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martedì 3 dicembre 2024

ANNA

 di Heiko H. Caimi


 

Anna si svegliò presto, come ogni giorno. La luce grigia di Milano filtrava attraverso la finestra della stanza condivisa che chiamava, con una punta di amara ironia, casa. Si stirò piano e raggiunse la cucina per farsi un caffè, attenta a non fare rumore: le sue coinquiline, Mara, Clara e Giulia, dormivano ancora. Era tornata a convivere, come ai tempi dell’università, ma senza la spensieratezza di allora. La convivenza a cinquant’anni non aveva nulla di romantico: era solo una misura disperata per sopravvivere agli affitti impossibili di una città che sembrava disprezzare chiunque non avesse un conto stellare in banca.


Quella mattina doveva andare in zona Ticinese, dove per vent’anni aveva vissuto in un appartamento che, seppur modesto, era stato il suo rifugio. Lì aveva costruito una vita, con i suoi ritmi semplici e il calore dei vicini, che ormai considerava una seconda famiglia.

Arrivò a destinazione e, per un attimo, il cuore le si fermò. Al posto del suo palazzo c’era una struttura moderna, un centro commerciale scintillante, tutto vetri e luci al neon. Luxury Mall, recitava la scritta dorata. Restò immobile, come se fosse stata colpita da un pugno allo stomaco.

Le scale che aveva salito ogni giorno, il piccolo balcone dove aveva coltivato basilico e menta, le serate passate a cucinare per sé e per i vicini… tutto spazzato via. Al loro posto, un trionfo di negozi di lusso e franchising internazionali.

Entrò, quasi ipnotizzata, spinta da una dolorosa curiosità. I pavimenti lucidi riflettevano le sue scarpe consunte. In un angolo, un negozio di articoli da cucina vendeva batterie di padelle e tegami che costavano più del suo stipendio mensile. Si immaginò, per un attimo, comprare una di quelle pentole per la mensa dove lavorava, servendo pasti semplici a ragazzini che divoravano tutto in pochi minuti.

Era tutto così surreale. Aveva perso la sua casa per questo. Per un centro commerciale. Non per un ospedale, non per una scuola, ma per un tempio del consumo. Era stata sfrattata per un simbolo del lusso che non le apparteneva e che di sicuro non l’avrebbe mai inclusa.

Si sedette su una panchina di design e lasciò che il groppo in gola si sciogliesse. Piangeva piano, con dignità, mentre attorno a lei i clienti sfogliavano cataloghi, sorseggiavano caffè da bicchieri eleganti e si scattavano sorridenti selfie con il nuovo sfondo brillante di Milano e con l’ultimo modello di iPhone.

Quando uscì, l’aria fredda le sferzò il viso. Tornò verso la fermata dell’autobus con un peso sul petto, ma anche una consapevolezza nuova. Milano non era più la città che aveva imparato ad amare, ma lei non avrebbe lasciato che la schiacciasse. Forse avrebbe trovato un modo per andarsene, forse no. Ma una cosa era certa: non sarebbe mai diventata spettatrice passiva della sua stessa vita.

Mentre tornava verso casa nell’affollatissima metropolitana, però, quello scatto d’orgoglio le sembrò puerile ripensando alla sua stanza quattro metri per quattro nell’appartamento condiviso. E lacrime silenziose cominciarono a scenderle inarrestabili.

 

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