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giovedì 22 luglio 2021

Grazia

 di Marisa Vidulli


“La morte è la curva della strada, morire è solo non essere visto”

Ferdinando Pessoa


La notizia della sua morte la colse impreparata o forse no, perché Grazia quasi se lo sentiva. Quella Pasqua Grazia aveva inviato gli auguri a Nina chiedendole come stesse dopo l'impianto avvenuto 5 anni addietro di quella maledetta o benedetta valvola cardiaca che aveva salvato il suo cuore che 'faceva le bizze', così diceva la sua psicoterapeuta e amica quando ne parlava.


 Ora Nina era in pensione e non esercitava più all'ospedale, dava solo consulenze private così non si stancava troppo. Aveva infatti scoperto a soli 53 anni di avere un difetto al cuore e doveva riguardarsi, poi eventualmente, o quasi sicuramente, sottoporsi all'intervento per l'inserimento di un pacemaker.


Negli ultimi anni le due donne si incontravano saltuariamente in un piccolo caffè francese in una delle piazze più belle della città. A volte se Nina non poteva venire per i suoi numerosi impegni, Grazia le lasciava un libro o dei dolci, che poi il proprietario le avrebbe consegnato appena l'avesse vista. Abitava infatti nelle vicinanze, nei carruggi della città vecchia, al quarto piano di un palazzo antico e diceva sempre che dalla sua casa nei vicoli godeva del panorama della cupola della chiesa di San Lorenzo, un gioiello tra i più belli della città, dove, anni addietro, aveva scelto di vivere dopo aver vinto il concorso per psicologia.

Era piemontese di nascita, ma il mare era la sua grande passione: ottima nuotatrice ricordava spesso una sua spericolata impresa nei mari del sud, dove l'aveva sorpresa la risacca dell'oceano e aveva avuto paura di morire per la difficoltà di uscirne! Sarebbe stata più prudente la prossima volta e giù una risata che lasciava intendere il contrario. Grazia l'aveva sempre ammirata per la sua vitalità e la grande gioia di vivere, l'aveva anche fatta conoscere a suo marito a cui era subito apparsa simpatica; 'tanto era bruna' pensava Grazia, che era sempre stata gelosissima del suo bel marito, ben sapendo che lui preferiva le bionde, e in quanto al seno prosperoso anche lei non era da meno, ma soprattutto sapeva che il marito era del tipo 'perché mangiare un hamburger quando ho una bistecca a casa che mi aspetta', celeberrima battuta di Paul Newman nel film “Lassù qualcuno mi ama”.

Seduti al tavolino del caffè francese, sorseggiando un aperitivo i tre avevano dissertato a lungo, poi Nina li aveva dovuti salutare perché al pomeriggio, erano già quasi le 13, aveva un impegno con un amico, che settimanalmente accompagnava al cinema, essendo lui in sedia a rotelle a causa di una malattia degenerativa... capito la Nina? La sua natura di aiutare i malati non veniva mai meno e reputava Alfredo un suo grande amico, solo più sfortunato di tanti altri. Avrebbe spinto la sua sedia da invalido, con la naturalezza con cui una madre spinge un passeggino.

Grazia e Nina si erano conosciute anni prima, tanti anni prima, forse 30, quando Grazia aveva avuto un aneurisma cranico, operato brillantemente, che non aveva fortunatamente lasciato strascichi a parte una depressione bipolare ricorrente. Allora erano iniziate le sedute con Nina all'ospedale dove svolgeva con grande entusiasmo ed estrema competenza il suo lavoro, aveva il dono di entrare in empatia con i suoi pazienti e tutti, nessuno escluso, l'adoravano. Raccontava ridendo che quando qualcuno le diceva “ma che vita di merda che fai in mezzo ai malati!”, lei rispondeva a tono: “ma ce l'avrai tu una vita di merda, la mia è perfetta!”

Era una donna solare di una bellezza sconvolgente, da togliere il fiato, tacchi alti, abiti avvolgenti sotto il camice sempre aperto su quella quinta di reggiseno di cui madre natura la aveva dotata.

Che strano, pensava Grazia, mentre i ricordi di quelle sedute le si affollavano alla mente, le parole di Nina erano scolpite nella sua memoria ed erano quelle che l'avevano salvata durante quei 20 anni di terapia a cadenza settimanale, ma non sempre, visto che Nina era molto impegnata con i suoi pazienti oncologici di cui parlava con grande affetto. Quindi spesso l'appuntamento veniva rimandato e Grazia ci restava male, le mancava la stampella per andare avanti, le diceva nella seduta seguente, al che spesso si sentiva rispondere: “ho dovuto rimandare per tenere la mano a una mia paziente che ci stava lasciando” detto con una naturalezza che lasciava senza fiato, ma non era sempre così.

Come dimenticare le risate che si facevano durante i colloqui, alternate ai pianti disperati di Grazia, ma Nina riusciva sempre a farla poi sorridere raccontandole storie vissute con i suoi malati; in ciò era maestra e così facendo la distoglieva dalla sua di storia con altre più grandi e più dolorose.

Inoltre la sua vasta cultura che spaziava dalla pittura alla letteratura e ogni aspetto dello scibile umano affascinava Grazia: Nina sapeva tutto e questo lato della sua personalità incontrava la sensibilità della paziente perché ambedue avevano il gusto del bello. Da rapporto dottore-paziente il loro era diventato anche un'amicizia sincera, per questo ora il dolore di Grazia era così tagliente.

Si ricordava che a suo tempo Nina le aveva recitato la poesia di Fernando Pessoa sulla morte, aveva una memoria prodigiosa e una dizione perfetta; incantava quando parlava.

La poesia era questa:


“La morte è la curva della strada,
morire è solo non essere visto.
Se ascolto, sento i tuoi passi
esistere come io esisto.
La terra è fatta di cielo.
Non ha nido la menzogna.
Mai nessuno s’è smarrito.
Tutto è verità e passaggio.”

 

Ecco ora Nina era nella stanza accanto, Grazia poteva smettere di piangere, solo ricordare e pregare, anche se Nina non era strettamente credente, o lo era a suo modo, certamente il buon Dio non avrebbe fatto distinzioni.

 

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