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lunedì 9 dicembre 2024

Profezia

 

Profezia, di Nivangio Siovara

 di Nivangio Siovara


   







            


           (Fotografia di Charly Gutmann)

«Vieni qui subito a vedere cosa!» esclamò la signora Cistra, più allarmata del solito. Ciò che fece accorrere immediatamente il marito fu quel tono insolitamente aspro: infatti non c’era, nella voce, quel fondo d’affettuosa preoccupazione di quando, ad esempio, lo invitava per mostrargli, tremante d’ansia ma percettibilmente fiera, fin dove era salito il gatto sul pino. Possibile che lo chiamasse solo perché vedesse il temporale che stava arrivando?
Coprendosi la bocca con le mani, lei disse:
«C’è uno di quelli, là fuori, che guarda la casa.»
«Ma cosa stai dicendo? Quali, quelli?»
«Uno di loro, uno di quelli che si vedono sempre al telegiornale… I disperati!»
«I… Mah. Fammi guardare.»
Il Signor Cistra si accostò alla moglie. Anche lui, pur controvoglia, cacciò gli occhi attraverso le fessure della tapparella. Sfiorato appena dal cono di luce d’un lampione poco lontano, un uomo di colore, accigliato, stava seduto sul bordo del marciapiede, a due passi dal cancello delimitante il passaggio che conduceva alla villa.
«È così scuro che quasi non lo si nota, ma io, ecco insomma… eccolo lì.»
«Ma come fai a vederlo così bene senza occhiali?»
«Eh, cosa ti posso dire… sarà la paura!»
«Beh, questa la dobbiamo suggerire al tuo oculista.»
«Non divagare! Lo vedi chi c’è laggiù, insomma?»
«Già, sì. Ma… beh… adesso cerchiamo di non agitarci troppo senza motivo, eh? È solo un po’ stanco, magari, si starà riposando un attimo. È possibile, no?»
«Ma cos’avranno da essere sempre così stanchi, questi? E poi mi verrai a dire che è per caso che s’è piazzato esattamente qui davanti. Da quando è zona di passaggio, questa? Per andare dove? Sta anche incominciando a piovere, che se ne torni a casa!»
«Si sarà perso. Insomma, è abbastanza ovvio che non sia di qua.»
«Ma certo! Cioè, tu praticamente mi stai dicendo che questo stamattina è uscito di casa, da casa sua nell’Africa Nera, profonda, scura… e stasera – un po’ stanchino – s’è venuto a perdere proprio qui. E poi perché, secondo te, continua a fissare in quel modo la nostra casa? Lo vedi anche tu, no? Non me lo sto mica sognando. Guarda come è attento, come la studia.»
«Sì, beh, c’è anche da dire che non c’è nient’altro nei dintorni. Cosa vuoi che guardi?»


«Tu vuoi sempre sminuire, a te interessa solo farti i fatti tuoi. Se io avessi ascoltato te, non avrei chiamato i pompieri e il nostro Puppy a quest’ora, sarebbe ancora arpionato a quel ramo, secco come una pigna. Vuoi continuare a farti i fatti tuoi? Bene, sacrosanto. Ma questo è un fatto tuo, deve interessarti. E anzi, ti dirò di più: se vuoi continuare ad avere fatti, è meglio che te ne occupi subito, prima che sia tardi.»
«Facciamo così, per adesso: accendo la luce così vede che c’è gente e se mai avesse davvero strane idee in testa vedi che gli passano subito.»
«No! Così perderemmo il nostro vantaggio. Lui non lo sa che lo stiamo guardando.»Aspetta… cosa fa? Pare che si muova. Armeggia con un telefono, sembra.»
«Ah, quelli, poi, non mancano mai. Muoiono di fame ma c’hanno sempre il telefono ultimo modello.»
«Ma da quando riesci a riconoscere i modelli dei…»
«Zitto un attimo! Riesci a sentire quello che dice?»
«Figurati! Riesco a sentire a malapena te, cosa vuoi che senta lui? E poi mica parlo il bantù.»
«Che roba. Che roba tremenda. Vedi te se due poveri vecchietti malati come noi devono subire di queste angherie, devono prendersi di queste paure.»
«Sembra arrabbiato. Cosa avrà da essere così arrabbiato? Sì, a star sotto all’acqua così, m’arrabbierei anch’io, in effetti.»
«Tu una tetto te lo sei guadagnato.»
«Forse avrà fame.»
«Hanno sempre fame, son sempre lì che chiedono da mangiare. Sono senza fondo.»
«Anche Puppy quand’è arrivato era intimorito, s’era perduto, aveva fame. Pioveva, tra l’altro.»
Lei lo misurò con uno sguardo che lui capì subito non avrebbe mai dimenticato.
«Farò finta di non averti sentito. Piuttosto, dai, di’: pensi sia il caso di chiamare qualcuno?»
«Tipo?»
«Tipo la polizia, ad esempio.»
«Sì, bel colpo, quello. E cosa gli diciamo secondo te? Che c’è un uomo seduto sul marciapiede davanti a casa? Che parla al cellulare? Guarda poi che per queste cose vai a finire nei casini tu che hai chiamato per niente, lo sai com’è, li proteggono. Finché non entrano a sgozzarti non possono far niente. E se poi fai venire qui degli agenti che magari lo fermano giusto per fare un controllo, quello diventa cattivo e torna a farti del male davvero. E i poliziotti, se li hai chiamati senza ragione, poi non tornano più.»
«Ma cos’è? Pierino e il lupo?»
«Io Pierino non l’avrei sentito chiamare neppure la prima volta, gli passava la voglia di scherzare.»
«Va bene, aspettiamo. È pazzesco che si debba star qui a sperare che faccia qualche passo falso per potere avere dell’aiuto. Ma aspettiamo. Dio, ho paura da morire, sul serio. Mi sento in trappola.»
Il Signor Cistra si grattò la testa calva e incominciò a pensare che forse, tutto sommato, un po’ di paura incominciava ad averla anche lui. Lei, come illuminata, gli rivolse una richiesta:
«Ma non potresti chiamare nostro figlio?»
«Non ti ricordi che è in Africa per la ditta?»
«Oh, Signore, è vero. Ma cosa ce lo mandi a fare, insomma?»
«Lo sai che in quei posti c’abbiamo fatto parecchi soldi, negli ultimi anni.»
«È assurdo, non lo capirò mai! Non c’è niente, laggiù.»
«Appunto. Se in un posto non c’è niente ma ci sono molte persone ci puoi fare un sacco di soldi. Onestamente. Non è come in un posto dove ci sono molte cose e poche persone, dove è facile arricchirsi rubando. Sono altre zone, non abbiamo l’appalto.»
«Come per casa nostra.»
«Come?»
«Tanta roba e solo due persone.»
«Più o meno.»
«Si muove!»
Infatti l’uomo s’era alzato e dopo essersi guardato in giro aveva provato a controllare, spingendolo con la forza, che il cancellino d’ingresso non fosse aperto.
«Oddio! Ci siamo!»
«Sì, l’ho visto, l’ho visto anch’io. Ma tranquilla, non t’agitare. È chiuso, non può entrare.»
«Ma cosa gli ci vuole? Hai visto che fisico hanno? Scavalca in due secondi e viene qui, sfonda una finestra e se ci trova c’ammazza! È possibile che non ti venga nemmeno un’idea, insomma?»
«Abbassa la voce, o ti sentirà.»
«Ma ho la voce bassa!»
«E allora perché ti sento così bene?»
«Ma se non hai nemmeno l’apparecchio!»
«Non ho l’apparecchio? No, non ce l’ho… Va bene, ma tu non t’agitare così, che poi stai male. Vado a prenderti le medicine. E l’apparecchio.»
«Ma prendi la pistola, piuttosto!»
«La pistola?»
«Sì, sì, sì! Cosa me ne faccio delle medicine? Gliele sparo con una fionda? La pistola adesso mi farebbe stare tranquilla, altro che pastiglie! La legittima difesa!»
«Vado. Ma tu tienilo d’occhio, mi raccomando. E chiama subito se succede qualcosa, che arrivo di corsa. Urla!»
Constatato che il cancello proprio non voleva saperne d’aprirsi, l’uomo aveva dato ulteriori segni d’agitazione. S’era mosso nervosamente avanti e indietro lungo il recinto, sempre scrutando minacciosamente nel buio delle finestre chiuse. Scuotendo la testa aveva allargato lentamente le braccia diverse volte e spesso s’era tastato istericamente le tasche in cerca di chissà cosa potesse tornargli utile allo scopo d’entrare. Poi aveva ripreso in mano il telefono. Evidentemente stavolta nessuno gli aveva risposto perché, ancor più adirato, dopo aver mimato il gesto di volerlo gettare con violenza, se l’era rimesso in tasca. Infine s’era nuovamente seduto, tenendosi la testa fra le mani sotto alla pioggia che si faceva sempre più insistente.
Giunse intanto alle orecchie della Signora Cistra, da una stanza vicina, la voce del marito:
«Cara, ma hai spostato delle cose?»
«Quali cose? Ho fatto le pulizie, come al solito.»
«Nell’armadietto non ci sono le medicine. E al posto della pistola, nel cassetto, c’è un giocattolo.»
«Un giocattolo?»
«Sì, un modellino, una barchetta.»
«Non ci sono barchette, in casa. Il tuo cervello fa cose che non riesco più nemmeno a immaginare, caro mio. Ma accendi la luce, no? E prova a guardare meglio. Chissà dove sei andato a rovistare, chissà cosa, poveri noi… che brutto diventar vecchi… E fai presto, per Dio!»
Ma lo fece tornare subito da sé:
«Aspetta! Vieni qui! Si muove ancora!»
«Sì, è vero. Sta parlando con qualcuno? O è impazzito? Parla da solo.»
«Ma figurati! Va’, prendi qualcosa, una spranga, non so… la legittima difesa. Lo sai, no? È notte, è la nostra proprietà, siamo spaventati. Vuoi che mi violentino?»
Non parlava da solo, l’uomo. All’improvviso dall’oscurità era sbucato un ragazzo. Avevano dialogato brevemente e s’erano entrambi seduti sul gradino sotto la pioggia battente a osservare la casa con uno sguardo tetro e fermo.
«Ecco, sono arrivati i rinforzi!»
«Non s’accende la luce, maledizione!»
«Si sarà bruciata la lampadina…»
«No, non s’accende niente.»
«Ma cosa stai dicendo?»
«Quello che è: non funziona niente!»
«Oh, Dio. Avranno staccato la corrente. Ma sì, certo, per la faccenda degli allarmi. Adesso sì che siamo fritti. Cosa facciamo? Senti, chiama la polizia, giunti a questo punto non importa che se la prendano con noi, chiamala!»
«Sì, sì, hai ragione, adesso è proprio arrivato il momento, perché se fosse per il temporale si sarebbe spento anche il lampione lì fuori.»
Il ragazzo s’appoggiò allo steccato e, sollevata una gamba, fece vedere d’essere tranquillamente in grado di scavalcarlo. L’uomo gli fece cenno di stare tranquillo, poi lo richiamò a sé con un gesto che significava: Tanto non serve a niente, aspetta.
«Cara… non c’è neppure il telefono.»
«Ma cosa significa, vecchio pazzo? È lì, al solito posto… vedi?No… hai ragione… non c’è…»
«Sai cosa ti dico? Che forse sono stati già qui, chissà quando, oggi pomeriggio, già, mentre eravamo in paese a fare la spesa. Per prepararci una trappola. Si sono presi il telefono, la pistola, c’hanno staccato la corrente. E adesso, tranquillamente entreranno qui dentro e faranno tutto ciò che vogliono.»
«Vieni, corri, vieni a vedere subito!»
Dalla boscaglia erano apparse altre due figure. Una donna e una bambina. L’uomo sembrava molto arrabbiato con la donna, s’agitava sbracciandosi. La donna gli faceva segno di stare calmo, di non prendersela tanto e che non era certo colpa sua.
«Ma cos’è? Con una bambina? Sono pazzi? Cosa credono di fare? Con questo tempo! Vogliono ammazzarla? Guarda, è fradicia. Roba da assistenti sociali.»
I quattro si avviarono verso la casa. Arrivati al cancello la donna si tolse qualcosa dalla tasca. Chiavi. Un mazzo di chiavi. Ne infilò una nel cancello e aprì.
«Ma certo! Stupidi che siamo! Se sono stati qui oggi e hanno preso la pistola e il telefono possono benissimo aver trovato anche il mazzo di chiavi di riserva. Cosa facciamo?»
«Dobbiamo scappare, nasconderci. Giù, in cantina, presto!»

I due vecchi fuggirono più velocemente che poterono fino allo scantinato e si rifugiarono dietro ad un grosso mobile polveroso.
«Non era in sala, questo? Che ci fa, qui?»
«Non importa, Cristo Santo! Stai zitta, ora, zitta!»
Attraverso il soffitto penetrarono un tramestio di passi, e un confuso vociare. Porte che sbattevano, rubinetti che si aprivano.
«Ma cosa fanno, non si sono già lavati abbastanza?»
«E cosa vuoi che ne sappia, io? Sto pensando a come facciamo a uscire da qui, io e te.»
«E come? Dillo anche a me.»
«Per adesso stiamo zitti e aspettiamo.»
«Ma come fai a stare così tranquillo mentre ci stanno portando via le nostre cose? Poi bisognerà far disinfettare i muri, addirittura. Per non parlare dei pavimenti, sarà tutto allagato, c’avranno portato il mare in casa!»
«In ogni caso noi ora non possiamo proprio farci niente. L’unica cosa è sperare che non ci trovino, capito? Questa è gente senza scrupoli. Non vedi? Vanno a saccheggiare le case accompagnati da una bambina e un ragazzino, è roba veramente da mostri! Altro che dire che hanno una cultura diversa dalla nostra. Cosa sarebbe, cultura, questa? Te lo ripeto: l’unica cosa che possiamo sperare è di salvarci la pelle, per il resto siamo assicurati.»
«Sì, è il valore affettivo? Ci sono cose, lì dentro, che ci passiamo da generazioni, nella mia famiglia.»
«Ma non capisci? Appena saranno fuori di qui, chiamiamo la polizia. È un gruppo di quattro persone, le abbiamo viste tutte in faccia, hanno persino una bambina, dietro. Li beccano in due secondi quando non avranno avuto neppure il tempo di riguardarsela, la refurtiva.»
«Tesoro…»
«Per cosa piangi, adesso?»
«Per il mio anello. Quello con il simbolo della pace fatto di brillanti. Quello che la nonna ha passato a mia mamma e mia mamma a me. Non ricordo perché, ma… vedi? Che strano, non l’ho messo, oggi, maledizione. L’avrò lasciato sul comodino e me lo staranno rubando, capisci? Me lo porteranno via per sempre! È la cosa più cara che ho…»
«Non piangere, non piangere e stai zitta, ora. Cosa posso farci, io? Stiamo in silenzio e aspettiamo.»
Tra soffocati singhiozzi di pianto la Signora Cistra ripeteva “il mio anello, il mio anello”, mentre il marito rimase a lungo in silenzio, immobile, senza nemmeno sbattere le palpebre, per sicurezza. Da sopra, nel frattempo, s’era sentito di tutto: tonfi, richiami, risate persino. Oggetti che venivano trascinati. E a ogni rumore la Signora veniva scossa da un singhiozzo più profondo: lei sapeva bene cosa quel particolare suono significava, lei sapeva bene che cosa le stavano portando via. E a ogni rumore lo sguardo di lui diventava più cupo e più fermo. All’improvviso quei suoni parvero interrompersi del tutto, da un momento all’altro.
«Per tranquillità aspetto ancora cinque minuti e poi vado su a vedere. Io dico che se ne sono andati.»
«Sì…sì.»
«Adesso.»
Mentre se ne andava lei gli sfiorò una mano serrando le labbra e poi si fece piccola dietro al mobile, pietrificata dalla paura, in preghiera. Osservò l’ombra del marito risalire le scale della cantina e ancora, silenziosamente, pianse.
Passò così molto, troppo tempo. Il Signor Cistra non ritornava. Quando lei ebbe il coraggio di riaprire gli occhi però, finalmente, se lo ritrovò davanti.
«Allora?»
«Non se ne sono andati, tesoro.»
«Cosa… cosa vuol dire?»
«Ho esplorato il piano terra. Non c’era nessuno e tutto era in ordine, così ho pensato di andare su a dare un’occhiata. Al primo piano ho sentito dei piccoli rumori. E… stai tranquilla, ti prego, sappi che non ha proprio senso agitarsi ulteriormente, ormai. Nella nostra stanza da letto ci sono loro. L’uomo e la donna. La bambina dorme lì in mezzo, si tiene stretta al collo del papà, tutta rannicchiata. Vedessi che tenerezza, sembra che sorrida nel sonno, ti dico. E la donna, cara, t’assomiglia in un modo indicibile, sembra te.»
«Ma sei impazzito, dunque? È nera!»
«Sì, sì, è decisamente nera. Ma è la fotocopia di te quando avevi sui trent’anni.»
«Cosa stai dicendo, idiota?»
«Porta il tuo anello.»
«Lo sapevo! Il mio anello! Ah! Ora basta, usciamo. Corriamo a chiamare la polizia, così li sorprenderanno nel sonno. Li abbiamo fatti fessi, quegli scemi. Si sa che non sono tanto intelligenti. Avranno pensato che noi eravamo andati chissà dove a svernare come dei decrepiti uccellacci del malaugurio.»
«Aspetta, però, non ho finito. Ho fatto marcia indietro dalla camera da letto per tornare qui da te quando il ragazzino è uscito da una stanza, all’improvviso, forse stava andando in bagno. Ho cercato di nascondermi ma non ne ho avuto il tempo.»
«Dunque ti ha visto.»
«Ha allungato, nel buio, un braccio per far scattare l’interruttore che avevo alle spalle.»
«Allora t’ha toccato.»
«No, ha acceso la luce.»
La signora fu scossa da un tremito.
«Sei venuto giù a raccontarmi una stupida storia dell’orrore, vecchio rimbambito? Mi fa paura la tua intenzione, tremo per questo, non per la storia, sappilo. Guarda te se in un momento del genere…»
«Credo che siamo fantasmi, cara, o qualcosa giù di lì.»
«Fantasmi.»
«Siamo passati. E chissà da quanto, poi. Hai visto, no? Non abbiamo avuto bisogno delle nostre medicine. Eppure stiamo bene. Io senza le mie pastiglie non mi reggo in piedi, di solito, e adesso mi sento pieno d’energia. E sento tutto così bene.»
«Anch’io. Anch’io sto bene. Se mi ci fai pensare devo dire che sto proprio da Dio. E ci vedo così bene. Posso salire? Voglio vedere anch’io.»
«Ma certo, vieni, t’accompagno. Ma fai piano: dormono.»
Non ricordarono mai, in seguito, d’aver fatto le scale. Semplicemente si ritrovarono davanti al letto matrimoniale. Osservarono a lungo quei tre senza sapere che dire. La signora pensò che la bambina fosse dolcissima e che assomigliava al marito, tanto che lui fece non poca fatica a impedirle di catapultarsi nel letto per “sbaciucchiarla”, come lei minacciò ripetutamente di fare. E quella donna, sì, lo doveva ammettere: era identica a lei, una gemella scura. In quanto all’anello, era sicuramente il suo. Un po’ invecchiato, forse, ma senz’altro quello.
Un rumore, all’improvviso, lacerò bruscamente la quiete di quella scena. Sembrava che qualcosa fosse stato scagliato contro alla finestra. La donna di colore si alzò dal letto e guardò attraverso le fessure delle persiane. Svegliò il marito, allora, e disse:
«Caro, quel barbone è tornato di nuovo.»
Lui s’alzò di scatto, e dopo aver prelevato qualcosa dal cassetto del comodino, uscì dalla stanza gridando:
«Giuro che stavolta l’ammazzo!»
Si udirono i suoi passi veloci giù per le scale, la porta che sbatteva. Poi si sentì un tonfo strano, non d’uno sparo, ma d’un corpo che cade. E poi piagnucolare, come d’un bambino. Parole gridate, incomprensibili.
La donna pensò: Speriamo rientri presto. Piove e fa freddo, ed è così buio là fuori.


 

 

Nivangio Siovara non esiste, è solo uno pseudonimo. Come Atena, è nato dalla testa del padre che non abbandona mai; trascorre, anzi, il proprio tempo ad osservarlo con scientifico interesse. Il risultato è una continua produzione di oscuri scritti. Il genitore, rassegnato, gli concede completa libertà, nella speranza che diventi per lui l'immancabile bastone della vecchiaia. Ha pubblicato con Prospero Editore i romanzi "L'onestà del Moloch" (2017) e "In Albis" (2018), e la raccolta di racconti "Di vento". Suoi racconti sono presenti nelle antologie di Prospero Editore "Oltre il confine" (Prospero, 2019) e "Anch'io" (Prospero, 2021)


(pubblicato con l'autorizzazione di www.inkroci.it)

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