a cura di Sandra Romanelli
Dante e il suo poema (1445 circa)- particolare del dipinto
di Domenico di Francesco, detto Michelino (Firenze
1417-1491)
Basilica di Santa Maria del Fiore- Firenze
Quest'anno si celebra il VII centenario della morte di Dante Alighieri (1265- 1321), padre della lingua italiana, poeta, scrittore, politico, studioso di filosofia e teologia.
Nato a Firenze, fu condannato all’esilio il 10 marzo 1302, per motivi politici, con una sentenza emessa dal tribunale cittadino, governato dai Guelfi Neri e il podestà lìgio a papa Bonifacio VIII; Dante Alighieri apparteneva ai Guelfi Bianchi, sostenitori dell'autonomia di Firenze e di un riequilibrio tra potere spirituale e temporale.
Il
testo della sentenza recitava così: “Baratteria, frode, falsità, dolo, malizia, inique
pratiche estortive, proventi illeciti, pederastia, e lo si condanna a 5000
fiorini di multa con conseguente interdizione perpetua dai pubblici uffici,
confisca dei beni, esilio perpetuo (in contumacia), e se lo si prende, al rogo,
così che muoia”.
Non
solo Dante, ma anche altri esponenti dei Guelfi Bianchi furono privati dei loro
diritti civili ed esiliati.
Gli studiosi reputano che quel processo non
avesse fondamento.
Tale
espediente veniva spesso usato, per sbarazzarsi dei nemici di una diversa
fazione politica. In quegli anni Firenze era lacerata dall'odio di parte, dalle
invidie e dalle lotte per la brama di potere.
Per tutta la vita il Sommo Poeta, dall'esilio, respinse con decisione e sdegno i motivi di quella ingiusta condanna, basata su accuse infondate. Fu costretto a peregrinare verso altre città, tra cui: Verona, Treviso, Bologna, Padova, Lucca, Venezia, Ravenna; ovunque fu accolto con cortesia e tanta ammirazione, ma lui sopportò con grande dolore la condizione di esiliato e, pur accettando benevolmente l'ospitalità, la visse come una durissima umiliazione.
lo pane altrui, e come è duro calle
lo scendere e 'l salir per l'altrui scale. (Paradiso
Canto XVII versi 58-60)
Dante iniziò l'attività politica fin dai primi anni del 1290 a Firenze, dove rivestì importanti cariche pubbliche. Nel 1300 fu eletto Priore delle Arti. In precedenza aveva partecipato a imprese militari: la battaglia di Campaldino contro gli Aretini (11 giugno 1289), e nello stesso anno (16 agosto 1289) combatté i Pisani a Caprona. Nel marzo 1294 fece parte di una delegazione di cavalieri, avente l'onore di accompagnare re Carlo Martello D'Angiò in visita a Firenze.
(Carlo
Martello è un personaggio posto da Dante, nella Divina Commedia, Paradiso
Canti: VIII versi 31-148/ IX versi 1-12).
Secondo la maggior parte dei critici letterari la Divina Commedia fu composta tra il 1304/07 e il 1321, quindi non a Firenze, ma durante il suo esilio in Lunigiana, Casentino e Romagna. Prima di giungere a Ravenna, Dante fu ospite presso i marchesi Malaspina - che ressero i feudi della Lunigiana e divennero, poi, sovrani di Massa e Carrara- dei quali esalta, nel Purgatorio, le virtù cavalleresche dei predecessori, conosciute in tutta Europa.
non son l'antico, ma di lui discesi;
a' miei portai l'amor che qui raffina».
«Oh!», diss' io lui, «per li vostri paesi
già mai non fui; ma dove si dimora
per tutta Europa ch'ei non sien palesi?
La fama che la vostra casa onora,
grida i segnori e grida la contrada,
sì che ne sa chi non vi fu ancora; (Purgatorio C.VIII versi 118-126)
Il
canto VIII del Purgatorio è altresì noto per i suoi versi iniziali di
poesia pura. Siamo nell'Antipurgatorio.
Era già l'ora che volge il disio
ai navicanti e 'ntenerisce il core
lo dì c'han detto ai dolci amici addio;
e che lo novo peregrin d'amore
punge, se ode squilla di lontano
che paia il giorno pianger che si more; (C.VIII versi 1-6)
com'è
dolce, per me, girovagar tra cantiche e sonetti!
Nel
1307 l'Alighieri fu ospite presso i Conti Guidi, nel Castello di Poppi, in
Casentino (Arezzo); qui pare abbia messo mano alla stesura del Canto XXXIII
dell'Inferno, con il racconto del Conte Ugolino.
La bocca sollevò dal fiero pasto
quel peccator, forbendola a' capelli
del capo ch'elli avea di retro guasto.
Poi cominciò: "Tu
vuo’ ch’io rinovelli
disperato dolor che ’l cor mi preme
già pur pensando, pria ch’io ne favelli.
Ma se le mie parole esser dien seme
che frutti infamia al traditor ch’i’ rodo,
parlare e lagrimar vedrai insieme.
Io non so chi tu se’ né per che modo
venuto se’ qua giù; ma fiorentino
mi sembri veramente quand’io t’odo.
Tu dei saper ch’i’ fui conte Ugolino,
e questi è l’arcivescovo Ruggieri:
or ti dirò perché i son tal vicino. (versi 1-15)
Si
tratta del Conte Ugolino della Gherardesca, intento a divorare il cranio
dell'Arcivescovo Ruggeri, due figure storiche legate alle vicende politiche di
Pisa. ( Ahi Pisa, vituperio delle genti- invettiva di Dante contro Pisa
-versi 79/90)
Siamo
nel nono cerchio dell'Inferno, costituito dal lago ghiacciato Cocito,
dove sono immersi i traditori. Il
lago ghiacciato, rappresenta l'animo gelido di coloro che tradirono i loro
affetti più cari o quelli più sacri.
Il
cerchio è suddiviso in quattro zone: la Caina, in cui si trovano i traditori dei parenti (tra i quali
il preannunciato Gianciotto Malatesta, fratello di Paolo e marito di
Francesca, i due amanti passati alla storia, posti nel V canto, tra i
lussuriosi: Amor condusse noi ad una morte: Caina attende chi a
vita ci spense"); l'Antenora, che accoglie
i traditori della patria e del partito cui appartennero; la Tolomea,
dove sono i traditori degli ospiti e degli amici, ed infine la Giudecca
dove si puniscono i traditori dell'autorità religiosa. Tra questi ultimi si
trova Giuda, il discepolo che tradì
Gesù.
Nell'Antenora
si trova il Conte Ugolino; questo fu il suo tradimento: di origine
ghibellina, si alleò con i Guelfi.
Tuttavia, ciò che stupisce di più è il racconto atroce della sua vicenda, per
la fine tristissima che fecero lui, i
suoi figli e nipoti, imprigionati dall'Arcivescovo Ruggeri, nella Torre della
Muda, a Pisa, dove furono lasciati a morir di fame e dove Ugolino li vide
mancare uno ad uno.
di Jean-Baptiste Carpeaux, al Petit Palais, Parigi
Poscia che fummo al quarto dì venuti,
Gaddo mi si gittò disteso a’ piedi,
dicendo: "Padre mio, ché non m’aiuti?".
Quivi morì; e come tu mi vedi,
vid’io cascar li tre ad uno ad uno
tra ’l quinto dì e ’l sesto; ond’io mi diedi,
già cieco, a brancolar sovra ciascuno,
e due dì li chiamai, poi che fur morti.
Poscia, più che 'l dolor, poté 'l
digiuno". (versi 67-75)
La terribile frase finale ha dato adito a due diverse interpretazioni: la prima che la morte sopraggiunse più per la fame, che per il dolore della situazione; la seconda di una presunta antropofagia del Conte.
A favore della prima sta il fatto che Ugolino fu sempre considerato
padre amorevole e protettivo, seppure impotente in tale situazione e comunque,
quando la porta della prigione fu
aperta, i cinque cadaveri vennero ritrovati privi di tali inequivocabili
tracce.
Nelle nostre
reminiscenze scolastiche, oltre al Conte Ugolino,
ognuno rammenta la vicenda di Paolo e
Francesca. Un tempo, le insegnanti d'italiano
(ricordo la mia, con immensa stima), facevano studiare a memoria, i versi più
significativi delle cantiche, nonché alcuni apprezzabili sonetti.
- Oh, Sommo Poeta,
mi
pregio dichiarar:
dimolte,
tra
le Vostre Rime,
a
memoria conosco;
ma
perdonate...
le mie
reminiscenze
son
parva cosa,
al
cospetto Vostro!
all'entrata del Castello di Poppi in Casentino (Arezzo)- (Foto di G.C.)
Siamo nel
secondo cerchio dell'Inferno, Canto V. All'ingresso c'è Minosse che ci
appare come un demone dalla lunga coda. Virgilio gli ordina di lasciar passare
Dante e di non ostacolare il suo viaggio.
In questo cerchio i dannati sono trascinati da
un forte vento: sono i lussuriosi. Loro, in vita, si lasciarono
trasportare dalla passione amorosa ed ora sono costretti a volteggiare in
continuazione, sbattuti dalla bufera, simbolo della passione carnale che li
travolse in vita.
Virgilio mostra
a Dante alcuni tra i più famosi peccatori: Semiramide, la mitica regina assira; Didone, suicida per amore; Cleopatra, Elena, Achille,
Paride e Tristano, follemente innamorato di Isotta.
Dante scorge tra
i dannati due anime che volteggiano, una accanto all'altra: sono Francesca da Rimini e Paolo
Malatesta.
Quali colombe dal desio chiamate
con l'ali alzate e ferme al dolce
nido
vegnon per l'aere dal voler portate;
cotali uscir de la schiera ov'è Dido,
a noi venendo per l'aere maligno,
sì forte fu l'affettuoso grido.(versi 81-87)
I due, pur essendo cognati, si innamorarono l'uno dell'altra e
scoperti, vennero entrambi uccisi per adulterio da Gianciotto, fratello di
Paolo e marito di Francesca.
Dante chiede di parlare un po' con loro e, mentre Paolo tace piangendo sommessamente, Francesca acconsente a narrargli la loro storia d'amore.
Siede la terra dove nata
fui
su la marina dove ’l Po discende
per aver pace co’ seguaci sui.
Amor, ch'al cor gentil ratto
s'apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.
Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.
Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense".
Queste parole da lor ci fuor porte. (versi 97-
108)
Lei nacque nella terra dove sorge la foce del Po, dove il fiume si getta in mare per trovare pace coi suoi affluenti. Fu l'amore a condurre entrambi alla stessa morte; ma l'amore ha bisogno di reciprocità, perciò non consente a nessuno che è amato di non ricambiare il sentimento.
E Francesca prosegue a narrare cosa accadde tra
loro...
Noi leggevamo un giorno per diletto
Di Lancillotto, come amor lo strinse:
Soli eravamo e senza alcun sospetto.
Per più fiate gli occhi ci sospinse
Quella lettura, e scolorocci il viso:
Ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disiato riso
Esser baciato da cotanto amante,
Questi, che mai da me non fia diviso,
La bocca mi baciò tutto tremante:
Galeotto fu il libro e chi lo scrisse;
Quel giorno più non vi leggemmo avante. (Versi 127-138)
I due cognati
erano soliti leggere insieme uno dei romanzi all'epoca più diffusi, dove viene
narrato l'amore illecito tra Lancillotto e Ginevra. Fu il libro a produrre quel
turbamento che rivelò loro il reciproco amore che li condusse al peccato e
quindi alla morte. Dante è talmente
sconvolto dalla terribile conseguenza di quel sentimento che l'emozione della narrazione lo porterà a perdere i sensi. In realtà la
reazione di Dante è dovuta alla considerazione che un sentimento elevato, come
l'amore, può portare a conseguenze estreme se non è controllato dalla ragione e
se non segue le regole della moralità.
Il Sommo Poeta, come per altro si riscontra in altri versi della Divina Commedia, riferisce di personaggi e fatti realmente accaduti.
Francesca figlia di Guido da Polenta, signore di Ravenna, fu data in sposa a Gianciotto Malatesta di Rimini, anziano zoppo e rozzo, per sancire una pace duratura e un'alleanza tra le due città.
Alcune
fonti, tra le quali Giovanni Boccaccio, riportano che i due cognati
s'innamorarono al matrimonio di Francesca, avvenuto per procura tramite il
fratello di Gianciotto, Paolo, più giovane, affascinante e di buone maniere. In
realtà i parenti tramarono l'inganno ai danni di Francesca, per evitare il suo
rifiuto.
Quando
Gianciotto fu avvisato della tresca, pare da un servo, fece in modo di
sorprendere i due innamorati e, accecato dalla gelosia, uccise entrambi.
Sono molte le
vicende che il Sommo Poeta narra nelle tre Cantiche e sarebbe impossibile addentrarsi ora tra le
storie dei suoi numerosi personaggi, affascinanti o crudeli, ma pur sempre
interessanti.
Proviamo allora
a ripercorrere alcuni momenti della vita di Dante prima dell'esilio; in special
modo è importante ricordare l'amicizia con Guido Cavalcanti e l'incontro
con Beatrice.
Egli considerava
Guido - il “primo de li miei amici”- come un maestro e un modello
poetico a cui avvicinarsi e la prova del loro legame la si trova nella Vita
Nova e nella Commedia, come l'autore
titolò il suo capolavoro. Fu infatti Giovanni Boccaccio ad aggiungere,
in seguito, l'aggettivo Divina.
Entrambi
stilnovisti, come Lapo Gianni e Cino da Pistoia, Dante e Guido avevano tuttavia
una diversa concezione della filosofia e
dell'amore.
Per Cavalcanti
la poesia è una strada che conduce alla conoscenza filosofica e l'amore è luce e forza positiva, ma produce
passione e sentimenti irrefrenabili che la ragione non è in grado di
controllare. La donna, pur essendo un angelo di perfezione e di bellezza
indefinibile, non conduce a Dio, poiché
l'amore è un'esperienza che non ha nulla di virtuoso.
Al contrario,
Dante sostiene che la poesia è una via che conduce alla conoscenza religiosa e
l'amore, un sentimento che riguarda la sfera della spiritualità, uno strumento
di elevazione morale. Infatti, ecco il riferimento a Beatrice: la donna-angelo
la cui bellezza, ricca di virtù, proviene da Dio ed è per questo un mezzo di
collegamento tra l'uomo e Dio.
Guido Cavalcanti (a sinistra) e Dante raffigurati in primo piano
Dante ricorda Cavalcanti nella Divina Commedia (Inferno, canto X e Purgatorio, canto XI) e nel De vulgari eloquentia.
Guido, i' vorrei che tu e Lapo
ed io
fossimo presi per incantamento
e messi in un vasel, ch'ad ogni
vento
per mare andasse al voler
vostro e mio;
rio
non ci potesse dare
impedimento,
anzi, vivendo sempre in un
talento,
di stare insieme crescesse 'l
disio.
E monna Vanna e monna Lagia
poi
con quella ch'è sul numer de le
trenta
con noi ponesse il buono incantatore:
d'amore,
e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come i' credo che saremmo noi.
Con loro vorrebbe le donne dei suoi amici: monna Vanna, amata da Guido, citata dallo stesso Cavalcanti nelle sue Rime e monna Lagia, la donna di Lapo, poeta fiorentino che Dante ricorda, nel De Vulgari Eloquentia, come uno dei poeti toscani più raffinati. Si presume che “quella ch'è sul numer de le trenta” fosse Beatrice, la sua musa ispiratrice, che tra le donne di Firenze occupava , per bellezza, il nono posto.
Dante incontrò
la prima volta Beatrice (Bice Portinari) a soli nove anni e la rivide
esattamente nove anni dopo, quando entrambi avevano diciotto anni. In seguito a
quel secondo incontro nacque il suo amore per lei, un sentimento fatto di
sguardi, ma senza parole.
Per Beatrice,
divenuta la sua musa, egli scrisse sonetti e rime e ritroviamo la sua
significativa presenza nelle tre cantiche della Divina Commedia.
Dipinto realizzato nel 1883 da Henry Holiday (Londra 1839-1927)
Il sonetto a lei dedicato, contenuto nel XXVI capitolo della Vita Nova, rappresenta uno dei più chiari esempi dello stile della lode e della scuola stilnovista.
Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia, quand'ella altrui saluta,
ch'ogne lingua devèn, tremando, muta,
e li ochi no l'ardiscon di guardare.
Ella sì va, sentendosi laudare,
benignamente e d'umiltà vestuta,
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.
Mostrasi sì piacente a chi la mira
che dà per gli occhi una dolcezza al core,
che 'ntender no la può chi no la prova;
e par che de la sua labbia si mova
uno spirto soave pien d'amore,
che va dicendo all'anima: Sospira.
Il
mio breve, ma affascinante girovagare tra le opere dell'Alighieri desidera terminare con l'approdo alla terza
cantica della Divina Commedia. Infatti,
il viaggio allegorico di Dante, fra i tre mondi ultraterreni, ha come meta finale il Paradiso, il luogo più misterioso
delle tre cantiche, dove risiedono i beati,
le anime pure che hanno vissuto in rettitudine.
Il
Canto XXXIII inizia con la preghiera di San Bernardo di
Chiaravalle alla Vergine, perché
Ella interceda presso Dio e consenta a Dante la sublime visione finale della
Sua essenza.
Hermitage, museo di San Pietroburgo
Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d'etterno consiglio,
tu se' colei che l'umana natura
nobilitasti sì, che 'l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.
Nel ventre tuo si raccese l'amore,
per lo cui caldo ne l'etterna pace
così è germinato questo fiore.
Qui se' a noi meridïana face
di caritate, e giuso, intra ' mortali,
se' di speranza fontana vivace.
Donna, se' tanto grande e tanto vali,
che qual vuol grazia e a te non ricorre,
sua disïanza vuol volar sanz'ali.
La tua benignità non pur soccorre
a chi domanda, ma molte fïate
liberamente al dimandar precorre.
In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te s'aduna
quantunque in creatura è di bontate. (Paradiso Canto XXXIII versi 1-21)
In questa
bellissima illustrazione di Gustave Doré, (Strasburgo 6 gennaio 1832 - Parigi 23 gennaio 1883) la Vergine Maria -come il Poeta
descrive all'inizio del Canto XXXI del Paradiso- è immersa in un fascio
di luce vivissima, al centro dei petali della candida rosa, accanto a lei San
Francesco d'Assisi, Sant'Agostino, San Benedetto.
In forma dunque di candida rosa
mi si mostrava la milizia santa
che nel suo sangue Cristo fece sposa (V.1-3)
San Bernardo di
Chiaravalle per primo, poi tutti i beati della rosa, compresa Beatrice, insieme
agli angeli dal volto fiammeggiante, le ali dorate e la veste
bianchissima, invocano la grazia per
Dante che alla fine, per intercessione della Vergine, arriverà a vedere Dio e a
contemplare la SS. Trinità.
Le spoglie del
Sommo Poeta riposano a Ravenna.
Nel 1315, pochi
anni prima della sua morte, gli venne concesso di tornare a Firenze, ma
poiché le condizioni erano troppo umilianti, rifiutò sdegnosamente,
affermando che se i vincoli proposti
derogavano al suo onore e alla dignità, a Firenze non sarebbe tornato
mai.
L'ultima frase del suo epitaffio
recita così:
"hic claudor Dantes patriis extorris ab oris
quem genuit
parvi Florentia mater amoris"
“qui son racchiuso io, Dante, esule dalla patria terra,
cui generò Firenze, patria di poco amore”.
Solo nel 2008, a
settecento anni dalla sentenza d'esilio, la Commissione Cultura di Palazzo
Vecchio di Firenze ha approvato una mozione per la piena
riabilitazione del Sommo Poeta.
Dante Alighieri
è ritenuto, dagli studiosi, “Exul immeritus”, come fu e come lui stesso
si definì.
Curiosità
- Jorge Luis Borges (Buenos Aires, 24 agosto 1899 – Ginevra, 14 giugno 1986), scrittore e poeta, considerato da molti uno tra i più importanti esponenti della letteratura sudamericana del Novecento, ammirò la Commedia di Dante fino ad affermare che è la migliore opera letteraria di tutti i tempi.
- Go Nagai (Wajima, 6 settembre 1945) giapponese, apprezzato autore di fumetti, ha
tratto ispirazione dalla Commedia per alcune delle sue opere più famose: Mao
Dante e Devilman. In seguito ha pubblicato La Divina Commedia, versione a
fumetti del poema.
- In
piazza Santa Maria Novella, a Firenze, c'è una targa dedicata al poeta
americano Henry Wadsworth Longfellow, (Portland, 27
febbraio 1807 – Cambridge, 24
marzo 1882).
Longfellow fu un estimatore di Dante, passò diversi anni a
tradurre La Divina Commedia. Nel
1864 fondò il “Circolo Dante” - di cui fecero parte gli scrittori americani: William Dean Howells,
(1837-1920) James Russell Lowell (1819-1891) e Charles Eliot Norton (1827-1908) - che aveva lo scopo di
promuovere e divulgare le opere del
Sommo Poeta. Più tardi, l'associazione
prese il nome di “Dante Society of America”.
Questo lavoro sulla vita di Dante mi ha emozionata; l'autrice ha affrontato l'immensità della vita e delle opere del sommo poeta con profonda competenza senza appesantire la trattazione ed è riuscita a collegare i vari argomenti trattati con fluidità e leggerezza, dono di una vera scrittrice, tale da catturare l'attenzione del lettore. Che dire, solo grazie Sandra, per il tuo impegno e per la tua bravura!
RispondiEliminaIda
Grazie, Ida. Il tema da trattare era vasto e considerevole. Mi sono soffermata maggiormente sugli aspetti, per me, più significativi.
EliminaSe sono riuscita a donarti un'emozione sono veramente felice. Lo scopo della scrittura è proprio questo.