorava con il cappotto a -8°, negli uffici a -14°. Le razioni dei viveri
erano continuamene ridotte. Ma questo freddo intenso fornì paradossalmente al
generale Zùkov la soluzione per gli approvvigionamenti.
L’arrivo
della bella stagione comunque fu salutato positivamente, ci si lasciava alle spalle
un inverno terribile, il peggiore di tutto l’assedio. Nelle piazze e ovunque
fosse possibile si coltivò la verdura la cui mancanza aveva causato la
diffusione della pellagra, che si cercava di combattere con infusioni di aghi
di pino, al momento del raccolto bisognava però prestare molta attenzione:
spesso nei cavoli erano conficcate schegge di granata. Il latte era ricavato dalla soia. Le donne
uscivano dalla città per recarsi nei boschi a recuperare il carbone dei vecchi
giacimenti abbandonati poiché la sua estrazione non era più redditizia. Il cibo
arrivava sempre dal lago questa volta sulle chiatte.
Ma
giunse un altro inverno. I tedeschi si erano attestati sulle colline Pulkovo da
dove continuavano a bombardare la città mentre tornava lo spettro della fame.
Si faceva bollire il cuoio delle cinture e si registrarono purtroppo casi di
cannibalismo.
Come in tutte le città nordiche anche a Leningrado le finestre sono senza imposte per cercare di catturare il più possibile la luce solare. I leningradesi alla sera coprivano le finestre con le coperte, ma alla fine erano così deboli che anche questo lavoro era faticoso. Così tennero sempre schermati i vetri e si adattarono a vivere al buio. E se d’estate ci sono le notti bianche, in inverno a gennaio, la luce del sole dura solo dalla tarda mattinata al primo pomeriggio.
Il
27 gennaio uno spettacolo pirotecnico annunciava la fine dell’assedio:
Leningrado aveva resistito e non era caduta.
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