(a cura di Mimma Zuffi)
Zolfo editore - pagg. 216 - € 16,00Quand’era bambina Ines si allontanava spesso da casa per
giocare.
Sua madre, però, non se ne preoccupava:
“Tanto tu torni sempre...”, le disse una volta.
Per non deludere quella fiducia, Ines è tornata anche
dall’inferno
Dal 21 gennaio è disponibile in libreria il volume “Tanto tu torni sempre. Ines Figini, la vita oltre il lager” – Zolfo Editore, collana Le storie – scritto a quattro mani dai giornalisti Giovanna Caldara e Mauro Colombo e dedicato alla vita di Ines Figini (1922-2020), comasca, deportata nel marzo 1944, quando aveva meno di 22 anni, nei lager di Mauthausen, Auschwitz-Birkenau e Ravensbrück.
Ines non era ebrea, partigiana o
antifascista, ma si era schierata a favore di alcuni compagni di lavoro durante
uno sciopero nello stabilimento in cui lavorava come operaia, l’allora Tintoria
Comense di Como. Una testimonianza fondamentale di un periodo tragico della
storia dell’umanità, resa pubblica dopo più di cinquant’anni e raccontata in
prima persona in questo libro.
Da quel momento inizia per lei l’incubo: prima la sosta di cinque giorni nel lager di Mauthausen e poi la reclusione per otto mesi nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau dove Ines, costretta ai lavori forzati, vive i suoi giorni più difficili fino al trasferimento a Ravensbrück nel novembre del ‘44: «Potrei scrivere un libro sugli orrori che vedo, ma non penso a tenere un diario. Del resto non abbiamo fazzoletti, fogli di carta, niente di niente... (…) Ogni tanto mi chiedo: “Ma nessuno sa che siamo qui? Nessuno si interessa di noi?"» (dai giorni ad Auschwitz-Birkenau).
Con l’avanzata delle truppe sovietiche, nella primavera del 1945 finalmente anche Ines viene liberata, ma subito dopo purtroppo contrae il tifo: ricoverata all’ospedale militare di Prenzlau, trascorre alcuni mesi allettata a causa della febbre e delle gravi infezioni che la colpiscono, ma che riesce a superare con forza e determinazione, anche aggrappandosi alla scrittura, ai suoi ricordi più cari, all’amata madre: «Mamma, sulla mia strada che ho percorso in questi ultimi tempi, ho trovato tanta cattiveria, tanto egoismo, tanta indifferenza, da lasciarmi meravigliata e disgustata nel medesimo tempo. Eppure non ho perso ancora la poesia! Anche oggi sono stata un poco con te. Sei contenta? E allora vieni qui e lascia che ti abbracci» (Prenzlau, 19 settembre 1945).
Guarita dalla malattia, nell’ottobre del 1945 Ines riesce finalmente a tornare a Como. Riprende a lavorare, a viaggiare, a divertirsi. Dal 1968 in avanti, per molti anni, torna ad Auschwitz, dove era stata reclusa. E proprio lì, dopo un lungo processo di rielaborazione interiore, comprende che per continuare a vivere pienamente non può rimanere attaccata all’odio e alla rabbia, e per ritrovare la gioia nel quotidiano decide di perdonare chi le ha fatto del male. È un atto di coraggio, di forza per nulla semplice, che le ridà speranza e fiducia nella vita. Quando inizierà a raccontare la sua storia in pubblico, soprattutto nelle scuole, dimostrerà ai giovani che non si deve dimenticare, né tanto meno negare o giustificare le atrocità vissute e viste, ma si può ricordare senza provare odio, rancore o rivalsa. Per questo la sua testimonianza è anche un simbolo di forza, speranza e fede.
Giovanna Caldara è nata a Erba (Como). Giornalista,
collabora con diverse testate. Ha fornito consulenze letterarie per testi
teatrali e libri. Organizza e promuove eventi e gestisce vari uffici stampa. È
coautrice di A tutto sport! (La Spiga, 2013) e di Ristoranti a Milano. 100 chef
imperdibili e le loro ricette (Novecento editore, 2015 e 2016).
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