Appunti sparsi di viaggio di Marina Fichera
Quando, a Capodanno 2017, visitai per la prima volta il
Nepal, la sensazione che mi portai a casa - come scritto nel mio articolo su
quel viaggio https://sognaparole.blogspot.com/2017/06/nepal-viaggio-nel-cuore-dellhimalaya.html - fu di volerci tornare quanto prima.
E quindi, dopo
quasi tre anni, a novembre 2019, torno
nel cuore dell’Himalaya con un gruppo di quattordici viaggiatori che accompagno
alla scoperta della bellezza umana, naturalistica e artistica del Nepal.
Il tempio di Swayambhunath a Kathmandu (foto di Marina Fichera) |
Questo viaggio è
un po’ diverso dal solito, infatti in due settimane, oltre ad alcune delle più
famose mete dalle Valle di Kathmandu e Pokhara, visitiamo un Nepal poco
conosciuto: quello dei villaggi di montagna. Non solo, nei villaggi soggiorniamo
alcuni giorni in case private, usufruendo di quelli che in Nepal vengono
chiamati gli Homestay Villages. Facendo
un paragone con i nostri standard potrei dire che siano una sorta di B&B a pensione completa, ma con
l’ulteriore possibilità di condividere alcuni momenti quotidiani con la
famiglia ospitante. Un’esperienza forse non per tutti, perchè ci fa allontanare
dalla nostra comfort zone, ma
emozionante e a tratti commovente per chi l’accoglie con il cuore aperto.
Vita quotidiana a Ghale Gaun (foto di Marina Fichera) |
Torno al villaggio di Ghale Gaun, ancora una volta ospite
a casa di Kamala. Credo di essere la sua prima ospite che ritorna, e lei è
stupita e contenta di questa cosa.
In questi tre anni ci sono stati molti cambiamenti e Ghale
Gaun è il primo villaggio in Nepal a poter esser definito Smart village. Oltre al wi-fi gratuito per tutti - già esistente
nel 2017 - ora la strada che sale dalla vallata è talmente migliorata che è
attivo un servizio di bus pubblici. Per i vicoli del villaggio ci sono pali
della luce alimentati a energia solare e c’è addirittura un hotel!
Anche la casa di
Kamala è cambiata, il cortile è più ordinato, è stato eretto un muretto che separa la proprietà e un
cancello per accedere, ma ciò che mi colpisce di più è la TV con antenna
satellitare accanto all’arnia. Con un po’ di benessere economico, dopo internet
è arrivato anche l’intrattenimento di massa, ma la lavatrice, il riscaldamento
e molto altro ancora mancano.
Alba a Ghale Gaun (foto di Marina Fichera) |
Ho una piccola
missione da svolgere nel villaggio di Ghale Gaun e in quello di Ghanpokhara,
a pochi chilometri di distanza. Infatti ho stampato molte delle foto che avevo scattato
nel 2017 – quasi tutte di bambini - e ora voglio consegnarle alle rispettive famiglie.
Ovviamente la prima consegna è per Kamala, poi voglio
andare a Ghanpokhara per ritrovare il nonno che, tre anni fa, ho fotografato
con la nipotina in braccio. Parto a cuor leggero perchè la sera prima
Kamala, vedendo la foto, mi dice che il
nonno - 85 anni - sta bene.
Mi faccio
accompagnare dalla nostra bravissima guida, che mi aiuta a ritrovare la casa e
spiega alla famiglia perchè sono lì. Poi lui se ne va e io resto con il nonno
che guarda le foto con gli occhi di un
bambino, mentre sua figlia chiama la piccola, ormai cresciuta, e altri parenti.
Sono tutti emozionati e ridono a veder quelle foto consegnate da una
sconosciuta! Beviamo un tè nel grande patio della casa, ci facciamo delle foto
insieme con l’autoscatto, poi il nonno mi porta a visitare il suo bel paesino
affacciato sulla catena himalayana. Una vita forse troppo dura per noi, il
posto più bello del mondo per loro, e io un po’ lo invidio.
Il nonno guarda le foto che gli ho portato (foto di Marina Fichera) |
Passo poi nella
scuola del paese e anche lì ritrovo quasi tutti i bambini delle foto, tra cui
una dolcissima piccola che avevo ritratto, e che scopro chiamarsi Rasù.
L’emozione è davvero grande.
Il villaggio di Ghanpokhara (foto di Marina Fichera) |
Il pomeriggio giro
per Ghale Gaun alla ricerca delle varie famiglie per consegnare loro le altre
foto. Nella mia strampalata caccia al
tesoro coinvolgo mezzo paese e, tra namastè, sorrisi e ringraziamenti, riesco
a consegnarle tutte!
Ho la conferma che spesso nelle case mancano gli uomini
giovani, i padri di famiglia che lavorano lontano, in città o nell’esercito
indiano o britannico. Mi sento un po’ invadente, entro in alcune case
poverissime, coi cortili disordinati e sporchi, passando tra vecchie signore
sedute per terra a lavorare, galline, miglio messo al sole a essiccare – è la
base per il liquore locale – e coloratissimi panni stesi.
Lo faccio però perchè credo che la gentilezza possa
essere anche un piccolo gesto che, come un seme, se ben piantato si propagherà
virtuosamente.
Il secondo
villaggio in cui soggiorniamo è Lwang. Siamo tutti insieme in una grande casa dove
da qualche settimana hanno attivato il wi-fi gratuito - e pensare che avevo
avvisato tutti che non sarei stata raggiungibile per un po’... Condividiamo due gabinetti in oltre venti
persone, ma stiamo benissimo lo stesso.
La vista sulla catena himalayana da Lwang – a sinistra l’Annapurna, al centro il Machapuchare (foto di Marina Fichera) |
Il villaggio, davvero molto bello, arroccato sulla montagna, si affaccia su un’ampia e verde valle, esattamente di fronte alla montagna sacra del Machapuchare (6.993 m. slm).
La mattina visitiamo i campi terrazzati di Camellia sinensis – la piante del tè - dei
dintorni, e in seguito passiamo uno dei pomeriggi più divertenti della mia
vita. Balliamo in cortile con i bambini
del villaggio. Partiamo dal Gioca Jouer
e poi via a seguire, ci dimeniamo allegramente tutti insieme, sempre più
sfrenati e per qualche ora ritorniamo tutti piccoli!
Balli di gruppo a Luwang(foto di Marina Fichera)
|
Il terzo e ultimo villaggio che ci ospita è Sirubari, dove
è stata inventata la formula dell’Homestay, e sul costone che lo protegge svetta
un grande scritta bianca “Sirubari” simile a quella che in California indica la
mecca del cinema “Hollywood”.
Scendiamo dalle nostre jeep e troviamo l’intera
popolazione ad accoglierci: le autorità locali, le donne nei magnifici vestiti
tradizionali Gurung – l’etnia a cui
appartengono gli abitanti di Sirubari - e persino la banda musicale! Noi e un
numeroso gruppo di turiste nepalesi veniamo accompagnati nel cortile del tempio
buddista per partecipare a una lunga e simpatica cerimonia di benvenuto tra
discorsi ufficiali, canti, balli e grappa di miglio.
Sirubari dal belvedere (foto di Marina Fichera) |
Finito il tutto ci distribuiscono in vari alloggi, uno più
bello dell’altro, dove siamo
letteralmente coccolati dalle amabili padrone di casa, tra cui la bella Urmila
che ospita me e una compagna di viaggio. La nostra ospite ha sposato il figlio
dell’inventore dell’Homestay, un signore che, dopo aver lavorato per molti anni
nell’esercito britannico, tornò al villaggio con l’obiettivo di restituire
parte del suo benessere alla comunità. Per far ciò prima cambiò la mentalità degli
abitanti del villaggio, partendo dal miglioramento delle condizioni igieniche e
facendo scoprire loro le possibilità turistiche del luogo, e poi inventò questa
formula che oggi è diffusa tra decine e decine di villaggi in tutto il Nepal.
Urmila – che è un avvocato ed è rimasta sola, purtroppo -
ha scelto di restare al villaggio per continuare a portare avanti il progetto del
suocero. Ci dice che il villaggio si è svuotato negli ultimi anni e che ora
solo diciasette case ospitano i turisti. Aggiunge poi che se vogliono
continuare a far vivere l’Homestay dovranno presto mettere il wi-fi, altrimenti
i turisti sceglieranno altri villaggi, magari meno belli e meno organizzati, ma
più connessi.
Il motore della
società nepalese, come in tutto il mondo, è rappresentato da queste donne
determinate e fiere.
Nel pomeriggio del
giorno successivo, dopo aver passato tutto il tempo tra trekking e foto, i
componenti del gruppo vengono aiutati dalle padrone di casa a vestirsi con i
colorati ed elegantissimi abiti tradizionali Gurung. Ci riuniamo di nuovo nel
cortile del tempio, siamo tutti bellissimi e scattiamo decine di foto prima che
il buio ci inviti a tornare nelle nostre accoglienti abitazioni per la cena.
Donne al lavoro a Sirubari (foto di Marina Fichera) |
Io in abiti Gurung a Sirubari |
Prima di tornare a
Kathmandu per gli ultimi giri di shopping sfrenato facciamo visita a una
cooperativa di donne Newari – il principale gruppo etnico del paese – che
gestiscono un ristorante di cucina tipica. Ci sediamo tutti a terra su delle
stuoie e le donne iniziano a cucinare di tutto. Scopro però che la cucina
Newari, molto diversa da quella dei
villaggi, è quasi esclusivamente a base di bufalo. Per me e un’altra compagna
di viaggio che non mangiamo carne c’è ben poca scelta, ma tutto il gruppo è
molto soddisfatto dell’esperienza.
Ancora una volta
il contatto con le persone e le loro vite è stato una delle cose più belle del
viaggio. Per qualche giorno abbiamo appeso
i nostri abiti quotidiani e abbiamo provato a indossare quelli di qualcun
altro, in uno scambio di emozioni ed esperienze che difficilmente dimenticherò.
La cooperativa di donne Newari (foto di Marina Fichera) |
Tornerò ancora,
non so quando ma ci tornerò, perché il Mal
di Himalaya mi chiama potente e chiaro.
Namastè, a presto
rivederci!
La gentilezza dovrebbe diventare il modo naturale della
vita, non l’eccezione.
Buddha
Complimenti Marina, racconto interessante, particolare e come sempre arricchito da bellissime foto. Spero proprio di poter visitare il Nepal e la zona dell'Himalaya quando organizzerai il tuo prossimo viaggio. un abbraccio . Patrizia
RispondiEliminaGrazie, spero di poterci tornare presto, magari insieme!
RispondiEliminaUn abbraccio
Marina