Di Vincenzo Zaccone
In questi giorni è in corso una mostra-evento
incentrata sul legame tra Antonio Canova e la città di Roma, con oltre 170
opere e prestigiosi prestiti da importanti Musei e collezioni italiane e
straniere
Nel 2014, durante il periodo delle feste
natalizie, il comune di Milano, in associazione con Eni, si rese propugnatore
di un duplice rilevante incontro con il pubblico, presso Palazzo Marino e, più
precisamente, in sala Alessi, già nota, ad esempio, per esser stata la camera
ardente della poetessa Alda Merini. Ormai al quarto anno di collaborazione con
il museo Louvre di Parigi, dopo aver ospitato nel 2011 “L'Adorazione dei
pastori” e “San Giuseppe falegname” di Georges de la Tour, nel 2010 “Donna allo
specchio” di Tiziano e nel 2009 “San Giovanni Battista” di Leonardo da Vinci,
per il Natale 2012 e fino al 13 Gennaio 2013 ha esposto “Amore e Psiche stanti”
di Antonio Canova e “Psiché et l'Amour” di François Gérard. Le opere sono una la resa marmorea e
l'altra quella su tela dell'arte neoclassica di fine 1700 che incontra il mito
di Amore e Psiche, narrato da Apuleio ne Le Metamorfosi.
Partiamo dalla storia di per sé, così come lo
scrittore romano di scuola platonica la raccoglie da tradizioni a lui
precedenti e nella versione in cui la rende nel suo scritto, che è il più
antico esempio di romanzo latino. Psiche era una fanciulla mortale la cui
bellezza straordinaria diventa oggetto di attenzione da parte dei popoli vicini
che le offrono sacrifici e la chiamano Afrodite. La dea della bellezza, venuta
a conoscenza della cosa, invidiosa e collerica nei confronti della ragazza,
invia suo figlio Cupido così che la faccia innamorare dell'uomo più brutto
della Terra.
Nel frattempo i genitori di Psiche, dopo aver consultato un
oracolo, abbandonano la figlia in cima a una rupe, perché il suo destino sia
compiuto, ma all'arrivo del dio dell'amore, questi si innamora della mortale e
con l'aiuto di Zefiro trasporta la fanciulla nel suo palazzo. Per non incorrere
nell'ira della madre, Cupido incontra Psiche segretamente nel buio della notte
e i due consumano la loro passione ardente e vanno incontro a un amore che mai
era stato conosciuto prima da altro uomo. Così Psiche diventa prigioniera nel
palazzo di Cupido, ignorandone l'identità, vinta da una passione carnale che ne
travolge i sensi. Una notte però decide di conoscere il volto del suo amante e
con una lampada ad olio si avvicina a lui, ma una goccia cade ed Eros si desta,
scoprendo che la fanciulla ha tradito il loro patto e vola via da lei. La
ragazza, disperata, inizia a peregrinare in cerca di Eros e della benevolenza
degli dei, finché non arriva presso il tempio di Venere e a lei si consegna. La
dea la sottopone a diverse prove, l'ultima delle quali consiste nel discendere
nel mondo degli Inferi per chiedere alla dea Proserpina un po' della sua
bellezza. Durante il suo ritorno dall'Ade, Psiche cede alla tentazione di
aprire l'ampolla contenente il dono della dea, il quale altro non è che il
sonno più profondo. A quel punto accorre in suo aiuto Cupido, che la risveglia
e con lei va a chiedere aiuto a suo padre, il dio Giove. Questi, mosso da
compassione, trasmuta Psiche in una dea. E' così che Cupido e la sua amata
possono diventare sposi e dalla loro unione nasce una figlia, Piacere.
Questi gli antefatti, diciamo così, o meglio gli
elementi che son stati messi insieme per creare uno dei miti più conosciuti e
ripresi del mondo greco. E proprio le opere dei due artisti rappresentano il
loro modo di definire la storia, di darle un'accezione, ritraendo i due
personaggi nel momento e nelle modalità per loro più significativi.
Così, per quanto riguarda lo scultore di Possagno,
egli aveva già trattato i due personaggi dell'epos, singolarmente, nelle statue
di “Psiche fanciulla” e “Cupido alato”, a cavallo del 1793, per poi passare
alla molto più conosciuta trattazione della storia con “Amore e Psiche
giacenti”, conservato anch'esso al Louvre, a seguire “Amore e Psiche
abbracciati” e infine l'“Amore e Psiche stanti”, di cui sopra. Al tempo Antonio
Canova era già uno scultore conosciuto, dopo il soggiorno romano era diventato
il ritrattista ufficiale di Napoleone Bonaparte e in lui già si riconosceva
l'esponente più illustre del Neoclassicismo, rifacendosi alle concezioni
teoriche di Johann Joachim Winckelmann. Questi viene considerato, a ragione, il
fondatore dell'archeologia moderna, in quanto fu il primo che, nel suo libro “Storia
dell'arte dell'antichità”, dà una lettura delle opere d'arte antica come la
risultante delle condizioni politiche, sociali e intellettuali che facevano da
sfondo all'attività artistica e quindi ne delinea l'evoluzione dall'arte greca
a quella dell'Impero romano, effettuandone un'analisi stilistica. Nelle sue
teorie si ha l'esaltazione della forma e la sua sublimazione che si riscontra
nella statuaria greca e in particolar modo nel nudo umano, che non è affatto
reale ma è quello ideale delle statue di Fidia, del canone di Policleto e degli
atleti di Lisippo. In questa sua celebrazione parla anche della suggestione
estetica relativa al candore del marmo che distingue le statue dell'antichità,
ma facendo questo cade in un malinteso, perché si scoprì poi alla fine del XIX
secolo che la statue greche e anche i templi erano completamente ricoperti di
colori naturali (soprattutto nero, rosso e bianco), i quali con il tempo sono
stati lavati via dalle piogge. Proprio in tutto questo apparato concettuale si colloca
l'opera canoviana in generale e in particolare il nostro “Amore e Psiche
stanti”, che si presenta come una distesa di candido marmo bianco, dentro cui
prendono forma i corpi dei due soggetti che morbidamente si adagiano l'uno
all'altra.
La statua sul piedistallo forgiato dal Canova
La scena è conchiusa, imperturbabile,
inavvicinabile: Amore cinge lievemente la spalla della sua amata, definendo
fisicamente la scena del di lei dono della farfalla nella sua mano e non c'è
tensione emotiva, non c'è passione, condensazione di sentimenti o la
comunicazione degli stessi: l'unica cosa possibile è la contemplazione estetica
di quanto avviene, una partecipazione esterna, lucida, che scivola addosso alle
forme piane, perfette, immutabili, che non concedono allo sguardo di
soffermarsi su alcun particolare perché tutto appare armonico, inavvicinabile,
asettico. Anche i gesti con cui Psiche appoggia la farfalla e Amore si
abbandona a lei sono privi di forza, leggeri, così come lieve è il panneggio
che nasconde le pudenda della fanciulla e le volute dei ricci dei protagonisti
non increspano affatto l'immagine complessiva ma ne condensano la staticità.
Anche l'espressione degli occhi dei due giovani e il tenue sorriso che li
sottende sembrano partecipare dell'eternità, dell'infinita ebrezza dell'unione
di due corpi che non è gioia contenuta ma pacata serenità.
Particolare dell'opera marmorea |
L'intera scena è allegorica, sempre secondo i
canoni di Winckelmann: nella levigatezza del marmo, nella modulazione della
luce che, sinuosa, crea contrasti chiaro-scurali lungo i due corpi che danno
plasticità alle forme, nella rappresentazione priva di carnalità,
nell'essenzialità di Amore che viene rappresentato senza i suoi connotanti
arco, frecce e ali, Canova non parla dell'amore dei due personaggi ma di quello
universale, suggellato dall'atto simbolico del dono della farfalla. L'artista
considerava questa sua opera superiore alle precedenti rese del mito, in cui aveva
deferito il messaggio di unione all'atto fisico del bacio, optando questa volta
per il simbolo: la farfalla rappresenta l'anima che Psiche dà in dono al suo
amato. Facendo ciò epura ulteriormente la storia da ogni espressione di
sentimenti passionali e la assevera a un concetto di atemporalità mediato dalla
regola winckelmanniana di “nobile semplicità e quieta grandezza”.
Storicamente, un anno dopo che Canova portò a
termine la propria opera, il pittore francese François Gérard dipinse su tela
con colori a olio lo stesso soggetto, dichiarando apertamente che si tratta di
un omaggio alla statua dello scultore italiano. Gérard era nato a Roma, ma alla
fine del '700 si era trasferito a Parigi, dove divenne allievo del pittore
neoclassico Jaques-Louis David. La tela ripropone i due soggetti, reimpostando
la composizione:
La tela di Gérard |
Psiche siede su una roccia in un prato i cui
fiori sono minuziosamente rappresentati, avvolta, anche qui, da un drappo
trasparente che non nasconde le gambe, che timidamente si accavallano
all'altezza della caviglia, mentre tiene le braccia incrociate in grembo e con
la mano sinistra sottolinea la forma del seno nudo. Lo sguardo si rivolge allo
spettatore, cercandone la partecipazione al momento in cui Amore, nudo, ma
questa volta caratterizzato con le ali e la faretra, sensualmente protruso
verso di lei sta per abbracciarla e baciarla in fronte, teneramente.
Protagonista assoluta è Psiche, mentre Amore appare personaggio che partecipa
alla scena dominata dal candore e dallo sguardo misterioso della fanciulla, che
sembra suggerire un abbandono voluttuoso al suo amato. Una candida farfalla
sovrasta il bacio dei due amanti, un elemento di unione ripreso da Canova che
evoca il duplice significato della parola Psiche in greco, la quale sta sia per
farfalla che per anima. Anche qui non viene raccontato nessun episodio in
particolare ma è trattato semplicemente il tema dell'unione amorosa. L'intera
scena è ritratta in un contesto di natura armoniosa e tersa, resa con colori
tenui e opachi, priva di eccessi, e trova compendio nei corpi levigati dei due
amanti che ricordano le porcellane del tempo. Il tutto richiama il concetto
neoclassico di armonia e semplicità che si voleva contrapporre agli eccessi del
precedente stile rococò. Le figure si compongono tra loro secondo una struttura
chiastica d'ispirazione canoviana (lo scultore ne aveva fatto largo uso nelle
sue opere ed evidente appare in “Amore e Psiche sdraiati”) che segue le linee
guida di due diagonali di cui una va dall'alto a sinistra a in basso a destra,
mentre l'altra parte dalle ali in alto a destra e prosegue in basso a sinistra
dove trova unite le gambe di lei e di lui. Infine i colori scuri dei capelli e
delle ali di Amore delimitano il candore dei due corpi che risalta sullo sfondo
blu e verde e smorza la sensualità che la tela suggerisce, andando incontro
così alla rivalutazione della delicatezza e dell'innocenza dell'epoca.
Ma torniamo al nostro mito, così come ce lo ha
tramandato Lucio Apuleio. La storia, nella versione narrata, vissuta proprio
dai personaggi epici di Psiche e Cupido, ci rimanda al significato recondito
che si allaccia al concetto di amore platonico, che non è, come si crede,
quello che non viene consumato carnalmente, ma è quello che riesce ad arridere
all'Eterno. Così Psiche, cioè l'anima, riuscendo a superare prove immani, riesce
a destarsi e, donandosi all'Amore, partecipa del divino. Secondo Platone,
fondatore della metafisica e rilettore del mito, il mondo reale è speculare a
quello delle idee e il mito di Amore e Psiche è simbolo di come l'uomo,
appartenente alla realtà fisica, riesce attraverso questo sentimento, se
vissuto in maniera pura, a elevarsi dal suo stato e attingere alla realtà
metafisica. Il termine psyché, che in greco appunto significa anima,
entra a far parte del lessico ellenico proprio con la poesia e con l'epica di
Omero, le cui narrazioni vertono sempre sul rapporto tra gli uomini e gli dèi.
La scienza dell'anima, cioè della psiche, diventa oggetto della filosofia di
Socrate, di cui sono discepoli Platone e quindi Apuleio, Canova e Gérard.
In ogni caso, il mito, con il messaggio che
veicola, viene riportato in forma scritta dal filosofo e scrittore romano, il
quale non nasconde di essere un “servitore” della tradizione orale e dichiara
anche le sue origini metà getule e metà numidi (popolazioni nordafricane); in
effetti, se senza dubbio la favola è debitrice alla cultura greco-latina, è
vero anche che vi si riscontrano elementi della cultura nordafricana. Lo
scrittore, linguista e antropologo berbero Mouloud Mammeri ha di recente messo
in evidenza che la fiaba appare molto simile, a meno di piccole differenze, al
racconto cabilo L'uccello della tempesta. A sua volta quest'ultimo ha
grosse affinità con una storia della tradizione marocchina dal titolo Ahmed
Unamir. Entrambe le fiabe rievocano la storia solo nella prima parte, fino
alla fuga dell'amante segreto, ma esistono anche versioni più complete quali Fiore
splendente, della Cabilia orientale, nella quale si ritrovano le peripezie
cui va incontro l'eroina per cercare lo sposo presso l'orchessa Tseriel, sua suocera.
E comunque, senza andare troppo lontano nel tempo, anche il mito-favola
medievale de La bella addormentata nel bosco, reso noto nell'800 dalla
rielaborazione effettuata dai fratelli filologi Grimm, affonda le sue radici
proprio in Amore e Psiche.
Di questa somiglianza di tradizioni, di miti, di
simboli che paiono essere comune denominatore di popolazioni tra loro lontane
per tempo, aree geografiche e quindi cultura, se n'era occupato e domandato il
motivo lo psicoterapeuta Carl Gustav Jung. Egli riprese il concetto di
inconscio individuale, alla base della teoria psicoanalitica e del metodo di
interpretazione dei sogni freudiano, e formulò la teoria dell'inconscio
collettivo, come uno spazio della psiche che resta, al pari di quello
individuale, inconsapevole e che è comune a tutti gli esseri umani, in quanto
riguardante l'insieme dei meccanismi biologici, fisici e quindi psichici che
fanno parte dell'Uomo in quanto razza umana, a prescindere dalle condizioni
socio-culturali in cui cresce. Dunque ogni essere umano, indipendentemente
dall'epoca, dal suo colore, dalle singole peculiarità, in quanto tale è
costituito da un corpo che funziona da sempre uguale per tutti e questa
struttura fisica, genetica, costitutiva rende conto di una struttura mentale comune
a tutti cui afferiscono ogni tipo di elemento primordiale, istintivo,
preverbale che esiste semplicemente perché ha le basi nell'uomo come “animale”.
Quindi, partendo da metodi di elaborazione uguali per tutti, detto in altri
termini, essendo gli uomini assimilabili tra di loro in quanto a mezzi che gli
consentono di pensare, agire e immaginare, allora si avrà questo mare comune,
che Jung chiama inconscio collettivo appunto, in cui ciascuno uomo si muove e
vive le peculiarità della propria vita. Secondo Jung, rientrano a far parte di
questo sostrato comune della nostra coscienza i miti, gli archetipi, i simboli
e le idee che da sempre accompagnano l'umanità, ed esso è suddivisibile in
inferiore, medio e superiore. Il livello inferiore è legato al passato
dell'umanità, quello medio ai valori socio-culturali di un determinato momento
storico e quello superiore alle potenzialità future del genere umano. Il
modello junghiano presto virò, come tutta la sua psicanalisi, verso il
misticismo, e arrivò alla figura dell'uomo come facente parte di qualcosa di
più grande che si ergeva ben al di là delle singole esistenze. In ogni caso,
che la connessione dell'uomo all'inconscio collettivo venga spiegata in
termini mistici o materiali, essa appare
tangibile in elementi comuni riscontrabili nei sogni di differenti individui.
Certo viene da pensare che se questo inconscio
collettivo presuppone una matrice comune concreta, fisica, che ha le sue
ripercussioni nei sogni e nelle nostre architetture mentali, allora magari sarà
a maggior ragione riscontrabile a un livello molto più materiale e misurabile
all'interno del “sistema” genere umano. Cioè, partendo da una constatazione che
deriva dall'osservazione di una Vita di livello universale cui ogni singolo
uomo afferisce e, da qui, arrivando a postulare l'esistenza di questo strato
comune a ogni epoca e ogni individuo, chiamiamolo pure inconscio collettivo,
allora si dovrebbe anche riuscire a intercettare le prove di tutto ciò su un
piano reale, scientifico (inteso come qualcosa di osservabile, misurabile e
riproducibile) che possa portare a una formulazione teorica che lo
giustifichi...
Il professor Roger Nelson è il direttore, presso
la Princeton University del New Jersey, del progetto Global Consciousness
Project (progetto sulla coscienza globale), insieme a un' équipe di
filosofi, fisici e ingegneri, oltre che essere il coordinatore degli
esperimenti dei laboratori di “Ricerca delle anomalie”. Fin dal 1980 ha portato
avanti un sistema sperimentale che consentisse di mettere in evidenza
l'influenza che le menti umane possono avere sulle macchine. A partire da metà
anni '90 è iniziata poi l'applicazione della tecnica elaborata su scala globale
per dimostrare come le menti siano capaci di influenzarsi a vicenda e inducano
un flusso di dati univoco nelle macchine che dimostrerebbe il condizionamento
esterno in maniera chiara. Queste macchine si chiamano GNC, cioè generatori di
numeri casuali, e ne furono installate 65 nei cinque continenti. I dati
raccolti lungo il pianeta furono inviati tutti all'università di Princeton,
dove sono stati poi analizzati, mettendo in evidenza dei momenti di
funzionamento anomalo, in cui i diagrammi che riproducono i risultati disegnano
curve fuori dalla norma. Nel 1997, in particolare, le macchine denunciarono
un'alterazione del loro funzionamento in corrispondenza del funerale di Madre
Teresa di Calcutta e di quello di Lady Diana, due eventi che coinvolsero
l'attenzione e l'emotività del pianeta intero. A quel punto si decise di
aumentare il raggio di ricerca, con la creazione di nuovi punti di raccolta in
tutto il mondo. Così si ebbe modo di osservare i cambiamenti indotti da eventi
drammatici quali i terremoti: più di 600 osservazioni confermarono le previste
anomalie del sistema e, in particolare, si notò che le scosse con epicentro
sulla terraferma inducevano un'alterazione di funzionamento nelle macchine,
cosa che non accadeva in caso di epicentro in mare, quindi in assenza di
uomini. Un altro esempio “lampante” e significativo è quello registrato durante
il capodanno, cioè un evento partecipato dalla stragrande maggioranza
dell'umanità: qui si è iniziato a registrare le anomalie a partire da 5 minuti
prima della mezzanotte e il loro numero è aumentato pian piano per poi
scomparire di nuovo. Ancora più definitivo fu il risultato che si ottenne dopo
gli attentati dell'11 Settembre alle Torri Gemelle: la commistione di
sentimenti di paura, terrore, ansia, dolore portarono ad alterazioni delle
rilevazioni che perdurarono ininterrottamente due giorni. Proprio questi dati,
dunque, in quanto molteplici e univoci, sembrerebbero essere le evidenze
scientifiche del fatto che l'accadimento di un evento di rilevanti proporzioni,
sia nel bene che nel male, sortisce, a partire dal luogo di origine, in una
reazione a catena, una macchia d'olio che si allarga senza controllo in ogni
direzione, portando all'amplificazione esponenziale dei sentimenti da esso
scatenati, e questi a loro volta hanno come risultato finale il condizionamento
di apparecchi tecnologici. In tutto questo nostro percorso, però, ci manca di
cogliere il perché di tutto, cosa ne sia la ragion sufficiente, quale il quid
che consente a questo complesso meccanismo di avere luogo e che possa spiegare
come poi le menti umane riescano a interagire con qualcosa che altro non è che
un ammasso di fili e led e metallo ed elettricità..
Nel 1916 il grande Albert Einstein pubblica La
relatività generale, libro in cui riprende e sviluppa il concetto di
spazio-tempo, enunciato ne La relatività ristretta. Nell'insieme dei
suoi studi, il fisico scardinò i concetti classici di spazio e tempo,
affermando che l'unica costante universale fosse la velocità della luce (c)
e che quindi gli altri due parametri potessero variare dipendentemente al punto
di vista dell'osservatore, cosicché se un uomo si potesse muovere alla velocità
della luce nell'universo vedrebbe i corpi celesti deformarsi, allungandosi, ed
egli stesso si contrarrebbe nella direzione in cui si sta muovendo, mentre il
tempo rallenterebbe. Dunque Einstein associa alle tre dimensioni spaziali di
larghezza, lunghezza e profondità, quella temporale, sviluppando il concetto
dello spazio-tempo come struttura quadridimensionale dell'universo. Dunque lo
spazio che ci circonda smette di esser vuoto e appare costituito da una
intelaiatura di linee tra di loro perpendicolari, tipo le maglie di un
setaccio, in cui ciascuna di esse rappresenta un fenomeno presente in quella
regione di spazio in quel determinato istante: la lunghezza della linea
rappresenta la dimensione temporale, lo spessore e la larghezza connotano la
disposizione nello spazio dell'evento/corpo. Ogni elemento dell'universo è
immerso nello spazio-tempo inducendone una deformazione tanto più grande quanto
maggiore è la sua massa e all'interno di questa alterazione delle tre
dimensioni spaziali anche il tempo viene modificato, rallentando. Ad esempio la
Terra provoca una deformazione dello spazio-tempo che rende conto
dell'attrazione della Luna ad essa, in quanto questa struttura dell'universo
deve essere intesa come una sorta di telo elastico teso curvato dalla massa di
una palla e questa curvatura intercetta un corpo vicino (la Luna)
costringendolo a permanere all'interno della deformazione creata.
Questa scoperta rese comprensibile a livello
concettuale la legge di gravitazione universale di Newton, nella quale, sebbene
le formule matematiche spiegassero i fenomeni naturali, la Forza di gravità era
priva di consistenza e di fisicità e non spiegava perché il potere di
attrazione tra due corpi dovesse essere direttamente proporzionali alle loro
masse e inversamente proporzionale alla distanza tra gli stessi. Ma c'è di più,
perché lo spazio-tempo diventa non solo la struttura in cui ogni elemento
dell'universo è immerso, compreso ogni essere umano, ma anche il mezzo
attraverso il quale avviene la trasmissione di energia, come quella
elettromagnetica. A tal proposito, non è forse vero che ogni individuo può
essere associato a onde elettromagnetiche? Infatti, le cellule di cui gli
esseri umani sono composti sono un insieme di atomi, in cui, è vero, la somma
delle cariche è zero e la cellula risulta essere neutra, tuttavia la
trasmissione degli impulsi nervosi avviene mediante la creazione di atomi
carichi negativamente, gli ioni, che si accumulano all'esterno delle membrane
fino a raggiungere una soglia limite per la quale ha inizio la propagazione
dell'impulso generato. Dunque si tratta dello spostamento lungo le nostre
terminazioni nervose della carica elettrica negativa d'origine che velocemente
raggiunge l'organo bersaglio. Da ciò ne viene che, data la generazione di un
campo elettromagnetico per ogni distribuzione di carica elettrica variabile nel
tempo, la propagazione di questo genera un'onda elettromagnetica. E per tornare
al genere umano, c'è da desumere che la continua attività elettrica che nasce e
si estingue nel nostro cervello porti alla generazione di onde
elettromagnetiche che vengono trasmesse di continuo attraverso lo spazio-tempo,
intercettando quelle degli altri individui che ci circondano. Sono quindi
questi i termini specifici in cui si può parlare di una connessione che
interessa tutti gli uomini? Vien da pensare che un elemento induttore quale un
evento drammatico o la gioia del capodanno possa portare nell'immediato alla
convergenza dei pensieri dei soggetti che assistono all'evento e che da questi
pian piano il “messaggio”, codificato attraverso le frequenze mentali di ogni
persona, porta a una sorta di “polarizzazione” del flusso magnetico complessivo
(somma delle singole onde che in esso convergono) che ha come risultato
l'insorgenza di anomalie nel funzionamento di apparecchi tecnologici. Ciò
renderebbe conto anche delle premonizioni, portando a credere che queste non
siano altro che la percezione inconscia dell'intenzione di far accadere
qualcosa, ancor prima che l'evento stesso abbia luogo. Ad esempio, nel caso
dell'attentato alle Torri, le macchine collegate all'università di Princeton
iniziarono a segnalare alterazioni già quattro ore prima dello schianto del
primo aereo.
Certo le cose potrebbero stare così, perché no,
o, altrettanto probabilmente, così non sono. Come al solito si sta qui non a
cercare di enunciare una verità in cui poter credere ma solo a disquisire di
idee, di suggestioni, la cui probabilità di essere possa rendere la vita più
affascinante. E, in quanto a questo, l'idea di appartenere a qualcosa di così
grande da mettere in gioco forze al tempo stesso così macroscopiche quanto
invisibili, la possibilità che la propria vita possa far parte di un flusso
continuo che prevede il contributo di ogni elemento costitutivo ma che in ogni
caso il primo sappia fare a meno del secondo, la convinzione di poter far parte
di un'entità psichica (nell'accezione originaria di anima) eterna, ecco, tutto
questo da un lato può esser vissuto in modo entusiastico, ponendo l'accento
sull'importanza del singolo che partecipa di qualcosa di rilevanza cosmica,
dall'altro può anche far risaltare ancor di più l'inconsistenza di un elemento
del “sistema” che si accende, dà il suo contributo e si spegne, cedendo il suo
posto senza stridori. D'altronde, non esiste altra realtà che quella cui siamo
disposti a credere. Ad esempio, proprio in questo numero della rivista si parla
del film Cloud Atlas, in cui l'intera sceneggiatura è sorretta dall'idea
che ogni uomo sia parte di un flusso vitale che attraversa l'esistenza di tutti
gli esseri umani e va oltre nell'eternità del tempo e questa idea è trasmessa
in un'accezione che esalta ogni individualità; quindi si parla dell' “oceano
come una moltitudine di gocce” e del fatto che ogni gesto compiuto determina un
cambiamento nelle vite future a cui si è collegati. La pensava in maniera del
tutto diversa, invece, la protagonista del noto romanzo Lettera a un bambino
mai nato, a cui Oriana Fallaci, in una chiusura epigrafica, lascia dire:
“guarda, s'accende una luce.. si odono voci.. qualcuno corre, grida, si
dispera... ma altrove nascono mille, centomila bambini, e mamme di futuri
bambini: la vita non ha bisogno né di te né di me. Tu sei morto. Ora muoio
anch'io. Ma non conta. Perché la vita non muore”.
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