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domenica 5 aprile 2020

Nepal: ritorno nel cuore dell’Himalaya



Appunti sparsi di viaggio di Marina Fichera
Tempio di Boudhanath, Kathmandu (foto di Marina Fichera)

Quando, a Capodanno 2017, visitai per la prima volta il Nepal, la sensazione che mi portai a casa - come scritto nel mio articolo su quel viaggio https://sognaparole.blogspot.com/2017/06/nepal-viaggio-nel-cuore-dellhimalaya.html - fu di volerci tornare quanto prima.
E quindi, dopo quasi tre anni, a novembre 2019, torno nel cuore dell’Himalaya con un gruppo di quattordici viaggiatori che accompagno alla scoperta della bellezza umana, naturalistica e artistica del Nepal.


Il tempio di Swayambhunath a Kathmandu
(foto di Marina Fichera)

Questo viaggio è un po’ diverso dal solito, infatti in due settimane, oltre ad alcune delle più famose mete dalle Valle di Kathmandu e Pokhara, visitiamo un Nepal poco conosciuto: quello dei villaggi di montagna. Non solo, nei villaggi soggiorniamo alcuni giorni in case private, usufruendo di quelli che in Nepal vengono chiamati gli Homestay Villages. Facendo un paragone con i nostri standard potrei dire che siano una sorta di B&B a pensione completa, ma con l’ulteriore possibilità di condividere alcuni momenti quotidiani con la famiglia ospitante. Un’esperienza forse non per tutti, perchè ci fa allontanare dalla nostra comfort zone, ma emozionante e a tratti commovente per chi l’accoglie con il cuore aperto.
Vita quotidiana a Ghale Gaun (foto di Marina Fichera)
Torno al villaggio di Ghale Gaun, ancora una volta ospite a casa di Kamala. Credo di essere la sua prima ospite che ritorna, e lei è stupita e contenta di questa cosa.
In questi tre anni ci sono stati molti cambiamenti e Ghale Gaun è il primo villaggio in Nepal a poter esser definito Smart village. Oltre al wi-fi gratuito per tutti - già esistente nel 2017 - ora la strada che sale dalla vallata è talmente migliorata che è attivo un servizio di bus pubblici. Per i vicoli del villaggio ci sono pali della luce alimentati a energia solare e c’è addirittura un hotel!
Anche la casa di Kamala è cambiata, il cortile è più ordinato, è stato eretto  un muretto che separa la proprietà e un cancello per accedere, ma ciò che mi colpisce di più è la TV con antenna satellitare accanto all’arnia. Con un po’ di benessere economico, dopo internet è arrivato anche l’intrattenimento di massa, ma la lavatrice, il riscaldamento e molto altro ancora mancano.
Alba a Ghale Gaun (foto di Marina Fichera)

Ho una piccola missione da svolgere nel villaggio di Ghale Gaun e in quello di Ghanpokhara, a pochi chilometri di distanza. Infatti ho  stampato molte delle foto che avevo scattato nel 2017 – quasi tutte di bambini - e ora voglio consegnarle alle rispettive famiglie.
Ovviamente la prima consegna è per Kamala, poi voglio andare a Ghanpokhara per ritrovare il nonno che, tre anni fa, ho fotografato con la nipotina in braccio. Parto a cuor leggero perchè la sera prima Kamala,  vedendo la foto, mi dice che il nonno - 85 anni - sta bene.
Mi faccio accompagnare dalla nostra bravissima guida, che mi aiuta a ritrovare la casa e spiega alla famiglia perchè sono lì. Poi lui se ne va e io resto con il nonno che guarda le foto con  gli occhi di un bambino, mentre sua figlia chiama la piccola, ormai cresciuta, e altri parenti. Sono tutti emozionati e ridono a veder quelle foto consegnate da una sconosciuta! Beviamo un tè nel grande patio della casa, ci facciamo delle foto insieme con l’autoscatto, poi il nonno mi porta a visitare il suo bel paesino affacciato sulla catena himalayana. Una vita forse troppo dura per noi, il posto più bello del mondo per loro, e io un po’ lo invidio.
Il nonno guarda le foto che gli ho portato
(foto di Marina Fichera)

Passo poi nella scuola del paese e anche lì ritrovo quasi tutti i bambini delle foto, tra cui una dolcissima piccola che avevo ritratto, e che scopro chiamarsi Rasù. L’emozione è davvero grande.
Il villaggio di Ghanpokhara (foto di Marina Fichera)

Il pomeriggio giro per Ghale Gaun alla ricerca delle varie famiglie per consegnare loro le altre foto. Nella mia strampalata caccia al tesoro coinvolgo mezzo paese e, tra namastè, sorrisi e ringraziamenti, riesco a consegnarle tutte!
Ho la conferma che spesso nelle case mancano gli uomini giovani, i padri di famiglia che lavorano lontano, in città o nell’esercito indiano o britannico. Mi sento un po’ invadente, entro in alcune case poverissime, coi cortili disordinati e sporchi, passando tra vecchie signore sedute per terra a lavorare, galline, miglio messo al sole a essiccare – è la base per il liquore locale – e coloratissimi panni stesi.
Lo faccio però perchè credo che la gentilezza possa essere anche un piccolo gesto che, come un seme, se ben piantato si propagherà virtuosamente.

Il secondo villaggio in cui soggiorniamo è Lwang. Siamo tutti insieme in una grande casa dove da qualche settimana hanno attivato il wi-fi gratuito - e pensare che avevo avvisato tutti che non sarei stata raggiungibile per un po’...  Condividiamo due gabinetti in oltre venti persone, ma stiamo benissimo lo stesso.
La vista sulla catena himalayana da Lwang – a sinistra l’Annapurna,
al centro il Machapuchare (foto di Marina Fichera)

Il villaggio, davvero molto bello, arroccato sulla montagna, si affaccia su un’ampia e verde valle, esattamente di fronte alla montagna sacra del Machapuchare (6.993 m. slm).
La mattina visitiamo i campi terrazzati di Camellia sinensis – la piante del tè - dei dintorni, e in seguito passiamo uno dei pomeriggi più divertenti della mia vita.  Balliamo in cortile con i bambini del villaggio. Partiamo dal Gioca Jouer e poi via a seguire, ci dimeniamo allegramente tutti insieme, sempre più sfrenati e per qualche ora ritorniamo tutti piccoli!
       Balli di gruppo a Luwang(foto di Marina Fichera)   
Il terzo e ultimo villaggio che ci ospita è Sirubari, dove è stata inventata la formula dell’Homestay, e sul costone che lo protegge svetta un grande scritta bianca “Sirubari” simile a quella che in California indica la mecca del cinema “Hollywood”.
Scendiamo dalle nostre jeep e troviamo l’intera popolazione ad accoglierci: le autorità locali, le donne nei magnifici vestiti tradizionali Gurung – l’etnia a cui appartengono gli abitanti di Sirubari - e persino la banda musicale! Noi e un numeroso gruppo di turiste nepalesi veniamo accompagnati nel cortile del tempio buddista per partecipare a una lunga e simpatica cerimonia di benvenuto tra discorsi ufficiali, canti, balli e grappa di miglio.
Sirubari dal belvedere (foto di Marina Fichera)

Finito il tutto ci distribuiscono in vari alloggi, uno più bello dell’altro,  dove siamo letteralmente coccolati dalle amabili padrone di casa, tra cui la bella Urmila che ospita me e una compagna di viaggio. La nostra ospite ha sposato il figlio dell’inventore dell’Homestay, un signore che, dopo aver lavorato per molti anni nell’esercito britannico, tornò al villaggio con l’obiettivo di restituire parte del suo benessere alla comunità. Per far ciò prima cambiò la mentalità degli abitanti del villaggio, partendo dal miglioramento delle condizioni igieniche e facendo scoprire loro le possibilità turistiche del luogo, e poi inventò questa formula che oggi è diffusa tra decine e decine di villaggi in tutto il Nepal.
Urmila – che è un avvocato ed è rimasta sola, purtroppo - ha scelto di restare al villaggio per continuare a portare avanti il progetto del suocero. Ci dice che il villaggio si è svuotato negli ultimi anni e che ora solo diciasette case ospitano i turisti. Aggiunge poi che se vogliono continuare a far vivere l’Homestay dovranno presto mettere il wi-fi, altrimenti i turisti sceglieranno altri villaggi, magari meno belli e meno organizzati, ma più connessi.
Il motore della società nepalese, come in tutto il mondo, è rappresentato da queste donne determinate e fiere.
Donne al lavoro a Sirubari (foto di Marina Fichera)
Nel pomeriggio del giorno successivo, dopo aver passato tutto il tempo tra trekking e foto, i componenti del gruppo vengono aiutati dalle padrone di casa a vestirsi con i colorati ed elegantissimi abiti tradizionali Gurung. Ci riuniamo di nuovo nel cortile del tempio, siamo tutti bellissimi e scattiamo decine di foto prima che il buio ci inviti a tornare nelle nostre accoglienti abitazioni per la cena.

Io in abiti Gurung a Sirubari

Prima di tornare a Kathmandu per gli ultimi giri di shopping sfrenato facciamo visita a una cooperativa di donne Newari – il principale gruppo etnico del paese – che gestiscono un ristorante di cucina tipica. Ci sediamo tutti a terra su delle stuoie e le donne iniziano a cucinare di tutto. Scopro però che la cucina Newari,  molto diversa da quella dei villaggi, è quasi esclusivamente a base di bufalo. Per me e un’altra compagna di viaggio che non mangiamo carne c’è ben poca scelta, ma tutto il gruppo è molto soddisfatto dell’esperienza.
La cooperativa di donne Newari (foto di Marina Fichera)
Ancora una volta il contatto con le persone e le loro vite è stato una delle cose più belle del viaggio. Per qualche giorno abbiamo appeso i nostri abiti quotidiani e abbiamo provato a indossare quelli di qualcun altro, in uno scambio di emozioni ed esperienze che difficilmente dimenticherò.
Tornerò ancora, non so quando ma ci tornerò, perché il Mal di Himalaya mi chiama potente e chiaro.
Namastè, a presto rivederci!

La gentilezza dovrebbe diventare il modo naturale della vita, non l’eccezione.
Buddha

2 commenti:

  1. Complimenti Marina, racconto interessante, particolare e come sempre arricchito da bellissime foto. Spero proprio di poter visitare il Nepal e la zona dell'Himalaya quando organizzerai il tuo prossimo viaggio. un abbraccio . Patrizia

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  2. Grazie, spero di poterci tornare presto, magari insieme!
    Un abbraccio
    Marina

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