Nei giorni scorsi, tra il 25 aprile e il 1° maggio, si
è tornati a parlare, come ogni anno, pur se con minore retorica a causa del Coronavirus,
della guerra civile che tra il 1943 e il 1945 vide fronteggiarsi, gli uni
contro gli altri armati, fascisti e antifascisti, i ribelli dell’onore che
avevano aderito alla Repubblica sociale italiana, e i ribelli della libertà che
avevano raggiunto le fila della Resistenza. La lacerazione consumatasi allora
si è perpetuata, e per certi aspetti accentuata nel tempo, malgrado i tentativi
di pervenire a una pacificazione basata su una «storia condivisa» che a oltre
70 anni dai fatti sembra rimanere una chimera.
Se certe ferite non si sono mai rimarginate – e ciò è
comprensibile perché chi ha vissuto, combattuto e sofferto allora, si è quasi
sempre rifiutato di riconoscere a chi era schierato sul fronte opposto bontà
d’intenti e onestà – oggi che i protagonisti della guerra civile sono ormai
quasi tutti scomparsi soltanto la storia, intesa come revisione e rilettura del
passato, senza pregiudizi e alla luce dei documenti finora rimasti nascosti,
può aiutare a capire quel tragico momento della vita nazionale da cui è nata, senza soluzione di continuità, l’Italia democratica.
«Fascismo al crepuscolo e continuità dello Stato» è
non a caso il titolo della prima parte del libro di Stefano Fabei su La
Guardia Nazionale Repubblicana nella
memoria del generale Niccolo Nicchiarelli, 1943-1945 (Mursia, 2020, Euro 18,00). Questo saggio apporta un ulteriore contributo alla storia della
RSI e alle vicende, politico-militari, riguardanti l’Italia
centro-settentrionale tra il 1943 e il 1945. Delle forze armate della
repubblica fondata dal Duce la GNR fu la prima per nascita e numero di uomini. Vi
confluirono, con qualche centinaio di agenti della Polizia dell’Africa
Italiana, 120.000 Camicie nere della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale
e circa 90.000 Carabinieri. Uomini tra loro molto diversi per fede politica: le
Camicie nere si sentivano la guardia armata della rivoluzione fascista, mentre
i Carabinieri erano in gran parte, fedeli a Casa Savoia, o almeno tali erano
ritenuti. La Guardia dunque finì per essere «un ibrido e naturalmente non
riuscito connubio» come la definì il maresciallo Rodolfo Graziani, ministro
della Difesa della RSI. Tuttavia, agli ordini di Renato Ricci e poi di
Mussolini, la GNR assolse i propri compiti, primo fra tutti il controllo del
territorio.
Fabei, autore nel 2013 di una biografia di Niccolo Nicchiarelli
(Il generale delle Camicie nere, Pietro Macchione), ricostruisce il
contesto in cui questo alto ufficiale della Milizia operò nella RSI. Console
generale, aveva combattuto con coraggio in Africa settentrionale, poi sul
fronte orientale («TAGLIAMENTO» La legione delle Camicie nere in Russia
(1941-1943), in Edibus, 2014), quindi in Slovenia. Alla nascita della RSI nel 1943 ricevette
l’incarico di presentare il progetto di costituzione della GNR, di cui dall’estate
del 1944 diventò, in quanto capo di stato maggiore di Mussolini, il
vicecomandante. Con tale ruolo cercò di salvare i Carabinieri dai progetti di
eliminazione tentati dai tedeschi sostenuti dai fascisti intransigenti che
consideravano la Benemerita fedele al re traditore. Per Nicchiarelli, invece, quest’arma,
«unica forza di polizia disciplinata e tecnicamente preparata» a disposizione,
doveva essere salvaguardata per presidiare il territorio nazionale dopo la fine
del fascismo e garantire la continuità dello Stato, a prescindere dalla sua
caratterizzazione politica. La GNR aveva inoltre assoluta necessità dei
Carabinieri per compiere i servizi d’istituto che i provenienti dalla Milizia
non potevano ancora conoscere e svolgere con la necessaria preparazione. Il
volume, dotato di un’appendice contenente fra l’altro il Memoriale di Nicchiarelli,
è molto documentato e ricco di note; ha il pregio di unire il rigore storico a
una chiarezza espositiva che rende piacevole la lettura.
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