di
Sandra Romanelli
Van Gogh “Cipressi” dipinto ad olio
(1889 )
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Ho trascorso le vacanze nella campagna toscana, alloggiando presso
un agriturismo. Durante il giorno frequentavo le persone del luogo, soprattutto
quelle non più giovanissime perché amavo sentirle ricordare storie vere o anche
leggende legate al passato della loro terra. Rimanevo incantata dalle atmosfere che i loro racconti
riuscivano a suscitare, tanto da provare un forte desiderio di mettermi a
scrivere per inventare anch'io delle storie o per ricamare, con idee mie,
quelle ascoltate, mescolando il frutto di una narrazione tramandata a quello
della mia fantasia.
Ogni tanto prendevo la mia auto e, con il quaderno di appunti
posato sul sedile a fianco, iniziavo a girovagare per le stradine piene di
curve che circondano le colline. Mi piaceva lasciarmi affascinare dalla
bellezza di un paesaggio silenzioso e tranquillo, inusuale per una persona,
come me, abituata a vivere lontano dalla natura, nel traffico frenetico di una
metropoli come Milano.
Lì, nella campagna toscana, ogni albero, ogni collina, ha una
storia e ogni strada diventa una piacevole scoperta, perché non sai dove ti
porterà. Potresti percorrere un lungo tratto tra filari di cipressi e
ritrovarti alla fine davanti all'ingresso di una villa signorile; oppure, dopo
una serie di curve sinuose, scorgere in lontananza un casale abbandonato, in
mezzo a splendide e ondulate colline.
È stato
durante uno di questi ripetuti vagabondaggi che ho scoperto, proprio in cima a
un dolce e vellutato colle, due strani cipressi, uno più alto e uno più
piccolo, molto vicini tra loro.
Paesaggio toscano |
In quel
paesaggio potevano non rappresentare
nulla di strano o di particolare se non fosse stato per la loro
posizione. Infatti i cipressi, spesso
posizionati in filari ben distanziati,
hanno un alto fusto diritto avvolto dai rami che cercano di elevarsi verso il cielo. Questi due invece
erano troppo vicini, le fronde verdi si intrecciavano tra loro, anzi sembravano
avviluppati in un abbraccio; ma mentre quello piccolo si elevava verso l’alto,
quello grande, come a voler circondare
il piccolo, piegava i suoi rami in giù, non come un cipresso, ma quasi come un
salice piangente.
Questa
circostanza mi incuriosiva molto e un giorno, abbandonata la mia auto al bordo
della strada, decisi di inerpicarmi su
per la collina, per osservarli meglio.
Raggiunta la cima, ansimando un
po’ per la salita, mi sembrò di sentire aleggiare intorno un altro respiro,
oltre al mio. Cercai di guardarmi
intorno, ma non c’era nessuno. Forse era il rumore del vento.
Mi sedetti sull’erba, di fronte a quei due strani alberi.
C’era un
muretto in pietra, vi appoggiai la schiena e, ispirata dal luogo e dal
paesaggio, presi il mio quaderno e iniziai a scrivere.
Era un tiepido pomeriggio, c’era vento lassù, ma non tanto, solo
quel poco che bastava ad accarezzarmi le membra e ad alleviare la stanchezza
per la salita. Mentre il cielo si dipingeva di blu, con sfumature di rosso, mi
ritrovai, con la fantasia, dentro una grande casa colonica...
In quell' immensa dimora abitava un’ anziana madre con tre figlie:
Fiorella, Margherita e Camilla. Le quattro donne vivevano sole senza uomini: il padre era morto qualche
anno prima e i mariti di Margherita e Fiorella
erano al fronte, in guerra. I figli maschi della donna, invece, avevano
scelto due strade molto diverse tra loro: Gualtiero combatteva da partigiano;
Anselmo si era arruolato nell’esercito, ma non aveva più dato notizie ed era
considerato disperso. Camilla non era
sposata.
Le sorelle aiutavano la madre a mandare avanti l'azienda agricola,
in cui
ognuna faceva anche i lavori maschili. Così le potevi vedere alla
guida di una macchina agricola o a vangare i loro vigneti. Erano donne abituate
a lavorare all’aperto, forti e fisicamente robuste. Solo Camilla rimaneva sempre in casa, non la
si vedeva mai nei campi. Era la più giovane, aveva una pelle chiara e
trasparente, era più bella, più delicata, ma anche più raffinata delle sorelle,
amava leggere e scrivere, ma sapeva
anche cucire e ricamare. Per queste
caratteristiche, Camilla fu notata da una nobile signora, la contessa
Orengo, la quale la volle come dama di compagnia.
Fu così che la ragazza
lasciò la casa materna per andare a vivere in una villa bellissima, dove stava
bene, ma non era così libera come a casa sua; e non era protetta dall’amore di
sua madre e delle sorelle, ma soggetta alle richieste di una “padrona”, seppur
gentile.
In
quell’ambiente elegante, ma freddo e austero, dove anche la servitù manteneva
un contegno inflessibile, Camilla conobbe Guido, il figlio della contessa, un
ragazzo per lei speciale, pieno di attenzioni nei suoi confronti. Guido colmò
il vuoto affettivo che Camilla provava in quella casa e forse fu per questo
motivo che si innamorò di lui.
La loro
storia, per motivi di rango, venne tenuta segreta finchè la giovane potè farlo,
ma quando l’evidenza non lo consentì più, perché Camilla rimase incinta, la
contessa Orengo fu informata da Guido, il quale decise di assumersi le sue
responsabilità.
La
contessa aveva però altri progetti per lui: voleva che sposasse la figlia della
vedova Malinverni, una ricca
proprietaria terriera. A
malincuore quindi decise di sottostare ai desideri del figlio. Tuttavia i suoi rapporti con Camilla
cambiarono, perché se prima della gravidanza erano gentili ma un po’ freddi, in
seguito divennero assolutamente gelidi.
Qualche mese più tardi Guido fu costretto, come tutti i suoi
coetanei, a partire per andare a combattere, ma
promise alla ragazza che dopo la nascita del bambino sarebbe tornato a
casa e l’avrebbe sposata. La giovane trascorse così il resto dei nove mesi
della gravidanza, allietata solo dalle
fugaci visite di sua madre e delle sorelle, le quali erano sopportate più che accettate dalla contessa.
La madre le aveva proposto, durante il periodo
della gravidanza, di tornare ad abitare nella casa colonica insieme a loro;
quel bambino sarebbe stato il primo
nipotino ad arrivare nella loro famiglia, al momento composta da sole donne e
tutte loro erano disposte a prendersene cura, ma Camilla temeva che se avesse
lasciato la villa sarebbe stato più difficile poi, tornarvi da sposa. A questo
punto la giovane era confortata solo
dalla promessa di matrimonio di Guido e viveva per il suo ritorno.
Cominciò
così, mentre Guido era al fronte, una fitta corrispondenza tra i due
innamorati, ma non tutte le lettere che lui le inviava arrivavano a destinazione. Spesso la posta
veniva intercettata dalla contessa la quale non gliela consegnava neppure.
Tuttavia la ragazza viveva nella gioia dell’attesa del suo bambino e del ritorno di Guido, con la speranza di
vedere la fine di ogni preoccupazione.
E
finalmente il giorno della nascita arrivò!
Nacque
un maschio bellissimo. Appena venne alla luce, il suo pianto riecheggiò per
tutta la villa. La levatrice disse che era un bambino sano e perfetto. Camilla
se lo strinse al petto, gonfio di latte, e il bimbo si attaccò con voracità.
La
contessa Orengo dapprima non voleva neanche vederlo, ma quando Camilla la pregò
di prenderlo in braccio, accadde qualcosa di inspiegabile nell’animo di quella
donna austera: il bambino le sorrise e lei, pervasa da una gioia inaspettata,
ricambiò il sorriso.
Finalmente adesso l’austera signora pareva contenta di quella
nascita che aveva portato un po’ di allegria nell’antica dimora, e permise alla
madre e alle sorelle di venire ogni giorno alla villa per aiutare Camilla ad
accudire il bambino che fortunatamente cresceva bene.
Guido riuscì ad ottenere una breve licenza e tornò felicemente a
casa.
Quando il giovane padre vide suo figlio, lo sollevò al cielo
ringraziando Dio per quel dono prezioso. Con quell’atto, Camilla sentì che
tutte le sue difficoltà e le tristezze fino ad allora vissute, sparivano di
colpo; poi l’uomo si rivolse alla madre, raccomandandole di cercare una balia o una governante esperta
che aiutasse la giovane mamma; nel frattempo fece promettere alla madre e alle
sorelle di Camilla di continuare a frequentare la villa, eventualmente di
alternarsi per stare vicino a mamma e bambino.
Poi
Guido ripartì dopo aver promesso alla sua innamorata che sarebbe ritornato
presto per fare celebrare le nozze.
Dopo
alcuni giorni dalla partenza del figlio, anche la contessa Orengo dovette
mettersi in viaggio verso la Maremma per raggiungere la sorella che non stava
bene. Prima di partire aveva parlato con una giovane balia che avrebbe dovuto
aiutare Camilla nella cura del bambino. La donna doveva presentarsi alla villa
entro tre giorni.
Il giorno dopo invece si presentò
una donna anziana. Disse di
essere lei la governante scelta dalla contessa per accudire il bambino. Era
invece una vecchia domestica della Malinverni, la ricca proprietaria terriera,
la quale aveva inviato quella donna alla villa con le peggiori intenzioni.
Quella nascita infatti faceva andare in fumo la promessa di matrimonio della
figlia con Guido, il figlio della contessa.
A Camilla non piacque quella persona, ne parlò con la madre la
quale si accorse che in effetti la donna era maldestra, non sembrava capace di
compiere i compiti che dovevano risultare semplici e normali a una balia,
perciò promise alla figlia che si sarebbe informata per scoprire se fosse
veramente quella la persona scelta dalla
contessa.
La
mattina seguente, infatti, la mamma di Camilla uscì presto per iniziare le sue
indagini, ma prima volle far visita alla figlia.
Quando
entrò nella villa si accorse che c’era uno strano silenzio. Non vide nessuno
della servitù. Chiamò la figlia, ma lei non rispose. La cercò in ogni stanza,
fino ad arrivare alla sua camera da letto. La trovò lì, ancora addormentata
accanto al suo bambino, cercò la governante: era sparita. Allora aprì le tende
per far luce nella stanza e cercò di svegliare la puerpera.
Camilla faceva fatica a svegliarsi, come se fosse
immersa in un sonno innaturale, poi quando finalmente aprì gli occhi vide il suo bambino accanto a lei, lì nel suo
letto. Si meravigliò che non fosse nella
culla e lo prese tra le braccia, ma si accorse subito, con orrore, che
il bimbo era cianotico e non respirava. Alzò le sue piccole braccia, ma queste
ricaddero giù, senza vita.
Fu
presa da un senso di paura e di disperazione che non l’abbandonarono mai più.
***
La
contessa Orengo, informata dell’accaduto, anticipò il suo ritorno, ma fu dura e
inflessibile con Camilla che aveva permesso a un’ estranea di introdursi nella
loro dimora e, ritenendola inconsciamente responsabile di quell’evento
doloroso, le ordinò di lasciare la villa.
Camilla
volle seppellire il corpo del bambino nel piccolo cimitero situato in cima alla
collina che sovrastava il casolare della
sua famiglia, dove purtroppo fu costretta a tornare. Più volte pregò Dio di prendere anche la sua vita, per essere
interrata accanto al figlio che non poteva più stringere tra le braccia.
Continuò invece a vivere nella casa colonica, chiusa nella sua stanza come una
reclusa o come una malata.
Guido,
il padre del bambino, restò a combattere
fino a che la guerra non finì, ma quando tutti tornarono a casa, lui andò due o tre volte a far visita a Camilla,
poi non la cercò più e lei annegò, ogni giorno di più, in una sorta di vita non
vissuta. Le pareva di sentire il battito del cuore, solo quando saliva in cima
a quella collina e restava vicino al tumulo della sua creatura, come se il suo
cuore di donna non fosse più dentro il suo petto, ma lì, interrato insieme al
bambino.
Tornarono
dalla guerra anche i fratelli, Gualtiero e Anselmo e poi i mariti di Fiorella e
di Margherita.
Dopo
qualche anno i fratelli si sposarono e andarono a vivere non lontano dalla casa
colonica.
Le sorelle ebbero entrambe un figlio. Per loro, Camilla cuciva e
ricamava graziosi vestitini, ma quando prendeva in braccio i bambini il suo pensiero tornava alla tragica fine del
suo piccolo e al dolore che la straziava ancora.
Cadde
così in una sorte di disperazione che la
condusse alla malattia, e poi alla
morte. Le sorelle e i fratelli vollero seppellirla accanto al corpo
della sua creatura, l’unico luogo dove
Camilla era andata ogni giorno per cercare di dare un senso alle sue
giornate vuote. In quel luogo, oltre alle croci, piantarono due alberi: due cipressi, per non
dimenticare.
***
Passarono
gli anni e col tempo la casa colonica fu abbandonata e cadde in rovina.
Il
piccolo cimitero là sulla collina, dov’erano i tumuli di Camilla e del suo
piccolo, divenne sconsacrato, ma restarono i due cipressi che i fratelli
avevano piantato, in ricordo di quelle tragiche morti. Uno aveva il fusto più alto e uno più piccolo, ma con
il passare del tempo i rami cominciarono a intrecciarsi tra loro,
come fossero stretti in un abbraccio.
In
seguito la proprietà del casolare venne acquistata da un costruttore che si
impossessò di tutta la collina. L’uomo decise di abbattere la casa colonica e
di adibire il vecchio cimitero ad altro
uso.
Cominciò così a togliere le poche lapidi rimaste e a ripulire lo
spazio di sassi e sterpaglie. Infine decise di abbattere anche i due alberi, poiché riteneva che non fossero belli
da vedere due cipressi che non rispettavano le consuete forme estetiche.
Ma
prima di iniziare il suo progetto, il costruttore ordinò di scavare nel luogo
dov’erano radicati i due alberi e si scoprì, con raccapriccio, che le radici
avvolgevano due feretri, di un adulto e
di un bambino, sepolti uno accanto
all’altro.
Fece
allora ricoprire tutto, meravigliato dalla magia di quella scoperta e decise di
lasciarli lì per sempre, in quello spazio
in cima alla collina.
Ad un tratto sentii una voce che pronunciava il mio nome. Mi alzai e
girandomi vidi Sauro, il proprietario dell’agriturismo presso cui alloggiavo.
Aveva visto la mia auto parcheggiata ai
bordi della strada ed era venuto fin lassù
a cercarmi. Nello scendere insieme giù dalla collina, gli raccontai la
storia che avevo appena terminato di scrivere.
- Questa è
una storia di pura fantasia, ma i
personaggi della casa colonica che tu hai descritto sono proprio quelli della
mia famiglia. – mi disse sorpreso-. Ed è realtà anche la tragica morte del
bambino e di Camilla, sorella di mio nonno. Io sono il nipote di Gualtiero.
Complimenti per il racconto, ispirazione suggestiva e romantica.
RispondiEliminaMaria
Grazie, Maria, per gli stupendi aggettivi!
RispondiEliminaSandra
Il tuo racconto, Sandra, è bellissimo. Mi è piaciuto molto. Grazie. Buona giornata.
RispondiEliminaGabriella
Grazie a te, Gabriella. Cari saluti.
RispondiEliminaSandra