(di Alessia Ghisi Migliari)
Cortile della Sinagoga
Dohany - Il muro del bene e del male (foto di M. Zuffi) |
PER ANGER: CITTADINO D’ISRAELE
L’ATTIMO
“Faresti meglio a restare barricato a
Buda. Davvero, credimi, non ti conviene insistere, abbiamo fatto tutto ciò che
potevamo. Adesso rischiamo tutti e troppo”.
Non gli sembra di saper essere convincente, con Wallenberg.
“Grazie per l’avviso, ma io continuo il mio lavoro, Per. Forse abbiamo ancora
un pò di tempo prima che i sovietici ci siano così addosso. Sai che pochi
giorni fanno la differenza”.
No, non si può essere convincenti con uno così.
Ma è un suo amico, ne hanno passate tante assieme, si sono impegnati
totalmente, ma i russi ormai son qui, son pericolosi:
”Sei sicuro, Raoul?”
Saluta l’uomo che non avrebbe più
rivisto.
L’uomo che avrebbe cercato sempre, da lì in poi, fino alla fine.
È il 10 gennaio 1945.
Tutto sta finendo, anche se non si sa bene come.
Da quando ha iniziato, è cresciuto
molto, il giovane Anger.
PROLOGO DI UN GIOVANE DIPLOMATICO
In Svezia non fa mai davvero caldo,
figurarci a dicembre.
Pare di vederle, le finestre smerigliate e decorate di gelo, e dentro un tepore
tenue e una certa attesa.
Sta nascendo un bambino, è il 7 del mese, siamo nel 1913.
Per Johan Valentin Anger fa il proprio ingresso nel mondo a Gothenburg, quando
ancora i continenti non hanno da confrontarsi con guerre mondiali e disastri
vari – in un certo senso, il XX secolo è ancora lontano.
La chiamano ancora Belle Epoque, quel momento terminato con un conflitto
mostruoso – la pericolosità di un eccessivo ottimismo (l’epoca ‘bella’ e
radiosa che finisce nel sangue).
Non si intercettano molte notizie
sulla sua infanzia, e lo ritroviamo, quasi d’incanto, giovane studente di
legge, prima a Stoccolma e poi in quel di Uppsala.
In un certo senso, si può supporre sia l’ultimo periodo innocente della sua
esistenza – la laurea è nel 1939, in prossimità dell’inizio del delirio
nazista.
Ma non solo i tedeschi hanno voglia di scuotere l’Europa.
Per ha da affrontare il servizio militare, e gli tocca proprio nel pieno degli
scontri tra Filandia e Unione Sovietica – avrà sempre un sano timore, della
Russia.
Si tratta però di una parentesi, ché lui sa già cosa fare: il diplomatico.
Ma ha pochi anni sulle spalle, e non sa bene come muoversi: arriva in Germania
per trattare dei rapporti commerciali tra i tedeschi e gli svedesi, ed è qui
che può vedere, coi propri ingenui occhi, la forza disarmante del regime di
Hitler.
C’è chi ha sostenuto che ci fosse da esserci dentro, per capire – come ogni
cosa, del resto.
Per uno straniero risulta più semplice non lasciarsi coinvolgere, ma è indubbio
che lui rimanga sorpreso dalla propaganda attentamente studiata con cui
Goebbels e simili affabulano il popolo – non è una scusante, ma c’è da
evidenziarlo.
I tiranni hanno imparato a essere ottimi pubblicitari di se stessi, in un certo
senso (il Fuhrer, nella sua povertà del passato, aveva anche racimolato qualche
soldo disegnando per la pubblicità di una polvere antisudore – che sia stato un
training?), e Per osserva, interessato e ammirato e sgomento.
Immaginiamoci la scena: non ancora
trentenne, al centro di un continente in subbuglio, di notte, Anger sta con gli
occhi bene sbarrati.
I pensieri, quando è buio e si è fermi, sono micidiali, invadono ogni cosa.
E lui ne ha uno grande: voci parlano di un imminente attacco tedesco a Norvegia
e Danimarca.
Sarà vero?
Potrebbe riguardare anche il proprio Paese?
Manda un telegramma cifrato, e rumina su possibili errori : e se venisse
decifrato male?, mica vuol far scoppiare la guerra, se no non avrebbe scelto
questo mestiere.
Preoccupazione inutile: l’avviso viene sottovalutato, e deve essere rimandato, perché
venga preso sul serio – la Norvegia viene allertata, i nazisti ovviamente
negano.
E dopo attaccano.
In ogni caso, Per non ha commesso niente di cui pentirsi, ha solo passato
diverse ore sveglio e angosciato.
Cibo ungherese versus acciaio svedese :
la maggior parte della contrattazione verte in questo senso, quando dal marzo
1942 gli viene assegnata la responsabilità dei rapporti commerciali con
l’Ungheria.
L’anno prima, tornato in Patria, è divenuto ufficialmente un diplomatico, non è
più in fase di stage, come diremmo oggi.
Non c’è ancora l’occhio del ciclone, sulla sua testa – i tempi crudi e duri,
quelli in cui si sperimenta il valore di una personalità.
Deve sembrare un poco un fanciullino, lui, col suo corpo lungo lungo e il suo
volto ancora infantile, quasi un po’ imbranato, nel senso tenero del termine :
inganni dell’estetica.
Si vive ancora relativamente in pace : è il secondo segretario della legazione
svedese, l’esistenza è piacevole, c’è un allarme giusto, ma non esasperato.
Marzo 1944 : invasione tedesca
dell’Ungheria.
Adesso sì che c’è da tenersi forte.
Perché da qui in poi si inizia a vedere cosa succede : non solo alla popolazione
in generale, ma soprattutto a loro, agli ebrei.
Si capisce, si intravede la “soluzione finale” – Per scrive, manda rapporti :
qui si stermina la gente.
Gli viene la grande idea: passaporti.
Passaporti provvisori: così si viene considerati protetti dalla Svezia,
neutrale, e ci si pensa un po’, prima di tradurre chissà dove i figli di un
Paese con cui si vuole restare in buoni rapporti.
Non sa quanto possa durare o funzionare, ma si tenta.
La mole di lavoro è mastodontica, da quando i preziosi pezzi di carta vengono
stampati : servono rinforzi.
Luglio : arriva Raoul Wallenberg, coi
suoi modi un po’ aristocratici e la sua ‘creatività’ che va fuori strada, senza
troppi complimenti.
Si intendono, i due : si danno consigli, si spalleggiano.
È il nuovo venuto, a pensare a qualcosa di fisicamente più allettante, per i
tedeschi, così sensibili alle scartoffie fatte bene.
Nasce il passaporto di protezione : in giallo e blu, con le tre corone svedesi
disegnate e firma del Ministro.
Viene perfettamente, mette la giusta dose di dubbio.
A guardare con attenzione non ha valore legale, ma nel mentre ci si interroga
sul da farsi è meglio rispettare l’elegante pass.
Si necessita di sempre più aiuti, si è troppo pochi : viaggio di reperimento a
casa e ritorno.
Il che è assai meno pericoloso di quello che si fa ai treni.
Wallenberg si presenta alle stazioni,
tira giù dai convogli pieni di poveri essere umani, quanti più ebrei può : sono
protetti dalla Svezia!, hanno il visto!, che sia vero o no è opinabile, non lo
fermano i soldati, anche a costo di armi puntate contro e discussioni accese.
Quando Raoul è impegnato in altro, telefona a Per : vai tu.
E non deve essere una scena piacevole, avere dei nazisti diffidenti che alitano
sul collo mentre acchiappi per la collottola persone altrimenti spacciate, col
convoglio già pronto a partire, sbuffante.
Anger si ricorda di quando ha trovato solo due “protetti” col mitico ‘pezzo di
carta’, e con l’ausilio del poliziotto ungherese Batizfalvy (loro
collaboratore) riesce comunque a portarsi via, quella mattina, centocinquanta
persone.
Centocinquanta – che avranno figli e nipoti.
L’ira funesta dell’ariano di turno non lo turba : faccia come vuole, dice, ma
tenga presente che farò rapporto a Veesenmayer , per questa mancanza di
rispetto verso cittadini protetti dalla Svezia.
Quando non hanno ordini, i nazisti vacillano.
Ha avuto il tempo di scrivere libri,
Per.
In questi racconta di se stesso e di quegli anni.
Un ricordo particolarmente doloroso viene dopo il bombardamento, da parte di
americani e russi, dei binari che devono condurre ai campi.
Eichmann non si scompone: che i ‘giudei’ marcino per quasi duecento chilometri,
fino alle seguente stazione.
È uno preciso, lui, mica bisogna scombinargli i piani.
A seguire la scia sofferente (ne moriranno diecimila, lungo il tragitto ), i
due legati svedesi in macchina, con le loro preziose carte (che stavolta non
serviranno) e cibo che termina in fretta.
Ricordi penosi.
Stanno arrivando le truppe sovietiche,
la madrepatria dice che è meglio tornare, ma loro, il loro gruppo, non lo fa.
Vogliono restare fino alla fine, tutelare quella moltitudine di individui che
altrimenti sarebbero perduti.
Avviene l’attimo: il dieci gennaio Per avvisa Raoul di proteggersi, di stare a
Buda, di fermarsi.
L’amico rifiuta e sette giorni dopo sparirà per sempre.
Lui e gli altri restano sotto “custodia” dei russi, fino a che da Mosca non
arriva il permesso di tornare all’ovile.
È l’aprile del 1945 : da qui in poi, Anger non smetterà mai di cercare
Wallenberg.
La sua vita prosegue con successo:
diplomatico in Australia, in Canada, alle Bahamas – paradisiaco.
È in gamba, nel proprio mestiere.
Ma non dimentica.
Non ci può, neanche quando diventa anziano.
Nel 1989 chiama il cancelliere tedesco Kohl: che contatti Gorbachev, che si
rilasci questo vecchio uomo, se in vita.
Nulla.
Allora va di persona, da Gorbachev: lo statista pare disinteressato, lascia
intendere di non avere alcun potere sul KGB , deve proprio essere ancora un
argomento fastidioso.
Il tempo guarisce ogni cosa – ma il
tempo ha un modo crudele e lentissimo, di stendersi verso il futuro.
Chissà quando finalmente si potrà
sapere.
EPILOGO DI UN CITTADINO ISRAELIANO
Muore nel 2002, serenamente e anziano,
Per Anger.
Amato e onorato da molti, con la sua gentilezza e umanità.
Ha ricevuto molti premi: è un Giusto Fra le Nazioni dal 1982, è stato insignito
del riconoscimento ungherese per quanto svolto presso di loro (1995), dal 2000
è cittadino onorario di Israele.
Ha avuto la meritata fama e felicità e
un lungo percorso, Anger.
Ma gli resta quel dolore, quel volto salutato in un gennaio antico, quel
consiglio non accettato.
Che ne è stato del suo amico?
Perché non dire la verità, infine?
Adesso avrà finalmente scoperto, cos’è
successo a Raoul.
Se puoi, dillo anche a noi.
L’ATTIMO
Raoul sta parlando con un uomo che
anche lui conosce.
Non che abbiano chissà che rapporto, ma ha presente chi sia.
Con Wallenberg è anche andato ai treni.
Deve avere più o meno la sua età, e anche lui sta tentando di salvare questa
povera gente.
È molto riservato, quasi guardingo, ma è veloce e abile.
Osserva i due che confabulano, staranno pensandone una della loro per strappare
alle grinfie naziste qualche nome in più.
Chissà che ne sarà di loro, di tutti
loro, alla fine della guerra.
Per Anger ha paura dei russi, e stanno arrivando.
Che accadrà a lui?, a Raoul?, allo straniero?
Lo straniero riuscirà a tornare a
casa.
Lo straniero salverà molta gente.
Lo straniero starà zitto per decenni, su quanto fatto – non cerca gloria.
Lo straniero è un italiano, nato sulle luminose sponde del lago di Como.
Giorgio Perlasca.
GIORGIO PERLASCA: IL GIUSTO SILENZIOSO
L’ATTIMO
Sono così diversi, i due svedesi:
Wallenberg ha un che di instancabile, una forza d’urto inesauribile.
Anger ha modi più dimessi, gentili, quasi delicati.
Non che lo conosca molto, ma ci si incrocia spesso, in questi giorni di
Budapest.
Il giovane Per probabilmente continuerà a essere un diplomatico per tutta la
vita, mentre lui, Giorgio, no.
Lui ha una storia diversa, un percorso strano, romanzesco, che parte da lontano
e non ti aspettavi arrivasse fino a qui.
Con la sua aria indolente, le palpebre
leggermente abbassate su uno sguardo che finge distacco, Perlasca è adesso
Jorge, alla spagnola.
Non per vezzo, ma perché gli serve.
È tutto successo nella sua testa, una trovata da folli, lì nella fossa dei
leoni.
Anger gli passa accanto, fa un cenno
di saluto e si allontana.
Lui invece aspetta l’altro, ché devono andare ai treni.
Giorgio non può immaginare che sarebbe stato proprio definito, nel futuro
lontano, il “Wallenberg italiano”.
Ma lui è Perlasca e basta.
PROLOGO DI UN FASCISTA DELUSO
I colori sul lago di Como sono sempre
morbidi, senza spigoli.
È lo sfrigolare della luce sulla superficie quieta dell’acqua, il riflesso
delle ville antiche che sprofondano lungo le rive – c’è armonia, in questo
posto.
Tutto l’anno, anche in gennaio, quando la primavera non si annuncia e il fiato
si vede respirando, nell’aria.
È il 31 gennaio del 1910, e il signor Carlo è felice: è nato Giorgio, suo
figlio.
Ma pur in questo scenario magnifico, la città lariana non è nel loro domani.
Pochi mesi dopo, il neonato si trasferisce con la famiglia nei pressi di
Padova, e lì cresce.
Dicono che essere ragazzi significhi
essere idealisti, avere passioni feroci senza mezze misure, talvolta non averle
nemmeno, le misure.
Che sia vero o no, Giorgio un amore travolgente e precoce l’ha: il Fascismo.
Ne è affascinato, totalmente preso, anzi, quasi avviluppato.
A tal punto da venire espulso da tutte le scuole del Regno per aver difeso, in
un diverbio con un professore, l’azione dannunziana a Fiume.
Ma non solo: per sottolineare la sua totale dedizione parte volontario, prima
in Africa Orientale, e poi come artigliere al fianco della spagna franchista.
Ma sono esperienze che cambiano,
soprattutto quando si stravolge anche l’ambiente attorno.
Sei ancora giovane, giovanissimo, e hai dato tanto alla ‘causa’.
Ritorni a casa, e scopri che non è più come pensavi.
A quanto pare, due i fattori che determinano un allontanamento di Perlasca dal
Fascismo: l’alleanza con Hitler (non molto tempo prima si è combattuto contro i
tedeschi, e nessuno pare ricordarsene) e le leggi razziali del 1938, che prospettano
un antisemitismo che Giorgio non può condividere.
La caduta di un credo, in un certo senso.
Quando il secondo conflitto mondiale
inizia, lui è impegnato a lavorare per la SAIB, azienda che si occupa di
importazione di carne bovina. È un agente che viaggia in alcuni stati dell’est
Europeo, come la Jugoslavia.
Quando avviene l’8 settembre (una data che diviene fatto storico), l’uomo è a
Budapest, e non volendo aderire alla Repubblica Sociale si ritrova internato
per dei mesi in una fortezza.
Ma, con la scaltrezza da italiano che è quasi notoriamente genetica, riesce a
fuggire durante il permesso per una visita medica.
E gli torna utile, essere stato a combattere in Spagna – il congedo gli ha
fornito delle carte che gli permettono di riparare nell’ambasciata spagnola.
Altrimenti, sarebbe probabilmente finito deportato, senza ritorno, come tutti
gli altri.
Finalmente al sicuro viene fornito
della sua nuova e simile identità: Jorge Perlasca.
E conosce il diplomatico Sanz Briz, impegnato anche lui a proteggere gli ebrei
ungheresi rilasciando salvacondotti e creando luoghi protetti sotto l’egida
della bandiera spagnola. Anche lui Giusto fra le Nazioni, coinvolge ‘Jorge’
nella propria attività di salvataggio, ma a un certo punto è obbligato a
lasciare la città.
Cosa succederà adesso?, che ne sarà delle persone salvate?
È qui che nasce l’eroe Perlasca.
Con un’intraprendenza improvvisa e sanguigna il nostro sostiene che Angel Sanz
Briz è momentaneamente coinvolto in un’importante missione, e lui ne è il
sostituto.
È l’unico modo per evitare che le case protette vengano sgomberate.
Nell’incertezza generale si arresta il rastrellamento.
Giorgio compila lui stesso le carte (con timbri e quanto altro) che lo
designano come ambasciatore – il Ministero non solleva alcun dubbio, sembra
ogni cosa regolare.
Strana evoluzione, quella del
convintissimo fascista che commercia in carni e ha combattuto per i principi
mussoliniani – eccolo ambasciatore spagnolo a Budapest.
Quando si dice che la vita è inesplicabile e imprevedibile!
Perlasca è con Wallenberg ai treni.
Perlasca porta cibo e quanto serve agli ebrei negli edifici protetti dalla
Spagna, ovviamente rilascia documenti salvifici che, in questo caso, si rifanno
a una legge di un decennio prima, che riconosceva la cittadinanza a chi fosse
discendente di ebrei sefarditi.
Gli ebrei sefarditi erano quelli che
vivevano nella Penisola Iberica.
Espulsi dai pii regnanti Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia si erano
diffusi in molte aree del Mediterraneo – una legge al momento giusto.
Jorge opera in un lasso di tempo breve:
dall’inizio del dicembre 1944 a metà gennaio del 1945.
Salva, in poche settimane, più di cinquemila esseri umani.
Ma arriva l’Armata Rossa e, come molti
altri, viene imprigionato – è fortunato, è una detenzione breve, che si
esaurisce in qualche giorno.
Ma tornare all’ovile non è semplice, e gli tocca una peripezia che, per farlo
approdare in Italia, passa per la Turchia.
EPILOGO DI UN EROE UMILE
Anche se non si rischia la vita per la
gloria di essere osannati come eroi, verrebbe naturale parlare di quanto fatto,
mentre si era via.
Ma dire “Sai cara, ero a commerciare in Ungheria” è ben diverso di un “Sai
cara, ho salvato migliaia di vite”.
Non ne parla, ‘Jorge’.
Nemmeno alla famiglia – fa qualche accenno in giro, non viene creduto, e lascia
perdere.
Va avanti con la propria esistenza,
come niente fosse, tranquillamente, senza alzare la voce, senza raccontare e
raccontarsi.
Diviene anziano, siamo negli anni Ottanta.
Se lui ha deciso che non ha senso pubblicizzarli, la pensano diversamente un
gruppo di ex adolescenti da lui aiutate, ungheresi che vivono ormai in Israele.
E che si mettono a cercare l’uomo che gli ha consentito di non morire
nell’Olocausto.
Arrivano nei pressi di Padova, e lui è lì.
Un’esplosione, deve essere, per chi lo
attornia: Giorgio Perlasca ha davvero rischiato, tra l’altro mentendo sulla
propria identità, per aiutare gli ebrei.
Lo Yad Vashem non attende oltre: nel settembre del 1989 lo proclama, proprio
lui, così quieto, così nascosto – un posto nel giardino dei gentili che hanno
salvato un popolo ferito.
Ma sono molti, i riconoscimenti: la Stella al Merito, la Medaglia d’Oro al
Valor Civile e diviene Grande Ufficiale della Repubblica.
Muore nell’estate del 1992.
Sulla propria lapide, in ebraico, poche parole: Giusto fra le Nazioni.
L’ATTIMO
Ci sono attimi che si possono anche
fantasticare.
La tomba di Giorgio, che spiega ciò che lui ha taciuto per mezzo secolo:
d’essere un Giusto.
I Giusti, che sono molti, ovunque,
spesso sconosciuti, sovente tragici.
Ma attorno alla sua lapide, simbolicamente, si può immaginare almeno gli altri,
gli altri di Budapest, quel faro in mezzo agli scogli, quello sparuto gruppo
che non si è fermato.
Wallenber, Anger, Sanza Brinz, Lutz e molti altri, evanescenti alla nostra
memoria eppure granitici con i loro gesti.
Chi salva una vita salva l’umanità.
Quando pochi nomi fanno la differenza,
una differenza incalcolabile.
La differenza di un’umanità intera.
Budapest - cortile della Sinagoga Dohany |
In ricordo dei Giusti
(foto di M. Zuffi)
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