(di Marisa Vidulli)
“DIO non poteva fare tutto allora ha creato la madre”proverbio ebraico
Spiega con calma che deve passare il confine per raggiungere il marito insegnante che l’ha preceduta a Pola, dove entrambi hanno vinto la cattedra. Lì l’aspetta anche la sua bimba di solo un anno. Ma il comandante non vuole sentire ragioni : "Siamo in guerra, si rende conto di cosa chiede? Le ragioni del cuore non esistono più, ora valgono solo quelle delle armi e fare giustizia… bla bla bla.”
Allora come spesso avviene a
chi è disperato la mente escogita un’astuzia un qualcosa che aiuti a trarsi
d’impaccio, a salvarsi la vita in questo caso. La giovane si ricorda le parole
in lingua slava studiate di malavoglia alla scuola italiana bilingue dove erano
d’obbligo e subito cambia atteggiamento e lingua, gli risponde in slavo
facendogli credere di essere dalla sua parte.
Usa molto la parola
giustizia ed esprime non più la sua disperazione ma recita la parte di chi è
caduto in un equivoco. "Si la resistenza è giusta; loro saranno vincitori
e giustizia sarà fatta. Lei vorrebbe tanto raggiungere marito e figlia per poi
tornare a dare una mano per la causa."
Nel frattempo alcuni
giovani, suoi ex scolari delle elementari, hanno riconosciuto la loro
giovanissima maestra di San Vincenti, Vera aveva iniziato ad insegnare in quel
paesino a soli diciassette anni, e con cautela perorano la sua causa.
La notte è fredda ed
assassina, come nella canzone, la giovane ha paura, non vede l’ora di
andarsene.
Nessuno saprà mai perché il
comandante l’abbia lasciata andare, fatto sta che il lasciapassare viene
concesso seduta stante e lei risale sulla bicicletta lasciando finalmente il
confine: si sente ancora addosso gli occhi di tutti quei soldati e comincia solo
ora a rendersi conto del gravissimo pericolo scampato.
Ricorda le orribili storie
che circolavano in paese sugli orrori perpetrati dai soldati, la tensione
nervosa che ha sotteso il suo coraggio l’abbandona all’improvviso, perle di
sudore le bagnano la fronte nonostante il freddo intenso, scende dalla
bicicletta e si appoggia al tronco di un albero respirando a pieni polmoni
l’umidità della notte.
Risale, il bosco le appare
minaccioso, la strada sterrata più faticosa mentre le pedalate accompagnano i battiti
del cuore: è conscia di andare verso la libertà!
Le gambe sono intorpidite
dalla stanchezza, ma non importa, tra poco, ventiquattro ore al massimo, potrà
riabbracciare lo sposo dai capelli rossi e la sua piccola Marisa con gli occhi
pervinca come i suoi. Il loro pensiero la sostiene, la paura piano piano
svanisce insieme al nodo che le attanagliava il petto, anche il corpo sembra
riacquistare vigore.
Questa donna era la mia
mamma: temeraria e ostinata, indomita e astuta all’occorrenza, dotata di grande
intelligenza, avvezza alle fatiche del corpo ed ai dolori dell’anima, e a cui
la vita non risparmiò proprio nulla. La sua mamma, la mia nonna materna, non
era invece riuscita a venire via dall’Istria dopo il trattato di Osimo che
arbitrariamente cedeva le terre italiane alla Iugoslavia, era rimasta nella sua
casa natia ed era morta poi nelle famigerate foibe, ma questa è una lunga
storia troppo triste per essere narrata.
Bello il racconto e bella la foto, me la immagino proprio così ;)
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