Di Annalisa Petrella
Lloyd
Il fatto, indimenticabile per Lloyd, era accaduto tre giorni prima: Roger Parker, titolare dello Studio legale più affermato e potente di Londra, dove Lloyd lavorava a ritmo convulso sei giorni su sette, lo aveva chiamato personalmente dal telefono interno convocandolo immediatamente nel suo studio. Colto di sorpresa, Lloyd aveva cercato di impedire alla propria voce di tremare:
- Vengo immediatamente! – aveva risposto e, mentre saliva al piano “nobile”, così soprannominato perché vi erano collocati gli studi dei soci, le sale riunioni e la biblioteca, il salone per i meeting congressuali e le stanze degli avvocati più esperti, si chiese se avesse fatto un errore tale da far smuovere addirittura il grande capo.
Quando fu ammesso davanti a Parker, il vecchio leone - uno degli epiteti più azzeccati che gli venivano attribuiti - gli fece segno di accomodarsi sulla poltrona di fronte alla scrivania:
- Non le faccio perdere tempo in chiacchiere, Wilson, so che è sempre molto impegnato. Lei è con noi da quattro anni, vero?
- Esattamente da tre anni e dieci mesi, Professor Parker.
- Conosco il suo curriculum, ineccepibile. Nel lavoro svolto da noi ha dato prova di resistenza alla fatica, affrontando cause anche complicate con la giusta impostazione, ha saputo affiancare gli Associati con atteggiamento costruttivo e trattare adeguatamente con i clienti più spinosi.
Lloyd era arrossito, non si sarebbe mai aspettato un giudizio così positivo.
- Non mi guardi così, non si sorprenda, anche se lei mi ha incontrato pochissime volte c’è chi mi fornisce le opportune informazioni. Del resto da quando ci ha fatto vincere la causa Bellman grazie ad alcune sue perspicaci osservazioni, l’ho tenuta d’occhio! – Un impercettibile cenno di sorriso evidenziò le rughe intorno agli occhi del grande avvocato. Lloyd era in soggezione, ma trovò la forza di dire:
- La sua stima mi onora, Professor Parker, ma devo precisare che la causa Bellman non sarebbe andata a buon fine senza l’acutezza e il rigore del dottor Stratford, io ho applicato soltanto i suoi consigli.
Il vecchio leone - era poi così vecchio? Sicuramente sui settantacinque, pensò Lloyd – annuì e concluse:
- Bene, le comunico che a partire dal primo del prossimo mese lei entra ufficialmente nella squadra degli Associati del nostro Studio; per il contratto e le clausole annesse si rivolga alla mia segretaria. Ci tengo a dirle che abbiamo deciso all’unanimità. Congratulazioni, buon lavoro e … si riprenda, Wilson!
Lloyd non poté non sorridere, si alzò di scatto, ringraziò e strinse la mano di Parker con un entusiasmo che faticava a trattenere. Uscì e fu travolto da una ridda di emozioni.
Era entrato a far parte dello studio legale “Roger Parker e Soci” come praticante al rientro da New York dove aveva frequentato Il Master di specializzazione in Diritto Internazionale. Era stato un successo poter iniziare subito in uno studio legale di quel livello per cui si era buttato a capofitto nel lavoro, non risparmiando né tempo, né energie. Nel primo anno le difficoltà da superare erano al limite dell’impossibile, il ritmo inarrestabile e la quantità di richieste avanzate dai colleghi anziani erano un messaggio per ribadire ai “novellini” che l’onore di essere lì doveva essere ripagato con una dedizione totale e con la capacità di risolvere da soli problemi di ogni tipo senza far perdere tempo. Nell’open-space dove lavoravano i praticanti aleggiava un clima di tensione che non facilitava i contatti, lungo i lati del salone erano collocati gli studioli a vetrate degli avvocati di recente assunzione, punto di riferimento degli ultimi arrivati. Nel corridoio laterale c’erano poi gli studi degli avvocati con la A maiuscola, gli associati assunti da anni che gestivano le cause più importanti e angariavano i sottoposti come in un girone dantesco.
Lloyd riusciva a reggere questa scuola di sopravvivenza perché aveva una forte determinazione e, soprattutto, provava una vera passione per la pratica della giurisprudenza. Si era costruito un metodo di lavoro rigoroso basato su ricerca, studio, intuizione e razionalità, appreso in parte a New York nel tirocinio con il Professor Stevenson e perfezionato giorno dopo giorno nello studio Parker, soprattutto quando si confrontava con Lewis Stratford, un cinquantenne penalista di notevole fiuto ed esperienza.
Aveva capito che Stratford, anche se non ne faceva mai parola, dentro di sé lo apprezzava e se c’erano degli aggiustamenti da apportare alle sue memorie glielo faceva notare con una lucidità tale che gli imprimeva la voglia di fare meglio e di più.
E ora ne aveva raccolto i frutti!
La prima cosa che fece fu quella di chiamare sua madre con la quale aveva condiviso tutti i passi del suo corso di studi e le sue scelte:
- Mamma, hai un attimo? Ho uno scoop da prima pagina!
- Dimmi, tesoro, non tenermi in ansia!
- Ti comunico che il grande capo dello Studio Parker e Soci mi ha appena comunicato che dal primo febbraio diventerò ufficialmente Associato, che vuol dire sicurezza, soldi e lavoro, lavoro, lavoro. Esulta con me, io sto scoppiando dalla gioia, e dillo subito a Duarte!
- Oh, Lloyd, sono così felice che non so come tradurlo in parole, se non che te lo sei meritato, con quei negrieri! Sabato, se vuoi, arriviamo a Londra per festeggiare.
- No, mamma, vengo io da voi, qui non c’è spazio per ospitarvi comodamente, lo sai, in due ci arrangiamo, ma in tre! E poi ho voglia di muovermi e di gustare una cena pantagruelica con i miei genitori davanti al mare tempestoso di Mousehole!
Un anno dopo
La raccomandata gli fu recapitata con la posta del mattino nel suo ufficio, arrivava dallo Studio notarile “Brown e associati” di Edimburgo ed era indirizzata a lui. Strano – pensò – che non me l’abbiano inviata a casa. Incuriosito l’aprì subito, conteneva una lettera scritta su carta intestata e una busta chiusa. Lesse subito la lettera:
Egregio Avvocato Wilson,
La contatto in qualità di esecutore testamentario del professor Philip Claridge, venuto purtroppo a mancare dieci giorni or sono, per invitarLa a partecipare all’incontro che si terrà nel nostro Studio mercoledì 22 marzo p.v. alle ore 17, per la lettura delle volontà indicate dal professor Claridge nel testamento che la vedono coinvolta come parte in causa insieme ad altri.
Le allego una lettera che il Professor Claridge mi ha consegnato otto mesi fa unitamente al testamento, chiedendomi di fargliela pervenire a tempo debito insieme alla convocazione.
La prego, nel caso in cui non potesse presenziare, di contattarci telefonicamente per concordare un’altra data.
Confido in una sua conferma e, a disposizione per qualsiasi chiarimento, Le invio distinti saluti.
Thomas Brown
The Royal Mile 132 High Street
44 131 226-3631
Lloyd era esterrefatto, non conosceva nessun Philip Claridge, provò a scorrere i nomi del suo casellario mentale ed esaminò sul computer gli elenchi dei clienti dello Studio senza trovare una risposta. Controllò gli elenchi telefonici on line di Edimburgo e constatò che il nome e l’indirizzo di quel Philip Claridge erano regolarmente inseriti. Quindi non si trattava di uno scherzo, quel tale esisteva o, per lo meno, era esistito prima di passare, come si dice, a miglior vita. Rifletté sul fatto che la lettera venisse da Edimburgo, la città dove sua madre era nata e vissuta nella prima gioventù, ma ricordava di esserci andato con lei una volta sola, almeno vent’anni prima, per il funerale del nonno materno che, quando era piccolo, veniva a trovarli in Cornovaglia durante l’estate.
L’unica persona che poteva fornirgli qualche informazione concreta era sua madre: d’improvviso un campanello d’allarme gli trillò nel cervello, ma volle allontanarlo. Calma, pensò, calma e razionalità. Prese in mano la busta chiusa vergata da una calligrafia elegante che indicava soltanto il suo nome: Lloyd. Fu attraversato da un presentimento inquietante, qualcosa di non completamente sconosciuto, che non riusciva a codificare. Di cosa si trattava, dunque?
Lui, Lloyd Wilson Abanico, figlio di una scozzese e di un portoghese, nato in Cornovaglia e residente a Londra da quando si era iscritto al King’s College per gli studi universitari, con l’unica interruzione dei due anni a New York, avvocato promettente, a detta del grande Parker e Soci, era arrivato all’età di 32 anni senza tragiche scosse e ora, di colpo, si sentiva minacciato da quello scritto. S’impose uno stacco e si concentrò sul lavoro ma non funzionava, doveva chiamare sua madre. Affrontò la questione di petto perché era in difficoltà:
- Ciao, mamma, tu conosci un certo Philip Claridge?
Silenzio.
Lloyd capì subito che il turbamento di Cora doveva essere profondo se non riusciva a rispondere. Insistette:
- Mamma, sei lì, cosa succede? Ho ricevuto da un notaio di Edimburgo la convocazione per la lettura di un testamento che mi vede tra gli eredi di tale Philip Claridge, è forse un tuo parente? –
Silenzio.
Gli crollò il mondo addosso:
- Mamma, ci sei? Perché non parli? Ti prego, aiutami a non pensare a cose strane con il tuo silenzio. E poi c’è una lettera di Claridge indirizzata a me, non l’ho ancora aperta. – I colpi del suo cuore battevano così forte che pensò arrivassero anche a lei.
Sospiro:
- Aprila pure, Lloyd. Mi dispiace tanto, avrei voluto risparmiarti questo momento, ma l’egoismo di Philip non ha limiti neanche sul letto di morte…
- Mamma, dimmi chi è? Dimmelo tu, ti prego! - la voce era incrinata, avrebbe voluto non trovarsi lì in quel preciso momento ad aspettare una risposta indesiderata.
- L’hai capito, Lloyd, è l’uomo che ti ha generato, anche se io considero che il tuo vero padre sia Duarte. É così, allora presi la decisione di allontanarti da lui prima che tu nascessi nell’intenzione di tutelarti. E finora ci sono riuscita. Mi sento morire per il modo in cui la storia è venuta fuori, imperdonabile! … Se vuoi, anche subito, salgo in macchina e corro da te per spiegarti.
- Ma perché non me l’hai detto, mamma, non me ne hai mai parlato! Perché non sei stata sincera con me? Siamo stati sempre insieme tu e io, e tu eri il mio punto di riferimento su tutto, di colpo scopro che hai taciuto per un’intera vita e non solo tu…
- Anche Duarte, ovviamente, Lottie e mio padre lo sapevano, ma la responsabilità di non avertelo detto è solo mia, Lloyd.
- Mamma, sono incredulo e sconvolto per quello che mi dici ma, soprattutto, sorpreso per il tuo silenzio di tutti questi anni, non è una cosa da poco nascondere a un figlio la verità su suo padre, non ti pare! – La voce di Lloyd denotava una rabbia al limite del controllo, respirò profondamente e decise di abbassare i toni: - Tu sai quanto voglio bene a te e a Duarte, avete fatto il meglio per me, anche delle rinunce economiche importanti per i miei studi.
- Lascia perdere, Lloyd, non ci è costata fatica era un investimento per il tuo futuro.
- Certo, ma non posso dimenticare che Duarte abbia addirittura ceduto il suo ristorante e la casa di Mevagissey per permettermi i corsi a Londra. Per questo ti chiedo perché non avete avuto il coraggio di dirmi la verità, noi siamo una famiglia, una vera famiglia, nulla può scalfirci. Io sono turbato dalla notizia, puoi ben capire, e mi viene da chiederti cosa mai possa averti fatto quell’uomo per spaventarti a tal punto!
- Lloyd, per telefono non è possibile, ci vuole tempo, dammi modo di parlarti guardandoci negli occhi…come abbiamo sempre fatto. Vengo da te subito!
- Non ti mettere in macchina col ghiaccio, mamma, arrivo io a Mousehole sabato sera dopo il lavoro.
Aveva bisogno di riflettere sul da farsi e di fare ordine nella propria memoria: Cora e Duarte sorridenti con lui bambino, i giochi insieme e le cacce al tesoro, i compiti con Duarte nella sala arancio del ristorante portoghese nei pomeriggi in cui Cora correva all’ambulatorio medico. Il nonno scozzese, che sembrava un uomo d’altri tempi, che arrivava in luglio carico di libri e che al suo decimo compleanno gli aveva dato in regalo il proprio kilt. Le passeggiate lungo il mare con Cora, confidenze e conchiglie da mettere nel vaso di vetro in camera. La sera in cui gli avevano comunicato la decisione di vendere, senza drammi:
- Vedrai come staremo bene a Mousehole nel cottage di Lottie, Duarte ha rilevato una piccola taverna che diventerà un piccolo gioiello di cucina portoghese, e io mi trasferisco nell’ambulatorio pediatrico di Penzance a pochi chilometri. Lloyd, siamo così orgogliosi che ti abbiano preso al King’s College di Londra!
Decise di aprire la lettera:
Caro Lloyd,
mi sono chiesto ripetutamente se fosse meglio scriverti o tacere per sempre, credimi, ci ho pensato a lungo, infine è stato il male incurabile - ormai sono agli sgoccioli - che mi ha spinto nella prima direzione.
Non sapevo di essere padre, tua madre era uscita definitivamente dalla mia vita, non mi aveva informato di nulla ed è stato vano ogni mio tentativo di riavvicinamento. Forse non ho saputo giocare bene le mie carte anche se, in un certo senso, la vita mi aveva concesso tutto: una mente brillante, un notevole successo professionale e un’alta posizione sociale, ma l’amore mi ha imposto delle sfide che non sono stato in grado di vincere. Se avessi saputo di più. Se avessi saputo comprendere.
Presumo che Cora sia stata un’ottima madre, com’era un ottimo medico, ma la sua rigidità rispetto alle fragilità umane, di cui io sono un indiscusso portatore, non le ha permesso di accettarmi fino in fondo e di considerare che, con tutti i difetti che posso avere, sono comunque tuo padre.
Lo so da tempo, sai? Ma quando ne sono venuto a conoscenza ho preferito, stante la situazione, tenermi da parte, non ho voluto ribaltare le nostre vite. Egoismo o generosità? Tua madre opterebbe per il primo e probabilmente avrebbe ragione: in fondo sono un vigliacco, ma non chiedo di essere compatito.
Ho seguito i tuoi successi a distanza e ti ammiro per quello che sei riuscito a costruire da solo con le tue forze, sei solido e non perderai mai la strada. Io l’ho persa. Con gli affetti avrei voluto fare qualcosa di buono, ma sono un impaziente, un irrequieto, mi sono mosso di qua e di là in preda alla smania di un amore totale, una specie di rivalsa nei confronti del mondo, volevo tutto, ma sono rimasto sempre a mani vuote e quando cambiavo direzione alla ricerca di qualcos’altro non riuscivo a trattenerlo, non ne ero capace, alla fine non mi restava nulla. La mia credibilità professionale mi ha tenuto a galla, sostenuta da una buona dose di fortuna e, non lo nego, di ambiguità.
Ma ti chiedo scusa, ti sto annoiando parlandoti di me, mi rendo conto che mi sto confessando per la prima volta, Lloyd, credo che sia possibile soltanto con uno sconosciuto. Anche se, dopo questa lettera, per te non lo sarò più del tutto.
Permettimi di concludere con un punto cruciale del vivere:
Ci sono attimi nella vita in cui, pur avendo ben chiara la distinzione tra il bene e il male, non è per niente semplice evitare la direzione, diciamo meno… morale. Io l’ho sperimentato e so di avere sbagliato, ma non avevo scelta, scattava in me un meccanismo di autodifesa davanti alla paura di rischiare qualcosa cui non potevo rinunciare. Non so perché mi sia costantemente accaduto, dopo tanti anni ancora non sono riuscito a capirmi.
Il bene e il male, ciò che giusto e ciò che non lo è: tu hai scelto di dedicare la tua vita ad amministrare questi principi e a farne valere la parte buona, ne sono contento, e sono sicuro ci riuscirai perché sei dotato di quel senso di onestà inderogabile che ha contraddistinto tua madre.
Ora una precisazione sul Testamento che è già ben dettagliato in ogni sua parte: tu avrai la maggior parte dei beni, a parte alcuni legati che ho attribuito a persone meritevoli, ma ho disposto un lascito sostanzioso e l’usufrutto del mio appartamento a favore della Signora Philippa Scott, che mi ha assistito fino alla fine, la conosco da quando è nata perché è la figlia di un’infermiera che aveva lavorato per me e che non c’è più. Fai in modo che le sia garantito quanto disposto, è una persona semplice e intelligente che avrai modo di conoscere.
Deciderai tu, ovviamente, cosa fare dei beni che riceverai, una cosa sola ti raccomando: la clinica, che funziona benissimo, mantienila salda, abbiamo fatto cose importanti sul piano scientifico e ci lavora un buon numero di professionisti seri e “per bene”, sai cosa voglio dire. Li ho formati e mi hanno seguito in tutti questi anni, è l’unica cosa buona che ho saputo fare. Mi verrebbe da aggiungere: a parte te, ma non è stato un mio merito.
Philip
Rientrò a casa tardi e trovò i suoi genitori davanti al portone, si erano precipitati a Londra da lui immediatamente e li abbracciò commosso, salirono insieme e trascorsero due intere nottate a parlare. Il confronto era stato doloroso, soprattutto per Cora, che aveva voluto ripercorrere con lui la sua vita a Edimburgo, il suo amore per Claridge e la fuga in Cornovaglia dall’amica Lottie, fino alla sua nascita.
Lloyd li guardava con tenerezza, si trovavano lì insieme tutti e tre seduti intorno al tavolo della cucina, Duarte - lo aveva sempre chiamato così - non staccava lo sguardo dalla moglie che raccontava con immane fatica una storia lontana che aveva dovuto disseppellire, le carezzava la mano dolcemente mentre lei parlava di un altro e cercava di calmarla quando ebbe parole di pietra nei confronti di Claridge. Ci fu solo uno scambio di sguardi tra Duarte e Lloyd, ma non occorreva altro.
Sua madre volle scusarsi di nuovo, ma gli confermò che non aveva ripensamenti; ancora oggi, con la saggezza degli anni, si sarebbe comportata nello stesso modo e concluse con un interrogativo:
- Se avesse voluto davvero recuperarti come figlio, chiediti perché, visto che l’aveva saputo, non lo abbia fatto prima! Come può un uomo che scopre di avere un figlio da poter amare continuare a vivere accantonando la questione fino alla fine dei suoi giorni!
L’eco di quelle parole gli risuonava nella mente.
Edimburgo
Quella mattina Lloyd si preparò con maggior cura del solito, camicia bianca, abito blu, cravatta regimental sui toni del bordeaux, una spazzolata veloce ai capelli ancora umidi dopo la doccia – cercava sempre di domarli per non dare l’impressione di trasandatezza – e quando fu pronto, guardandosi allo specchio, pensò alla madre. Tutti dicevano che le assomigliava anche se i colori di Lloyd erano più freddi: i suoi capelli folti erano biondo cenere e gli occhi grigi, mentre la madre aveva una chioma ancora ramata e gli occhi color ambra. Le telefonò per confermarle che stava partendo per Edimburgo e lei, dolcemente, gli aveva risposto:
- Ti seguo col pensiero, figlio mio.
Gli era dispiaciuto non coinvolgerla, Cora gli mancava tanto in quel momento, ma questa volta Lloyd aveva deciso che doveva affrontare da solo la questione fino in fondo.
Arrivò puntuale, il notaio lo osservò con curiosità, conosceva Claridge da tanti anni e non poté non notare un'indubbia familiarità nei tratti del giovane, quindi lo fece entrare nella sala riunioni dove altre tre persone stavano aspettando. C’erano due uomini avanti negli anni e una donna sui quaranta, si presentarono. Lloyd si accorse che l’uomo più anziano continuava a guardarlo di sottecchi cercando di non farsi notare e si chiese chi potesse essere. La lettura fu chiara e veloce, per quanto riguardava Lloyd l’elenco di beni mobili e immobili era lungo, lui non vi prestò troppa attenzione perché in verità si sentiva quasi un intruso in quella stanza, ufficialmente si trovava lì per rispettare le volontà di uno sconosciuto, suo padre naturale, che gli aveva destinato una fortuna colossale, per i suoi standard, e gli aveva creato una valanga di problemi esistenziali. La ragione più intima però era il desiderio di entrare in contatto almeno una volta con il suo mondo, visto che in punto di morte aveva deciso di farsi vivo.
Il notaio aveva concluso. Lloyd scoprì che l’uomo più anziano aveva ricevuto un piccolo vitalizio da aggiungere alla pensione, come ex custode della clinica, e lo sentì mormorare: - E’ sempre stato generoso, non lo potrò mai dimenticare. Da ragazzo io ero uno scapestrato e lui mi ha tolto dalla strada. Lei, ragazzo, me lo ricorda tanto.
Poi fu la volta dell’attuale direttore della clinica che ricevette in dono un bonus per l’ottimo lavoro svolto e la collezione dei suoi libri scientifici raccolti nella biblioteca di casa. L’uomo, con gli occhi umidi, fece solo un cenno con il capo.
Infine Philippa Scott, venuta a conoscenza del ricco lascito a lei destinato e dell’usufrutto della casa non si mostrò sorpresa, probabilmente se lo aspettava – pensò Lloyd – si rivolse a lui con i suoi grandi occhi grigi e disse: - Sono grata al Professor Claridge, una presenza importante nella mia vita.
Era finita.
Quando uscirono Lloyd si avvicinò alla donna e la invitò nella sala da tè sotto lo studio per scambiare due parole prima di salutarsi. Gli sembrava doveroso dedicarle qualche minuto per ringraziarla, vista la precisazione di Claridge. Philippa Scott gli era piaciuta subito per la sua compostezza; era una donna attraente, priva di trucco, capelli biondo scuro raccolti in una coda bassa, vestita sobriamente con un certo gusto. Si accomodarono in un angolo appartato e Philippa parlò per prima:
- Con il lascito di Philip, mi scusi, ma io lo chiamavo così, posso chiudere il mutuo del mio appartamentino e avere il tempo di riorganizzare la mia vita dopo tre anni di black out. Per la casa di Claridge valuterò se abitarla o meno e glielo farò sapere a breve. Non so se voglio restare lì, da quando la malattia è diventata pesante ho sospeso il mio lavoro in ospedale e mi sono trasferita da lui per assisterlo.
- Signora Scott, per quanto riguarda la casa la ritenga già sua, sistemeremo le cose col notaio.
- Non prenda decisioni avventate, aspetti, prima andiamoci insieme!
- D’accordo, valuteremo insieme il da farsi, ma sono deciso. Ora mi dica: deve essere stato un bel sacrificio per una donna ancora giovane privarsi del lavoro e della vita privata per un … amico caro?
- Lloyd, diamoci del tu, per favore, io ho quarantaquattro anni non farmi sentire più vecchia di quel che sono.
- D’accordo Philippa, mi chiedo come tu abbia potuto resistere. Io non ho mai conosciuto Claridge ma, scusa se mi permetto, quale tipo di rapporto ti legava a lui? So da una lettera che mi ha scritto, l’unica, che ti era molto affezionato e che lo era stato anche a tua madre che aveva lavorato per lui.
- L’ho incoraggiato io a scriverti, lui era titubante.
- Cosa? Claridge ti ha parlato di me? E ti ha detto…
- Sì, mi ha detto di avere un figlio solo un anno fa, il giorno del suo ottantesimo compleanno. Eravamo io e lui quella sera, io la chiamo la sera della verità.
- Philippa, eri così pacata anche con lui la sera della verità?
- Certamente, la verità può scuotere, ma fa anche stare bene se l’accetti. Peggio dover vivere nella menzogna, credimi. Mi ha detto chi eri in poche parole, sapeva dove lavoravi e che eri molto bravo, che non ti aveva mai visto se non in fotografia, era curioso di sapere se avevi una ragazza.
- Quindi mi spiava a distanza!
- Lui era così, doveva controllare tutto e tutti. Mia madre aveva perso la testa per Philip, ma lui era sposato, e nacqui io.
- Cosa? Mi stai dicendo che tu…tu…
- Sì, ma non ha voluto riconoscermi per timore che la moglie lo piantasse senza un quattrino. Mia madre ci ha fatto una malattia ed è arrivata all’estremo… suicidio. Mi ha cresciuta mia nonna, sua madre, che sapeva tutto e lo conosceva.
- Sono sgomento, Philippa, quanto devi aver sofferto!
- Mia madre mi ha persino appioppato il suo nome, altisonante per una bambina illegittima, non ti pare?
- Lo porti bene! E poi? E’ sparito, si è occupato di te, cosa ha fatto quel mascalzone?
- Vedo che cominci a inquadrarlo nella giusta prospettiva. Mi veniva a trovare una volta al mese, dovevo chiamarlo Philip, e passava un piccolo mensile alla nonna per il mio mantenimento. Poi ritornava dalla moglie e dalle amanti. Oh! Scusa, so che l’unica che l’ha piantato in asso è stata tua madre e solo per questo la stimo.
- Mia madre mi ha raccontato qualcosa del suo passato, poi per fortuna ha incontrato mio padre, l’uomo che fino a pochi giorni fa ho creduto lo fosse. Scusa se te lo chiedo, ma non hai odiato Claridge?
- Eccome se l’ho odiato, da adulta, però. Da bambina le sue visite mi riempivano di gioia, mi diceva che eravamo grandi amici come era stato amico della mia mamma che non c’era più.
- Un impostore di prim’ordine!
- Ipocrita e impostore, era fatto in questo maledetto modo.
- Allora perché ti sei dedicata a lui durante la malattia? Avresti potuto abbandonarlo a se stesso, i soldi non gli mancavano per una badante!
- Per pena, sì, mi ha fatto pena, tutto qui. L’idolo della mia infanzia, il diavolo della mia gioventù era crollato. Quando ha saputo che era spacciato mi ha chiamato per telefono, aveva bisogno di me e io l’ho mandato al diavolo, ma non ho resistito, dopo qualche giorno l’ho incontrato e ho letto nei suoi occhi tutto lo sgomento della fine. Allora sono andata a casa sua e praticamente ne sono uscita dopo la sua morte. Non so perché l’ho fatto: per un lato era una specie di vendetta, con la mia presenza volevo ricordargli ogni giorno quello che aveva fatto a mia madre, per un altro mi ero resa conto che tutta l’acredine accumulata negli anni si era dissolta forse nella speranza di recuperare l’affetto che mi aveva fatto mancare. E vuoi sapere com’è andata?
- Prova a dirmelo, Philippa.
- Nessun pentimento, neanche alla fine è stato capace di chiamarmi almeno per una volta figlia, mi ha ringraziato sì, mi ha assegnato un lauto fondo nel testamento e l’uso della casa, ma nient’altro. Non sapeva dare amore. Lo preoccupava soltanto la clinica. Per questo, quando ho saputo della tua esistenza, ho insistito affinché ti scrivesse e, devo riconoscere, che inaspettatamente mi ha ascoltato.
Lloyd si alzò e l’abbracciò forte, le sussurrò parole che sgorgavano dal cuore, cercava di offrire a quella donna, che sentiva sempre più vicina, almeno un briciolo di conforto di fronte a tutta quella sofferenza che a lui era stata risparmiata.
Philippa si lasciò andare abbandonandosi a quell’abbraccio con fiducia mentre lacrime silenziose le inondavano il viso, poi si scostò e gli sorrise prendendogli le mani e trattenendole tra le sue:
- Qualcosa di buono, in fondo, quest’uomo ha fatto, non credi?
Un racconto nuovo che riprende alcuni personaggi di Capodanno in Cornovaglia dopo molti anni. Bella conclusione!
RispondiEliminaLloyd è arrivato nei miei pensieri, adulto, sensibile ma forte, in contrasto con Claridge. È nata così una storia nuova. Grazie
EliminaPhilippa è un personaggio bellissimo
RispondiEliminaAnche a me è piaciuto raccontarla.
EliminaClaridge, il cattivo della situazione, alla fine in parte si riabilita mettendo in contatto Lloyd e Philippa, non me l'aspettavo e mi piace.
RispondiEliminaAllora non è un assassino?
RispondiEliminaA questo non posso rispondere! Grazie
EliminaSi vede che ami il mondo British!
RispondiEliminaLa Cornovaglia in particolare
EliminaInteressante questo problema delle radici, di cui non possiamo mai essere sicuri.
RispondiEliminaIl nucleo della storia, grazie
EliminaLegami del cuore, legami di sangue...bel racconto
RispondiEliminaTi ringrazio
EliminaLloyd è il figlio ideale
RispondiEliminaÈ dotato di qualità importanti
EliminaFinalmente la continuazione! Molto bello, il rapporto mamma figlio è profondo e resiste alle difficoltà. L'ambientazione British molto piacevole. Brava!
RispondiEliminaLudmilla
Cara Ludmilla, volevo sottolineare questo aspetto. Grazie
Eliminaleggendo questo ritratto mi è venuta voglia di rileggere il 4. Sei brava e sai approfondire i sentimenti.
RispondiEliminaMiriam
I due racconti possono leggersi indipendentemente l'uno dall'altro. Certo, se si leggono entrambi, il quadro è completo. Grazie!
EliminaCome al solito i tuoi racconti si leggono tutto di un fiato. Sono carichi di umanità e conoscenza della vita. Bella l'ambientazione British...riesce a fare perfettamente da cornice al racconto. Lucrezia
RispondiEliminaCara Lucrezia, ti ringrazio tanto
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