(di Mimma Zuffi)
All’epoca
della composizione della Tosca, Giacomo Puccini era un compositore estremamente
celebre non solo in Italia. Aveva superato i quarant’anni e con due opere, Manon Lescaut (1893) e Bohème (1896), aveva colto
un clamoroso successo internazionale di pubblico e di critica. Pur non
negandogli il talento, una parte della critica rimproverava al musicista
lucchese una predilezione per soggetti
non altrettanto “alti” quanto quelli di Verdi e di Wagner. Per costoro, Puccini
era il cantore dell’anima femminile, il poeta della fragilità muliebre di
Manon, di Mimì, di Musetta, il musicista di un’umanità quotidiana, priva di
nobili ideali, dedita alle ”piccole cose”. Rendendosi conto dei rischi che
avrebbe corso restando prigioniero di
un cliché siffatto, da tempo si guardava intorno in cerca di uno spunto
librettistico diverso, nella forma e nella sostanza, da quelli fin lì musicati
(peraltro anche in mezzo a mille tribolazioni, ripensamenti, ritocchi). Puccini
aveva cominciato a pensare di ricavare un’opera da TOSCA, dramma in prosa di
Victorien Sardou, fin da quando lavorava all’Edgar, probabilmente dietro
consiglio di Ferdinando Fontana, librettista delle sue due prime opere. Sardou
era a quell’epoca un autore di gran moda. Andata in scena per la prima volta il
24 novembre 1887 a Parigi al Théatre de la Porte-Saint-Martin la Tosca di Sardou aveva colto un formidabile
successo sia per gli effetti “granguignoleschi” sia per l’interpretazione di
Sarah Bernhardt, tragédienne capace di ipnotizzare le folle con la sua dizione
esaltata e la sua gestualità grandiosa.
La Bernhardt venne in tournée in Italia con quel nuovo spettacolo all’inizio
del 1889. Puccini sedette fra gli spettatori a una replica al Teatro dei
Filodrammatici di Milano e, sebbene masticasse solo poche parole di francese,
restò colpito dall’efficacia del soggetto e dalle spettacolarità delle scene
madri. La lettera inviata al suo editore, Giulio Ricordi, perché si
interessasse all’acquisto dei diritti del lavoro di Sardou, porta la data del 7
maggio 1889 e rivela lo stato d’animo di Puccini a due settimane dal fiasco
dell’Edgar alla Scala: “ Mi accorgo che la volontà di lavorare invece
d’essersene andata, ritorna più gagliarda di prima (…) penso alla Tosca! La
scongiuro di far le pratiche necessarie per ottenere il permesso da Sardou,
prima di abbandonare l’idea, cosa che mi dorrebbe moltissimo, poiché in questa
“Tosca” vedo l’opera che ci vuole per me.” Alla fine del 1893 dovette mettersi
il cuore il pace poiché Casa Ricordi riuscì a strappare finalmente
l’autorizzazione di Sardou ma a favore di un collega, Alberto Franchetti.
Franchetti
era l’autore che godeva di ampia fiducia presso l’editore milanese dopo le
rappresentazioni di opere come Asrael
(1888), Cristoforo Colombo (1892) e
Fior d’Alpe (1894). Il 5 gennaio 1894 il librettista Luigi Illica informava
Ricordi di aver consegnato a Franchetti il dramma di Sardou in edizione italiana
unitamente a un abbozzo di li libretto, redatto dallo stesso Illica e approvato
dall’autore. Nell’ottobre librettista e compositore si recarono da Sardou per sottoporgli una prima stesura, e al
convegno presenziarono anche Ricordi e Giuseppe Verdi, in quei giorni nella
Ville Lumière, per la prima francese di Otello. Verdi se ne dimostrò
entusiasta: “Vi sarebbe un dramma che se io fossi ancora in carriera,
musicherei con tutta l’anima, ed è la “Tosca” confidò più tardi il bussetano a
Gino Monaldi “a patto però che Sardou mi accordasse il permesso di cambiare
l’atto ultimo”. Franchetti, tornato in Italia, si mise al lavoro ma, dopo pochi
mesi di alti e bassi creativi, dovette arrendersi e confessare che quel soggetto
non conveniva alla sua ispirazione. Illica, giustamente, se ne irritò. Giulio
Ricordi, abilmente si mise di mezzo e provvide a calmare il suo collaboratore e
a dotare Franchetti di un nuovo libretto. Puccini stava ultimando la Bohème quando, il 26 luglio
Ricordi gli comunicò che il soggetto di “Tosca”,
ridotto dagli stessi letterati che avevano ridotto Bohème, ossia Giuseppe
Giacosa e Luigi Illica sarebbe stato destinato a lui. La notizia dovette fargli
non poco piacere, specie tenuto conto che il giudizio di Verdi intorno al
soggetto era risaputo. Puccini cominciò a musicare Tosca qualche mese dopo il successo della 1896 Bohème, andata in scena al Regio di Torino il 1° febbraio 1896. Nel
cantiere dell’opera si ritrovò al lavoro la collaudatissima terna
Puccini-Illica-Giacosa, reduce dal successo di Bohème. Malauguratamente Giuseppe Giacosa, associatosi al gruppo
sul finire del 1895, dimostrò fin
dall’inizio scarse simpatie per il
dramma. A lui una vicenda di quella fatta pareva difficilmente musicabile. Di
questo ruolo frenante del poeta e commediografo piemontese dovette
avvedersi a un certo punto lo stesso
Sardou, cui i tre italiani resero ripetute visite a partire dal 1897, se è vero
quest’episodio narrato da Illica
all’editore:”Puccini mi ha narrato di una specie di scatto nervoso di Sardou
contro Giacosa scatto nervoso che avrebbe fatto sfuggire all’illustre francese
un “idiot” all’indirizzo dell’illustre italiano”.
Giustamente
indifferenti a simili giudizi, gli artisti di canto e il pubblico amarono
subito Tosca, decretandone un
successo destinato, se possibile, a crescere nel tempo.
Molto interessante, grazie Mimma!
RispondiEliminaCiao
Marina
Grazie Mimma, per aver ricordato un grande compositore d'opera, molto
RispondiEliminaamato in Italia e all'estero.
Sandra
Bellissimo, finalmente qualcosa di veramente divino!
RispondiEliminaNon ho parole, caro Anonimo, per ringraziarti dell'apprezzamento. Ricordati "e lucean le stelle..."
EliminaAdoro Puccini, e la Tosca...🥰😍🤩
RispondiEliminagrazie Tiziana, tra un po' pubblicherò delle curiosità
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