Iperborea - pagg. 320 - € 18,00
La storia incredibile
di due viaggi, uno letterale e uno immaginario, attraverso la Russia
contemporanea e la letteratura sovietica.
Il 26 ottobre 1932 Stalin si
presenta a una riunione di scrittori a casa di Maksim Gor’kij. «I nostri carri
armati non valgono niente», dice, «se le anime che devono guidarli sono di
argilla.» Spetta agli scrittori, «ingegneri di anime», forgiare l’uomo nuovo
sovietico. Nasce così l’estetica proletaria della costruzione e della
produzione, utile per celebrare quelle colossali opere
idraulico-ingegneristiche dei primi piani quinquennali che, grazie al lavoro
forzato dei Gulag, stanno domando la «nemica» natura del territorio sovietico:
deviazioni di alvei fluviali, migliaia di chilometri di canali, impianti di
desalinizzazione dell’acqua di mare.
Dalla lettura di un libro di Konstantin
Paustovskij del 1932 sulla «eliminazione dei deserti» prende le mosse il
viaggio narrato in Ingegneri di anime, che porta Frank Westerman,
giornalista d’inchiesta con studi di ingegneria agraria alle spalle, dalle
rovine industriali del golfo di Kara-Bogaz fino al canale Belomor, il progetto
che il collettivo di scrittori guidato da Gor’kij fu chiamato a cantare come
«storiografia istantanea del socialismo». Un viaggio concreto, quello di
Westerman, che si intreccia con l’esplorazione della vita e delle opere di chi,
tra dubbi, debolezze e scetticismo, dedicò penna e capacità espressive al
rafforzamento dell’URSS postrivoluzionaria. Concentrandosi non sui grandi
dissidenti ma sui «più o meno accomodanti», come lo stesso Paustovskij, o il
tormentato Platonov, o il grande Pil’njak morto in un Gulag dopo alterne
vicende, Westerman ricostruisce con accenti personali il rapporto tra potere e
artisti, e il loro sofferto sforzo di trovare uno spazio possibile tra diktat e
ispirazione.
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