di Annalisa Petrella
Una
fiaba per tempi difficili
Attraverso
questa storia volevo celebrare le diversità, le imperfezioni e, soprattutto,
l'altro, vale a dire chi è diverso da noi. Non mi interessava parlare di
tolleranza, bensì d'amore.
Baltimora, 1962. Elisa Esposito, una Sally
Hawkins in gran forma (la ricordiamo in Blue
Jasmine), è muta e lavora come donna delle
pulizie in un importante centro di ricerca aerospaziale dove un giorno gli
scienziati trasportano in grande segretezza una misteriosa creatura anfibia,
proveniente dal Rio delle Amazzoni, per sottoporla a esperimenti in vista della
competizione con i sovietici per la conquista dello spazio. Quando la donna
scopre la presenza della creatura ne rimane attratta, se ne innamora e ne è
ricambiata. Farà di tutto, con l’aiuto dei suoi amici più cari, Zelda,
afroamericana (Octavia Spencer), e Giles,
vicino di casa omosessuale (Richard Jenkins), per strapparla al suo triste destino di cavia e alla violenza
di Strickland (Michael
Shannon), spietato agente governativo che ha il compito di difendere
“la risorsa” ad ogni costo. Siamo in
piena Guerra Fredda e la vicenda si trasforma in un intrigo spionistico con
tanto di inseguimenti e sparatorie per arrivare a un finale dolcissimo che
riconduce il pubblico alla fiaba e gli permette di sognare.
Guillermo del Toro con La forma dell’acqua, che ha vinto
quattro premi Oscar con ben tredici candidature, conferma il suo stile onirico e si rivela ancora una volta un grande
narratore dei malesseri che affliggono la nostra epoca. La storia si
svolge in un tempo meno recente ma ben sappiamo che il regista ci parla dell’attualità
con tutti gli incubi da cui vorremmo risvegliarci e la scelta dell’acqua rappresenta
il veicolo facilitatore per un dialogo evocativo di amore e rinascita.
La trama è “assurdamente assurda”, come dice il
regista, la finzione, con allusioni all’horror classico, diventa realtà e lo
spettatore viene accompagnato con grazia in un viaggio fiabesco dove i buoni e i discriminati uniscono le loro sofferenze e
solidarizzano a dispetto dei veri mostri più o meno mimetizzati tra le persone
“normali” che incrociano – e incrociamo - quotidianamente.
La storia si sviluppa in un
crescendo contrappuntato da sapienti sprazzi di humour ed erotismo e fa
risaltare la cura maniacale del regista per l’ambientazione, la fotografia e le
musiche d’epoca. Ogni dettaglio è nella giusta collocazione: le automobili –
bellissima la scena con la Cadillac -, i cartelloni pubblicitari in stile
Norman Rockwell e la sala cinematografica Orpheum, collocata esattamente sotto
gli appartamenti di Elisa e di Giles, dove si proiettano “La storia di Ruth” (1960)
e “Mardi Gras” (1958) in una sala sempre più vuota nella
lotta impari con
l’onnipresente televisione che ha invaso le case e gli sguardi di
ogni spettatore. Anche Elisa e Giles nelle lunghe serate si perdono davanti allo schermo
in bianco e nero del televisore di casa seguendo i grandi varietà musicali con Bojangles, Betty Grable, Carmen
Miranda e Alice Faye.
I numerosi piani sequenza della macchina da presa, che
passano da un livello all’altro dell’edificio, sono una dichiarazione d’amore
di Del Toro per il cinema e un invito a lasciarci trasportare senza remore dove
i confini tra realtà e finzione si dissolvono.
In ogni scena l’oscurità
regna sovrana, i colori richiamano le sfumature più buie dell’acqua, le pareti
della stanza di Elisa ne sembrano intrise, il cielo di Baltimora è denso di
pioggia, ma sono proprio le venature di questa penombra che rendono possibile
una storia d’amore impossibile. Il dialogo – se così può essere definito il
comunicare tra la “creatura” che non sa parlare e la donna muta – diventa
eloquente, i gesti, gli sguardi, gli abbracci diventano credibili, ci sentiamo
leggeri, sorridiamo e parteggiamo per loro, dentro di noi svanisce ogni paura
del mostro, del diverso e la storia diventa elegia dell’amore.
Del Toro, che non è minimamente interessato alla
verosimiglianza, si diverte a forzare sul fantastico e il meraviglioso, lo afferma
fin dalla prima scena attraverso la voce narrante di Giles: - Come potrei
raccontarvi questa storia? Come potreste credermi? – e riesce pienamente nel
suo intento di realizzare un film poliedrico con un mostro, una favola
romantica, una parabola sulla tolleranza, un thriller di spionaggio e un’ode al
cinema classico.
Il regista
messicano che ha sempre amato i film con i mostri, i suoi film più famosi sono Il labirinto del fauno (2006) e Pacific Rim (2013), a proposito di La forma dell’acqua, da lui definito il
suo film migliore, ha raccontato che dopo
essersi ispirato per anni ai suoi incubi di ragazzo questa volta ha scelto di
ispirarsi ai suoi sogni. La narrazione ha evidenti nessi con Il mostro della laguna nera un B-movie del 1954, La bella e
la bestia e La Sirenetta. Vi ritroviamo
anche elementi che rinviano a Il favoloso
mondo di Amélie Poulain nella lunga scena della preparazione di Elisa al mattino prima di andare al lavoro.
L’indimenticabile
scena del ballo tra Elisa e la “creatura” sulle note
dell’intramontabile You’ll Never Know è presa da
Seguendo la flotta, film del 1936 con
Fred Astaire e Ginger Rogers.
I costi del film
non sono stati strabilianti, Del Toro ha scelto di risparmiare, quando
possibile, sugli effetti speciali della “creatura” anfibia che doveva suscitare
empatia e ci ha lavorato per tre anni partendo dalla forma delle labbra che non
dovevano terrorizzare bensì diventare attrattive, trattandosi di una storia
d’amore.
Non ha invece
risparmiato sulla scelta delle cineprese. La
forma dell’acqua è piena di
Steadicam (che permettono ai cameraman di camminare o correre dietro agli
attori), Dolly (cineprese su carrelli) e Technocrane (cineprese
montate su alte gru). Sono costose e rallentano la produzione, ma per del Toro
erano necessarie perché «ritmicamente e musicalmente il film ne aveva bisogno».
Da ultimo è interessante
notare la coerenza di Del Toro che fino in fondo rifugge dalle trasformazioni
classiche che connotano un “negativo” e un “positivo” in contrapposizione: il
mostro non si trasforma in principe, rimane tale, e la sua amata non recupera
la voce. I due protagonisti non ne hanno bisogno sono belli e positivi così
come sono, le loro solitudini si sublimano in un atto d’amore e diventano un
grido di libertà in nome dei “diversi”.
Questo è saper fare
cinema.
Annalisa scrivi: "Questo è saper fare cinema", io ti dico "questo è saper fare recensioni".
RispondiEliminaMiriam
Grazie Miriam
EliminaSei molto brava a fare recensioni, ma questa è forse la tua migliore: è anch'essa onirica, leggendoti m
RispondiEliminai fai sperare in un mondo migliore... e non ho ancora visto il film!
Ti ringrazio tanto
Eliminama che bello. è un piacere leggerti
RispondiEliminaBella,profonda e documentata!
RispondiEliminaLa ringrazio
EliminaRecensione da Oscar per un film da Oscar, complimenti!
RispondiEliminaÈ un piacere raro leggere recensioni come le tue
RispondiEliminaTroppo generoso
EliminaBello il film e bella la recensione!
RispondiEliminaGrazie
EliminaLa recensione è molto bella e denota una profonda conoscenza dell'arte cinematografica oltre che una grande sensibilità per le immagini offerte e per il racconto. Da profana, tuttavia, devo dire che il film, su cui avevo grandi aspettative, non mi è piaciuto molto, l'ho trovato un po' claustrofobico, molto buio, soprattutto piuttosto violento, come molti film attuali e come non erano quelli degli anni cinquanta. Quanto alla poesia, a mio parere, non emerge molto, cedendo il campo alla spy story e al thriller. Ma visto che ha riscosso tanti apprezzamenti sono sicuramente io che non ho capito...
RispondiEliminaGrazie, Angela, del commento approfondito, è interessante avere diversi punti di vista.
EliminaNella tua bella recensione ho ritrovato in pieno l'atmosfera di questo film che è fiaba, fantascienza, spionaggio, ma anche omaggio al vecchio cinema e ai meravigliosi musical d'epoca, mentre la scena finale, con i due corpi che fluttuano nell'acqua, sembra un omaggio a Jean Vigo. Scrivine ancora di recensioni perchè sono molto interessanti e ben fatte. Stefania
RispondiEliminaGrazie, Stefania, anche dell'incoraggiamento.
EliminaHo letto la tua recensione e mi sembra di apprezzare ancora di più il film.
RispondiEliminaMi fa piacere.
EliminaHo visto il film e mi è piaciuto molto, delicato e misterioso, l'incontro fantastico di due "diversi" che si amano nella loro unicità. La tua recensione è perfetta e mi fa venire voglia di rivederlo!
RispondiEliminaLudmilla
Ludmilla cara, grazie!
EliminaA dire la verita' era un film che non avevo voglia di vedere. Adesso ne ho colto l'aspetto poetico che me lo fa piacere. Bella lettura della storia. Brava, bella recensione.
RispondiEliminaLa ringrazio.
Elimina