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venerdì 10 dicembre 2021

Storia di San Pietroburgo - parte tredici

 (di Tatiana Bertolini)


Tra le due guerre.

 

Pur non essendo più la capitale, Leningrado mantenne un ruolo di peso all’interno del paese. Dopo l’economia di guerra già con la NEP (nuova politica economica) si era vista una ripresa. Nel 1922 vi era stato un raccolto abbondante e questo aveva portato dei guadagni ai contadini che ora lavoravano la loro terra (non era ancora avvenuta la collettivizzazione), parimenti stava procedendo anche lo sviluppo nella produzione industriale cosa che aveva comportato un aumento delle retribuzioni. 


Leningrado si andava sempre più caratterizzando come città industriale e di commercio grazie al porto sul Baltico e alle ferrovie. L’attività industriale fu incrementata, le officine e le fabbriche presenti già prima della rivoluzione furono ampliate e venne diversificata la loro produzione.

Nello stesso tempo iniziò quell’attività di cura, manutenzione e restauro dei palazzi e delle opere d’arte che perdura ancora oggi. Un tratto caratteristico di questa città è dato dalla sua collocazione nordica e marittima: il clima umido e salmastro, meteorologicamente molto variabile anche se non eccessivamente freddo (-9°), arreca danni ai palazzi storici e alle chiese. Rifacimenti e restauri di facciate corrose dalla salsedine, sono ancora oggi tra le sue attività principali.

La nobiltà quando era fuggita all’estero, aveva lasciato nei suoi palazzi diverse opere d’arte. Esse, come ad esempio i dipinti trovati a palazzo Stroganov, furono catalogati ed esposti all’Hermitage.  

Numerosi musei si vennero istituendo, alcuni legati alla sua storia, come il Museo della rivoluzione d’Ottobre e quello della Storia della città, oppure dedicati ad argomenti più generali quali i musei del Teatro e della Letteratura. In musei furono trasformate anche alcune chiese, gli edifici religiosi anche se sconsacrati, vennero comunque anch’essi sottoposti a restauro

 

 Il museo d’arte Russa, fondato da Nicola II nel Palazzo Michailovskij fu riorganizzato ed imple­men­tato con opere di autori russi che si trovavano all’Hermitage o in altri edifici;

esso consta di due sezioni: una molto vasta dedicata alle icone, e un’altra dedicata all’arte russa e comprende dipinti, sculture e opere di grafica che vanno dal 1800 fino all’arte sovietica degli anni ’30. Di essi ricordiamo celebri dipinti di Repin e Malevič

 


 

Repin I battellieri del Volga

 


Malevič Il quadrato nero




 

 








Si realizzarono ugualmente anche nuove costruzioni, nel 1936 fu iniziata l’edificazione del nuovo palazzo del Soviet di Leningrado, in stile chiamato Classicismo socialista

 

 

 

 

 

 

Nel 1934 Leningrado si trovò al cento di un fatto di cronaca politica che ancora una volta segnerà la storia del paese.

Il1° dicembre del 1934 fu assassinato il segretario del partito Comunista russo Sergej Mironovic Kirov. Ad ucciderlo è un giovane studente esponente di una corrente di minoranza contraria alla politica dell’allora leader del partito e segretario del Soviet Josef Stalin.

Di questo fatto, su cui non si fece piena luce e che diede adito a diverse interpretazioni, se ne servì Stalin per scatenare una grande purga* all’interno del partito e sbarazzarsi così degli oppositori interni.

Il teatro Marinskij, il ponte della Trinità sulla Neva e le storiche officine Putilov furono ribattezzati Kirov, mentre in tutto il paese numerosi dirigenti politici furono eliminati e sostituiti con figure di fiducia di Stalin.


 


 

 

 

    Il Ponte Kirov

 

 

 

 

* in russo la parola purga (пурга) significa tormenta


I 900 Giorni (Prima parte)

 

L’Unione Sovietica del 1939 era molto cambiata rispetto a quella i vent’anni prima. Dopo un enorme sforzo compiuto dai suoi cittadini, era quasi riuscita a colmare la differenza che ancora la separava dal resto dell’Europa in termini di sviluppo industriale ed economico. Certo questo era costato grandi sacrifici e anche aspre lotte di carattere politico. Un grosso problema era stato ad esempio la meccanizzazione dell’agricoltura, l’opposizione dei Kulaki alla collettivizzazione delle terre (opposizione duramente combattuta), lo sviluppo a tappe forzate di un’industria che ancora ad inizio secolo era ultima in Europa dietro ad altri paesi quali la Gran Bretagna, la Germania, la Francia e l’Italia.

Non ultimo fu il grande sforzo di alfabetizzazione compiuto in quegli anni. Dei ragazzi come degli adulti. La scuola rimase, anche dopo il secondo conflitto mondiale, gratuita per ogni ordine e grado, anche all’Università.

Tutto questo aveva comportato una rapida urbanizzazione cui non aveva corri

 sposto un’attività edilizia sufficiente, poiché gli sforzi erano concentrati sulla produzione. Si verificò quindi il fenomeno della coabitazione, le cosid­dette­ komunalka ovvero appartamenti divisi fra più famiglie. Questo fenomeno si accentuò soprattutto dopo la II Guerra mondiale alla luce delle immani distruzioni che quel conflitto aveva causato in tutto il paese.





Operazione Barbarossa



Questo il nome in codice dato da Hitler all’invasione dell’Unione Sovietica, iniziata il 22 giugno del 1941 con il più grande impiego di uomini e mezzi della storia militare. Oltrepassato il confine, l’esercito tedesco si divise lungo tre direttrici: una orientata verso Mosca, una verso Kiev (e da lì si sarebbe diretta sul Volga per essere fermata e sconfitta a Stalingrado, la battaglia che cambiò le sorti della guerra), la terza su Leningrado.

Hitler aveva dato ordine di cancellare questa città, anche se per il capodanno seguente aveva preparato i biglietti di invito per festeggiare la venuta del nuovo anno all’hotel Astoria. Ma - come avverrà poi con Napoli, che lo stesso Fürher aveva ordinato di ridurre a cenere e fango e da cui i suoi soldati erano stati fatti fuggire dagli stessi napoletani - anche a Leningrado non riuscì ad attuare i suoi propositi e dopo 900 giorni di assedio la città ruppe il blocco. Questo assedio è rimasto uno dei più lunghi della storia, superato solo, alla fine del XX secolo da quello di Sarajevo, ma ben più drammatico. Lo storico Harrison Salisbury scrisse che “tra tutte le tragedie della seconda guerra mondiale, Hiroshima compresa, quella di Leningrado rimane senza uguali nella storia delle grandi città del mondo”

 

08/09/1941 – 18/01/1944  

l' inizio della guerra era stato per l’Unione Sovietica terribile, l’esercito non era pronto ed anzi, gli aerei erano stati per la maggior parte distrutti già a terra dall’aviazione tedesca.

La Wermacht avanzava rapidamente: in agosto era a 50 km da Leningrado e aveva occupato Gatcina. Gli abitanti della città avevano iniziato subito, all’indomani dell’invasione, lavorando 12 ore al giorno, a scavare trincee e a predisporre le prime difese. Nonostante questo l’8 settembre i tedeschi erano a 10 KM dal centro città ed essa era isolata.

Lo sbocco sul mare era impedito dalle motovedette tedesche, a nord premevano i finlandesi, la ferrovia di collegamento con Mosca era stata interrotta.

L’esercito nemico aveva raggiunto la punta meridionale del lago Ladoga. Per Hitler era una que­stione di giorni: i leningradesi non avevano scampo.

Sembrava quasi impossibile una resistenza ma in questo momento così difficile ebbe la meglio, oltre al fatto di non voler cadere in mano dei nazisti, l’amore che essi avevano per la loro città, Piter come la chiamavano affettuosamente, una città sorta dal nulla, costata sacrifici, ma che alla fine aveva saputo creare un forte legame identitario con i suoi cittadini. All’epoca erano 3 milioni di abitanti, solo 1 milione scelse di evacuare: coloro che erano stremati dalla fame, i malati, i bambini. Per tutti gli altri lasciare la città sarebbe parso un tradimento. A fine assedio si conterà oltre 1 milione di morti. 

 






I 900 Giorni (Seconda parte)

 




Oltre alla costruzione di trincee e al posizionamento di cavalli di frisia e batterie antiaeree in città, gli abitanti si preoccuparono di mettere in salvo i loro monumenti: protessero le statue con la sabbia e dipinsero con la vernice nera le cupole dorate delle loro chiese (S. Isacco, Nostra signora di Kazan ecc.) affinché non luccicassero e non potessero quindi fornire informazioni logistiche oltre che ad essere un bersaglio. Per proteggere le opere dell’Hermi­tage, riempirono tre convogli ferroviari, due riuscirono a partire, un terzo dovette tornare. I quadri furono portati negli scantinati del museo e le casse riutilizzate come bare. La colla per l’imballo, poiché era a base animale, sarà usata come gelatina per il brodo nel momento più difficile dell’as­sedio.


Da subito però i tedeschi trovarono delle difficoltà: non riuscirono ad occupare il sobborgo di Ligovo, né ad attraversare la Neva e ricongiungersi con i finlandesi alle spalle della città. Dalla base di Kronstadt gli incrociatori sovietici tenevano sotto il fuoco il nemico, cosicché, pur avendo occupato Peterhof, da lì non riuscìrono a raggiungere la città. 


Provarono allora dal cielo: la città fu bombardata quotidianamente specie nelle ore di punta al mattino e alla sera. Coloro che uscivano dai rifugi aiutavano poi le squadre di soccorso; sui muri delle città apparvero scritte che indicavano dove era pericoloso sostare in caso di bombardamento.

La Lutwaffe colpì tra l’altro la centrale elettrica. Per quasi tutta la durata dell’assedio la luce era disponibile solo 3 ore al giorno ed era riservata agli ospedali e alle fabbriche dove si lavorava 24 ore al giorno per produrre munizioni, bombe ed armamenti. Ma in novembre colpì ed incendiò il magazzino Badajev dove erano conservate tonnellate di alimenti. Per la città era la fine. Pensando che oramai fosse una questione di giorni Hitler spostò parte delle truppe su Mosca. Nel mentre si era iniziato a rifornire la città per via aerea, ma l’esercito era rimasto con pochi velivoli e non potevano essere impegnati tutti per Leningrado. Si riuscì a consegnare diverse tonnellate di viveri al giorno ma questo era assolutamente insufficiente oltre che pericoloso. Iniziarono così a mangiare i cani e i gatti. Inoltre quello del 1941-42 fu uno degli inverni più freddi degli ultimi 100 anni, aveva iniziato a nevicare da fine ottobre e la temperatura scese fino a -30°. Il freddo aveva fatto saltare le tubature del riscaldamento in molte case. Nelle fabbriche si lavorava con il cappotto a -8°, negli uffici a -14°. Le razioni dei viveri erano continuamene ridotte. Ma questo freddo intenso fornì paradossalmente al generale Zùkov la soluzione per gli approvvigionamenti.



Il Lago Ladoga, che dista dalla città 122 km, era circondato a nord da boschi e paludi, difficilmente raggiungibili dalla Wermacht ed era ormai coperto da una spessa coltre di ghiaccio. In 15 giorni si costruì una strada di oltre 200 km che congiungeva Leningrado e la sponda settentrionale del lago Ladoga.


Di notte con i fari schermati i camion attraversavano la superficie del lago e arrivavano, attraverso la nuova strada in città. La superfice del lago non era piana, il vento in alcuni punti aveva increspato il ghiaccio, che in altri era sottile “pareva di camminare sull’acqua” disse uno dei camionisti, eppure riuscirono a far arrivare in città 33 tonnellate di cibo a notte, insufficienti certo ma indispensabili. Giunsero a fare fino a quattro viaggi ogni notte. I leningradesi la chiamarono “La via della vita”. Ad un certo punto al ritorno portavano in salvo i cittadini deboli e malati, anche se molti morirono durante il tragitto. Intanto in città si continuava a morire, di freddo, fame e inedia, I morti erano tenuti in casa, congelati e non era denunciata la loro scomparsa per poter usufruire anche della loro razione di cibo. Perdere la tessera annonaria era morte certa.

Per scaldarsi si bruciarono i mobili. Un altro problema che attanagliò Leningrado durante i tre rigidi inverni fu la carenza di acqua. Si scavava quindi sotto al ghiaccio per cercare di recuperarla dai canali oppure si scendeva nelle cantine a prelevarla dalle tubatura guaste.


Con il disgelo arrivarono altri problemi. I morti abbandonati per via o tenuti nelle case, si andavano scongelando. Il comune ordinò le “pulizie di primavera”. Quando furono esaurite le bare furono portati nei sobborghi a nord, cosparsi di trementina e fatti saltare con la dinamite. In quell’inverno si calcola che morirono 11.000 persone.

L’arrivo della bella stagione comunque fu salutato positivamente, ci si lasciava alle spalle un inverno terribile, il peggiore di tutto l’assedio. Nelle piazze e ovunque fosse possibile si coltivò la verdura la cui mancanza aveva causato la diffusione della pellagra, che si cercava di combattere con infusioni di aghi di pino, al momento del raccolto bisognava però prestare molta attenzione: spesso nei cavoli erano conficcate schegge di granata.  Il latte era ricavato dalla soia. Le donne uscivano dalla città per recarsi nei boschi a recuperare il carbone dei vecchi giacimenti abbandonati poiché la sua estrazione non era più redditizia. Il cibo arrivava sempre dal lago questa volta sulle chiatte.

Ma giunse un altro inverno. I tedeschi si erano attestati sulle colline Pulkovo da dove continuavano a bombardare la città mentre tornava lo spettro della fame. Si faceva bollire il cuoio delle cinture e si registrarono purtroppo casi di cannibalismo.

Come in tutte le città nordiche anche a Leningrado le finestre sono senza imposte per cercare di catturare il più possibile la luce solare. I leningradesi alla sera coprivano le finestre con le coperte, ma alla fine erano così deboli che anche questo lavoro era faticoso. Così tennero sempre schermati i vetri e si adattarono a vivere al buio. E se d’estate ci sono le notti bianche, in inverno a gennaio, la luce del sole dura solo dalla tarda mattinata al primo pomeriggio.


Chi poteva usava lumi a petrolio. Il legname lo si recuperò distruggendo le dacie che erano in periferia, “ma, affermano i testimoni del tempo, nessun albero della città fu tagliato, sarebbe parso un delitto”.  Nei rifugi si mandavano solo i bambini rimasti in città e i ragazzini, e si incominciò ad utilizzare le slitte per trasportare non solo le masserizie ma soprattutto coloro che erano deceduti. Nel dicembre del 1943 si calcolarono 16.000 morti e 33.000 feriti. Gli operai dormivano negli stabilimenti, in modo che se qualcuno fosse stato male poteva essere ricoverato nell’infermeria della fabbrica. Nel gennaio del 1943 la radio diffuse una notizia sensazionale: Stalingrado aveva rotto l’accerchiamento e ora la Wermacht era in ritirata. Anche per Leningrado dunque c’era una speranza. Il 18 gennaio l’esercito sovietico era riuscito a interrompere l’accerchiamento a sud del lago Ladoga, l’armata rossa che era all’esterno si era incontrata con quella di stanza in città, e subito avevano costruito un troncone ferroviario che si congiungeva con la linea diretta a Mosca, la città era meno isolata. 

Dovrà passare ancora un lungo, tragico anno prima della resa tedesca, che avverrà il 18 gennaio del 1944. I russi potranno così vedere da vicino i loro nemici mentre attraversavano, incolonnati, le vie della città.

Il 27 gennaio uno spettacolo pirotecnico annunciava la fine dell’assedio: Leningrado aveva resistito e non era caduta.

 



 

 

 

 

 


 

 

 


 

 

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