(a cura di Mimma Zuffi)
Foto © Magnus Liam Karlsson
Lo scorso 25 aprile ci ha lasciato Per Olov Enquist, uno
scrittore che come pochi altri ha impresso la sua traccia nella letteratura del
Novecento europeo. Narratore sopraffino, innovatore nella forma e nel
linguaggio, voce sempre fuori dal coro, è stato giustamente definito la
coscienza critica della società scandinava. Tra i primissimi autori pubblicati
da Iperborea, per oltre trent'anni i suoi libri e la sua amicizia sono stati
stimoli per cercare di diventare persone e cittadini migliori. Ci consolano solo
le sue pagine più belle, e la certezza che saranno lette per generazioni.
Arrivederci Peo, e grazie.
ll ricordo di Emilia Lodigiani, fondatrice di Iperborea
«È stato il primo autore che ho incontrato di persona l’anno
stesso della nascita di Iperborea, nel lontano 1987 quando avevo
appena deciso di pubblicarlo, in una serata a Parigi, dove mi aveva subito
colpito per quella sua profondità ed essenzialità che riusciva a comunicare
quasi anche solo con la sua presenza fisica. E l’incontro con lui
negli anni è sempre rimasto l’appuntamento con una persona speciale, non
solo uno dei grandi scrittori europei che eravamo orgogliosi di
pubblicare, ma per me era come l’incarnazione di tutto quello che mi ha
sempre affascinato nel mondo nordico. Ho assistito al passaggio
dai periodi più bui della sua vita a quelli sicuramente più felici,
dopo l’incontro con Gunilla, e la ripresa della sua creatività dopo una lunga
crisi. Ma tra i vari momenti passati insieme, vorrei ricordare uno degli
eventi più emblematici, l’incontro con i carcerati di
Poggioreale nel 2007, che erano tra i gruppi di lettura che gli
hanno attribuito il Premio Napoli per "Il libro di Blanche e
Marie": la commozione delle loro domande che dopo un po’ non
vertevano più sul libro e sull’autore, ma su loro stessi, i loro drammi e
i loro problemi, con quella speranza che chi aveva scritto un libro del
genere potesse risolvere anche i problemi della loro vita. Non è quello
che nel profondo cerchiamo tutti nei grandi scrittori? E ricordo la
commozione di Enquist che l’aveva trovato uno dei momenti più forti e intensi
della sua vita pubblica. Lo ricordo così: come un faro. E, come mi ha
scritto oggi il nostro autore islandese Jon Kalman Stefansson: "Enquist se
n’è andato. Abbiamo bisogno di più luce."»
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PP. 256 - €
15,50
Aveva promesso di non raccontarlo mai a nessuno,
allora era solo un ragazzino, ma adesso, giunto sulla riva del fiume che ha già
chiamato tanti amici all’altra sponda, incalzato dalle domande rimaste senza
risposta, Enquist capisce che quella donna incontrata nell’estate del 1949 è il
cuore del romanzo che non è mai riuscito a scrivere. Un romanzo d’amore. Che
cos’è l’amore? Un’estasi dello spirito e del corpo, quel corpo negato dalla
fede severa della sua infanzia e la cui scoperta improvvisa è stata un’esperienza
mistica, rivoluzionaria, l’inizio di una ricerca più alta e tormentata di
libertà che lo ha accompagnato per tutta la vita, tra l’angoscia del peccato,
il richiamo della perdizione e il fascino per quella ribellione assoluta che è
la follia. Di qui il bisogno di ritrovare i modelli che hanno «marchiato a
fuoco» la sua esistenza e raccontarli in nove parabole, fulminanti, crude e
senza veli come è concesso alla poesia biblica: il mistero del taccuino del
padre mai conosciuto che conteneva solo versi d’amore, la zia eroica che in
punto di morte ha osato rinnegare il Dio che non l’ha mai ascoltata, la
bisnonna che per 34 anni ha scritto sui muri il suo dolore e che quando le
hanno tolto la penna ha continuato con un chiodo. E quella sconosciuta gentile
e sola che nel lontano 1949 gli ha aperto le porte della stanza più intima,
dove i segreti proibiti dell’amore si intrecciano a quelli dell’immaginazione,
convertendolo alla religione della vita e della scrittura.
UN’ALTRA VITA
PAGG. 544 - € 19,50
Questa è una storia che comincia nel 1934 in una casa
verde in un villaggio nell’estremo Nord della Svezia. È una storia che rimbalza
tra Uppsala, Copenaghen, Parigi, Los Angeles, Broadway, Reykjavík e Berlino, e
che (non) finisce ai giorni nostri. È la storia di un bambino quasi perfetto,
di un ragazzo baciato dal talento e dal successo, di un uomo devastato
dall’alcolismo. È la storia di chi suo malgrado si è sempre trovato
al centro della Storia, e si è sentito in dovere di osservare. È una
storia sulla nascita del terrorismo alle Olimpiadi di Monaco, sul processo alla
banda Baader-Meinhof, sulla Mano di Dio di Maradona, sulla caduta del Muro di
Berlino vista da piazza Venceslao. E Olof Palme, Rudolf Nurejev, Ingmar Bergman
hanno i loro cammei. È una storia sul peccato e la colpa e il paradiso e
l’inferno e l’eternità e il silenzio glaciale e immutabile del cielo stellato.
È una storia che se è cominciata così bene come ha potuto finire così male? È
una storia di solitudine e resurrezione, dove si scopre che non sono le domande
a essere sbagliate, ma quasi sempre lo sono le risposte, taglienti come
ghiaccio, implacabili e fondamentaliste. È una storia sulla vita, l’unica,
quella che non viene restituita quando la prima è stata sprecata. È la storia
di un intellettuale che non solo ha raccontato la nostra epoca come pochi hanno
saputo fare, ma vi ha anche lasciato un segno profondo. È la storia più onesta,
lucida e coinvolgente che Per Olov Enquist abbia mai raccontato. È la sua
storia.
IL LIBRO DI BLANCHE E MARIE
Marie è Marie Curie, l’eroina della scienza, la
visionaria polacca cui la scoperta del radio e le rivoluzionarie ricerche sulla
radioattività valsero ben due Premi Nobel, il primo dato a una donna e la prima
a meritarne un secondo. Blanche è Blanche Wittman, la paziente preferita di
Charcot per i suoi innovativi esperimenti terapeutici, la «regina delle
isteriche» alle cui pubbliche sedute di ipnosi assistevano Freud e Strindberg,
Babinski e Sarah Bernhard, e accorreva tutta l’élite medica, intellettuale e
mondana della Parigi di fine Ottocento. Due donne che vengono da origini e
mondi lontani e il cui incontro è la scintilla di un’unica domanda, una comune
lotta e uno stesso destino: entrambe bruciate nell’anima e nel corpo dall’inspiegabile
e letale luminescenza azzurra del radio e da quella non meno misteriosa e
mortale della passione. Guarita dopo la morte di Charcot, e diventata
assistente di laboratorio di Marie, sua amica e confidente, Blanche è la
testimone di cui Enquist si serve per intrecciare le due grandi avventure
scientifiche che segnano l’inizio della modernità, farne rivivere i
protagonisti e, attraverso i due luoghi simbolo della sua vita, il laboratorio
delle ricerche sul radio e l’infernale gineceo della Salpêtrière, il più
rinomato ospedale neurologico del tempo, dove Charcot apre la via
all’esplorazione del tenebroso continente femminile, indagare su un’epoca ricca
di fermenti libertari e di oscurantismo, di ambigua ricerca di verità e di
ipocrisia. Ma è la domanda di Blanche e Marie il centro del romanzo, che è
soprattutto un romanzo d’amore e sull’amore: qual è la misteriosa natura di
quel legame che unisce Blanche a Charcot, quel potere incontrollabile che
spinge la celebre vedova Marie a innamorarsi perdutamente di Paul Langevin, ex
allievo di Pierre, sposato e padre di famiglia, mettendo a repentaglio
reputazione, carriera e quasi l’incolumità? Qual è «la formula chimica del
desiderio», il suo peso atomico, l’unità di misura dell’amore che potrebbe
aiutare a capire la sua felicità e la sua inaudita sofferenza e a trovare quel
nesso che darebbe un senso a tutto?
IL VIAGGIO DI LEWI
pagg. 584 - € 25,00
Il viaggio di Lewi è
il cammino di una vita, la storia del «più grande leader spirituale che la
Svezia abbia mai avuto», un Pilgrim’s Progress che attraversa
il Novecento, gettando nuova luce sul processo che ha fatto di una nazione
povera uno dei modelli più avanzati della modernità. Lewi Pethrus: chi era quel
piccolo «venditore ambulante del Västergötland», idealista senza grande
educazione, attivo nei primi sindacati, che sogna di diventare scrittore e
finisce predicatore, chiamato da Dio nella piccola comunità Filadelfia di
Stoccolma, da cui fonderà il movimento Pentecostale svedese, trasformandolo in
un «impero»? E chi è Sven Lidman, poeta erotico, seduttore, arrivista, autore
di romanzi ambientati in quell’alta società in cui è entrato di straforo, che
trova nel movimento la salvezza dalla morte interiore, diventandone l’altra
figura carismatica? I due «gemelli di Dio», opposti e complementari,
l’organizzatore e l’incantatore di folle, il costruttore e l’intellettuale,
l’uomo dei diseredati e il poeta che rivoluziona la predicazione, due pianeti
che fatalmente si avvicinano, attratti nelle reciproche orbite fino a
un’inevitabile collusione. Non è mai per giudicare che Enquist sceglie per
protagonisti i più controversi personaggi della storia, ma per cercare di
capire la complessità umana e il presente, interrogando il passato: non c’è via
d’uscita ai meccanismi del potere? È fatale che ogni grande ideale per
diffondersi si trasformi in istituzione, che ogni movimento popolare diventi
chiesa o partito, perdendo la fiamma interiore, l’anima rivoluzionaria? Qual è
il legame tra illuminismo, socialismo e una fede religiosa che predica il
battesimo dello Spirito, il parlare in lingue, le guarigioni miracolose,
diffusa tra più di duecentocinquanta milioni di persone nel mondo? Ma non è un
caso che i fatti vengano visti attraverso la testimonianza di un terzo personaggio:
il mite Efraim. Scavando nelle radici, anche in Lewi e Sven Enquist riconosce
se stesso, ma il suo cuore resta dalla parte degli esclusi dal potere, dei
semplici che ci credono davvero, degli anonimi che non hanno voce e forse per
questo «parlano in lingue», e sulla cui tomba si può scrivere: «Era umile, ma
fece del suo meglio».
IL
MEDICO DI CORTE
Pagg.
448 - € 17,50
«Tu sei un sentimentale, amico mio, un San Francesco
tra i poveri di Altona. Ma ricordati che sei un illuminista. Devi guardare
lontano. Oggi, tu vedi solo gli esseri umani davanti a te, ma guarda oltre. Sei
una delle menti più brillanti che conosca, e una grande missione ti attende…
Potresti applicare le tue teorie nella realtà. Nella realtà.» È così che Johann
Friedrich Struensee, giovane medico tedesco, idealista, impregnato di idee
illuministe, taciturno e schivo, viene convinto ad accettare l’incarico di
medico personale, e poi Primo Ministro, del re di Danimarca Cristiano VII, quel
re diciottenne intelligente e sensibile, che scambia lettere con Voltaire, e
che una mostruosa educazione conduce volutamente sull’orlo della follia,
perché si perpetui il vuoto di potere di cui la Corte ha bisogno per mantenere
il proprio. È il 1768: per quattro anni la Danimarca conosce una rivoluzione
che anticipa, senza sangue, senza terrore, le conquiste della Rivoluzione
francese di vent’anni dopo. Dalla libertà di pensiero, di stampa, di culto,
alle più avanzate riforme sociali fino al progetto di eliminazione della
servitù della gleba: in seicentotrentadue decreti Struensee, intellettuale
ignaro dei giochi della politica, firma la propria rovina, aprendo la strada a
quella reazione che Guldberg, pietista assillato dalla missione di salvare la
Danimarca dal peccato, non farà che pilotare. Ma è innamorandosi della regina
che Struensee decreta la propria condanna. Quella Caroline Mathilde, giunta
smarrita quindicenne dalla corte inglese a Copenaghen come sposa del re, che
diventa in poco tempo, con la scoperta della passione e dell’eros, una donna
libera, viva, conscia del proprio potere e capace di usarlo con lucidità. Una
rivoluzione che ha il suo momento magico nella breve felicità di una passione.
I meccanismi del potere, il dilemma dell’intellettuale davanti all’azione, il
«guardare lontano» senza più riuscire a «vedere vicino», laicismo e
fondamentalismo, la forza liberatoria dell’eros e l’ossessione della purezza, la
luce della ragione e il suo lato oscuro, la follia e il desiderio: gli
ingranaggi della storia riportano sempre in scena lo stesso dramma, ma nella
danza della morte in cui sono trascinati i personaggi, resta sospeso nell’aria
il suono di un flauto, la musica della libertà e dell’amore, l’ostinato
sopravvivere delle idee che non si lasciano decapitare.
Citazioni
«Qualche
volta mi domando se non sia stato dato un compito troppo grande a un medico di
Altona, restio, puro di cuore, e non sufficientemente colto.»
(Per
Olov Enquist, Il medico di Corte p. 256)
«"Vostra
maestà, certe volte non è del tutto semplice comprenderVi." Aveva creduto
che queste parole sarebbero passate inosservate, tenendo conto della
disattenzione del re. Invece Cristiano aveva posato la penna e aveva guardato
Struensee con un'espressione di intenso dolore, o di paura, o di qualcosa che
avrebbe voluto che Struensee capisse. "Sì", aveva detto. "Ho
molte facce". Struensee l'aveva osservato con attenzione, avendo
percepito nella voce del re un'intonazione che gli era nuova. Cristiano aveva
poi continuato: "Ma, dottor Struensee, in quel regno della ragione che voi
vorreste creare, c'è forse posto soltanto per uomini tutti d'un pezzo?" E
dopo un attimo aveva soggiunto: "Ma c'è posto, allora, per me?"»
(Per
Olov Enquist, Il medico di Corte p. 178)
«Il
5 aprile 1768 Johann Friedrich Struensee fu assunto quale medico personale del
re di Danimarca Cristiano VII, e quattro anni più tardi fu giustiziato.»
(Per
Olov Enquist, Il medico di Corte p. 13)
Alessandro Baricco, che ha
scelto il Medico di corte tra i 50 «libri della vita», ne
ha detto:
«Per Olov Enquist è un narratore squisito, e in quel particolare
artigianato (distillare dalla Storia delle storie) è, per quel che ne
capisco io, uno dei migliori.
Ha oggi 77 anni, è noto per il suo impegno politico, è svedese. Non ci sarebbe
da stupirsi se ce lo ritrovassimo premio Nobel, prima o poi. Ma a parte
questo: scrive limpido, con architetture nitide e mai banali, una
misura incantevole e dei cambi di velocità da
ragazzino. Di rado forza le cose, e spesso sembra giusto
accompagnarle, come pochi scrittori sanno fare. Ha un
timbro di voce di cui non ho mai veramente scoperto il
segreto: credo che parta da una specie di freddezza da
referto medico e poi la scaldi al fuoco lento della sua personale
meraviglia. Il risultato è strano: è come sentire un notaio che legge un
testamento, ma il testamento è il suo, e allora la voce è più calda, e ogni
parola piena di cose, e il tutto così irripetibile – ordinato ma
irripetibile. Una cosa, in particolare, gli devo riconoscere, con
invidia: ha un modo sconcertante di prenderti, ovunque tu sia,
e di posarti in mezzo alle storia che racconta: lo sanno fare in
molti, ma lui lo fa con un gesto mite, da artigiano modesto, che ti
prende di sorpresa. Ti ritrovi lì in mezzo, ma maledettamente in
mezzo, e neanche ti accorgi che qualcuno ti aveva preso in mano e ti aveva
posato su quella scacchiera di cui nulla sapevi. Lasci che lui
giochi, allora, ed è, per lo più, un piacere.»
processo a
hamsun
pagg. 243, € 11,50
Il «caso Hamsun» è uno di quelli che ancora accendono passioni e suscitano polemiche: il dramma di un grande scrittore, Premio Nobel, amato e stimato, riconosciuto come il portabandiera dell’identità della giovane nazione norvegese, che si schiera dalla parte degli occupanti tedeschi quando invadono il suo paese, difende il nazismo, scrive l’elogio funebre di Hitler e viene processato e condannato per alto tradimento dai suoi connazionali. I fatti sono noti e, soprattutto dopo l’appassionato e documentatissimo Il processo Hamsun di Thorkild Hansen del 1978, non è per scoprirne di nuovi che si riaprono atti e incartamenti: a quasi cinquant’anni di distanza, dice Enquist, non c’è più bisogno di «quantificare colpe ed emettere sentenze», non è più il «colpevole o innocente» che ci interessa, ma è l’inquietante perché, il com’è potuto avvenire che vorremmo cercare di capire. È rievocando con grande intensità e immediatezza gli anni fra il 1936 e il 1953, che Enquist ci offre il suo tentativo di interpretazione, puntando il riflettore sul declino di un artista vissuto troppo a lungo, sulla tragedia di un uomo molto vecchio, molto sordo, che vive sulle soglie della morte una «danza macabra» matrimoniale, che vede intorno a sé la sua famiglia andare in pezzi, crescere l’odio e il disprezzo verso la sua persona e diventare riprovevole e infame tutto quello che aveva sempre ritenuto giusto e corretto. Ma oltre alla profonda umanità del caso Hamsun è soprattutto l’emblematica figura dell’intellettuale che sta a cuore a Enquist: autore da esami di coscienza, mette sotto accusa la perenne sindrome di chi, affascinato da teorie e ideologie, si ostina a negare tutto ciò che le contraddice e, volendo guardare lontano, non sa o non vuole vedere la realtà che ha sotto gli occhi.
LA PARTENZA DEI MUSICANTI
Pagg.374 - € 14,50
Inizio secolo, nell’estremo Nord della Svezia, una
terra di foreste e ghiacci isolata dal resto del mondo: è qui, dove è nato e
cresciuto, che Enquist ambienta il suo romanzo-verità, uno dei tanti
interrogativi che continua a rivolgere alla storia, un tentativo di rimeditare
e capire quella realtà che ha spinto uno svedese su sette, in quei decenni, a
emigrare oltre oceano. È «l’altra faccia del Western»: una storia di ieri che,
in altre parti della terra, rimane ancora tragicamente storia di oggi.
Ricostituite sulla base di documenti reali, testimonianze e aneddoti familiari,
le vicende rievocano gli anni dal 1903 al 1910: il nascere e il morire delle
prime associazioni operaie, la timida adesione ai primi scioperi, il lento e
faticoso farsi strada di una coscienza politica nei contadini e negli operai
delle segherie di quella «terra delle tenebre», dove giunge per la prima volta
la «buona novella» del socialismo, scuotendo con il doloroso travaglio delle
idee nuove l’equilibrio di secoli di immobilismo, di oppressione, di miserie e
ingiustizie accettate con religioso fatalismo. Ma non si tratta di un romanzo a
tesi: è nella disarmante umanità del vissuto quotidiano che impercettibilmente
avvengono i grandi cambiamenti della storia. Enquist non vuole far altro che
«registrare meticolosamente, come un contabile privo di immaginazione, tutti
quegli esseri pii, devoti, imperfetti, impotenti e perdenti, che si rimettevano
fiduciosi alla volontà dei loro oppressori, negando ostinatamente di essere
delle vittime».
STRINDBERG: UNA VITA
Pagg. 304 - € 15,00
Enquist è scrittore che ama provocare:
dalla scelta dei temi, scottanti problemi di storia o di attualità, a quella
dei protagonisti, spesso grandi mistificatori o mostri, fino allo stile, secco
e senza concessioni, vuole scuotere, suscitare reazioni, scardinare facili
risposte acquisite. Come Sciascia, parte spesso da fatti reali per costruire la
sua opera sul margine sottile che corre fra documenti e invenzione. così il
suo Strindberg: una vita: non una biografia, ma un punto di
vista personale, in cui l’autore fa gli inevitabili conti che ogni scrittore
svedese si trova prima o poi a dover fare con l’ingombrante «padre», il
«monumento nazionale», che fu però al centro di scandali e processi, osannato e
insultato, ora in trionfo e ora bandito. era una figura complessa e
contraddittoria: misogino che ebbe tre mogli da cui fu amato e odiato con
passione, socialista anarchico, ma affascinato da Nietzsche, mistico
visionario, ma processato per vilipendio alla religione, pittore solitario e
inquieto nomade, fotografo e alchimista, artista che visse in prima persona
tutti i fermenti del suo tempo. la vita è raccontata per immagini, con
l’immediatezza, l’efficacia e la facilità del linguaggio visivo. si tratta,
infatti, di un «romanzo televisivo», servito da sceneggiatura per una serie a
puntate trasmessa sui teleschermi di mezza Europa. Enquist scrive di Strindberg
come in un dramma di Strindberg, punta i riflettori sui lati nascosti e sceglie
intenzionalmente episodi forti o ambigui ponendo al centro della scena non tanto
l’artista, ma l’uomo del suo tempo, l’epoca da cui è scaturita la nostra, e
l’uomo nella vita quotidiana, con i dubbi e le illusioni che fanno ogni giorno
la nostra.
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