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domenica 1 dicembre 2024

La ruota della vita

 di Mimma Zuffi 




L'alba. Lo stadio sembra, dall'alto, la costruzione  di un bimbo sulla sabbia, poi sono atterrita dalla grande ferita sulla montagna. Sulla dorsale si vedono colorarsi di rosa le case di un villaggio; alle spalle, giù sulla riva del mare, con tinte più dorate, un altro agglomerato di case, anch'esse vuote.  Scendo, cercando con occhi cauti di cogliere un segno di vita. Dove corre l'acqua sorgiva e s'abbeverava un gregge di capre dalle corna tortili e dal pelo nero che luccicava nella luce mattutina, zone di pascolo  anche nei tempi antichi, non vedo anima viva. 


Anche qui nessuno. Il sentiero è scabro, e domando a me stessa, salendo, se nella grotta ci sono ancora le fate, come avevo sentito dire anni fa. Ma rido di me stessa: questa affermazione non sembra andare d'accordo con l'uomo d'oggi. Ma quale uomo? Non c'è più nessuno. Le fate nei nostri giorni? Io, non le ho mai viste. Da qui passavano tanti turisti, tanto da diventare una sorta di grande albergo, e ciascuno aveva una mitologia personale. Fra questi gruppi di folla multicolore, la gente seguitava a vivere caparbiamente. Ora la folla non c'è più, la gente è ferma nella posizione in cui venne colta dalla nube nera. Sembra di vivere una favola, anzi un incubo anche se mi rendo conto  che sto attraversando la realtà, sola con me stessa. E' come se si fosse chiuso un ciclo: mi trovavo di fronte all'ira delle forze della natura che l'uomo ha liberato e non so se, io sola, riuscirò più a dominare. Ora so che la durata di questa Terra è relativa, vedo tutto lo spazio e il tempo passato e futuro come una cosa sola. Non  è più necessario chiamare le cose eterne, per poter lottare fino all'ultimo istante e godere la vita. Ma se voglio guardare le cose più semplicemente  e direttamente, posso sedermi su un sasso, quando il sole ha varcato il muro della montagna e va a tramontare dietro quel picco. La luce viene orizzontale e picchia sulle pietre grigie e azzurre, con totalità di specchio antico, con ferite di ruggine e sangue. Più in fondo le fronde degli alberi trascolorano, sempre nella mobilità incredibile della luce, dal verde oro al verde argento; cangiano anche le masse dei monti sempre più lievi: oro che dà sul viola, e dal viola al colore dell'uva nera pigiata. Vorrei sfuggire a tutto questo: sfuggire a questo mutamento - di cose e di sensazioni che dà le vertigini. Per quanto si resista, è impossibile non sentire, attorno a queste cose, un lembo di sacralità. Almeno questo: non rinnegare me stessa. E non mi meravigliai quando mi misi a scrivere il mio epitaffio perché nessun altro avrebbe potuto farlo:

Qui sta riposando Mimma e nessuno tra coloro che forse verranno si meravigli della sua morte perché la ruota della vita era passata su di lei!


1 commento:

  1. Aiuto! Non avrei mai il coraggio di immaginarmi morto. Almeno, non ancora. Preferisco delegare ai miei personaggi di affrontare la nerovestita signora.

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