di Giovanna Rotondo
Mentre
scrivevo il mio libro in omaggio a Orlando Sora, artista del Novecento, ho
rimpianto di non aver ben ascoltato, ragazzina, le tante storie che lui mi
raccontava, soprattutto quelle appartenenti alla sua vita fanese del tempo di
“Cronache di Frusaglia”, il primo libro scritto dal suo amico Fabio Tombari, un
libro arguto e singolare sulla gente di quei luoghi, come adesso non ce ne sono
più. I due erano amici sin dalla primissima infanzia, quasi coetanei, Tombari
aveva tre anni più di Sora o poco più, ambedue avevano vissuto in un ambiente
molto “frusagliano", per usare un terminologia “tombariana”. E tale doveva
essere Fano a quei tempi: cittadina di pescatori in riva al mare con un passato
di antica città romana, ben visibile ancora oggi.
Passeggiando
per il centro di Fano, molti anni dopo, cercavo di immaginarmi come poteva
essere la città un secolo prima. Una città dove tutti si conoscevano, con Sora
e Tombari che se ne andavano insieme per il corso — la madre di Sora, modista,
e il padre fabbro, avevano negozio l’una accanto all’altro proprio sotto la
casa in cui abitava Tombari — e che cosa potessero dirsi due tipi così diversi
tra loro nell’aspetto e nello spirito: con la parola facile Tombari, mentre
Sora s’inceppava ogni due parole o ci impiegava una vita a spiccicarne una.
Erano diversi anche fisicamente, alto e magro Tombari, con un fare brusco che a
volte metteva soggezione; di statura media, magro ma possente e con un viso da
asceta, Sora. E belli tutti e due!
Sia Tombari
che Sora, ma soprattutto Tombari, raccontavano come nessuno avesse mai
manifestato all’altro la sua passione per l’arte, per uno strano pudore o
ritrosia. Tuttavia li legava un affetto profondo che avevano coltivato
scambiandosi frequenti visite tra Fano, dove Tombari ha abitato fino al 1951,
anno in cui si è trasferito a Rio Salso di Tavullia, e Lecco, quel ramo del
lago di Como tanto decantato dal Manzoni, dove risiedeva Orlando Sora dal 1931.
Tombari fingeva
di credere, la storia lo divertiva e ne parlava di frequente, che Sora,
appassionato di boxe - era stato pugile per diletto - avesse intrapreso la
carriera di pugile.
Si
scoprirono a vicenda quando divennero entrambi affermati come scrittore l’uno e
pittore l’altro. E il 1927 fu l’anno della svolta per tutti e due: Fabio
Tombari pubblicò il suo primo libro “Cronache di Frusaglia”, che ottenne grandi
riconoscimenti e a cui fu aggiudicato il premio dei “dieci” due anni dopo.
Continuò a scrivere con successo, pubblicato dalle più importanti Case
Editrici, tra cui, per lungo tempo, da Arnoldo Mondadori Editore. I suoi libri
sono stati tradotti in molte lingue.
Nel 1925
Orlando Sora si sposta a Milano per iscriversi all’Accademia di Brera a
studiare figura e composizione. Dopo un anno circa, il giornalista e critico
d’Arte Pier Maria Bardi, avendolo visto dipingere, lo invita a partecipare
all’esposizione della Galleria Micheli per il 1927, invito che Sora accetta,
presentando ben 52 opere: impressionante il talento dimostrato! Personaggi come
Carlo Carrà, Mario Sironi, Aldo Carpi, Vincenzo Bucci e molti altri parlarono
di lui come di un’autentica promessa per la pittura italiana, e così accade
alla mostra del 1928 presso la stessa galleria. Negli anni a venire avrebbe
continuato a imporsi all’attenzione del pubblico e della critica partecipando a
eventi nazionali e internazionali con i migliori artisti del tempo.
Sora è un
figlio del Novecento, il tempo in cui è nato e ha vissuto le sue esperienze, ma
è difficile attribuirgli una tendenza: la sua pittura, pur entrando a pieno
titolo in quel periodo ricco e bellissimo per l’Arte italiana, è assolutamente personale. Alcune opere,
collocabili nel periodo del Realismo Magico o del Chiarismo, ma anche quelle di
altri periodi, mostrano appieno le sue capacità pittoriche. Sia Sora che
Tombari erano lontani da gruppi e avanguardie, amavano lavorare in silenzio e
solitudine, come due artigiani: nel suo studio di Lecco, Sora, nella sua casa
di Fano e, in seguito, in quella di Rio Salso, Tombari.
Orlando Sora
viveva in un mondo tutto suo, una realtà fatta di suoni e colori: la sua mente
era sempre affollata da visioni e immagini, oltre a un grande talento possedeva
capacità lavorative e di studio notevoli. Un uomo che guardava al Rinascimento,
il desiderio di poter realizzare opere di pittura murale come l’affresco era
per lui una necessità.
Ed era anche
un appassionato musicista ed eccellente interprete della chitarra classica,
negli ultimi anni della sua vita si era esibito in concerti solisti importanti.
Aveva accompagnato la corale di Lecco trascrivendo personalmente, da musiche
barocche e rinascimentali, i testi che eseguiva alla chitarra solista.
La sua
natura schiva e riservata lo portò ben presto a vivere appartato e a dedicarsi
al suo lavoro lontano da qualsiasi forma di pubblicità. Ma ritornava a Fano
tutti gli anni. Amava la città della sua infanzia e s’incontrava con Fabio
Tombari.
Ed è a Fano
che vidi Tombari per la prima volta, mi trovavo con Sora nei pressi del bar
Centrale, un incontro breve e casuale, non sapevo chi fosse. Poi un giorno
andammo a trovarlo a Rio Salso, a cui, allora, Sora faceva riferimento come a
Rio Salso di Pesaro, oggi ho scoperto che è Rio Salso di Tavullia o Mondaino e
la cosa mi ha alquanto confuso. Tombari diceva scherzosamente che dormiva nelle
Marche e mangiava in Romagna poiché la casa era situata sul confine tra le due
Regioni, in un piccolissimo borgo nella campagna marchigiana, un puntino nel
verde delle valli, dove Fabio Tombari aveva vissuto con la famiglia per molti
anni: una bella casa di campagna, piena di profumi, di sogni, di amore.
Apparteneva alla famiglia di Angela, sua moglie, una persona rara alla quale lo
scrittore dettava i suoi scritti e affidava i suoi pensieri e le sue emozioni:
“La Casa nel Nulla”, com’ è stata definita poeticamente in tempi recenti,
riferendosi alla meravigliosa e incontaminata natura che la circondava e la
circonda ancora oggi. Ricordo che l’atmosfera del luogo mi aveva affascinato e
avevo desiderato tornarci.
Ho rivisto
Fabio Tombari a Lecco diverse volte, ospite di Sora, ma, credo, anche di
Alfredo Chiappori, illustratore e scrittore lecchese. Lo ricordo una volta a un
concerto di Sora, attorniato e festeggiato, ho scambiato con lui poche parole,
era difficile per me, allora ragazzina poco più che ventenne, parlare a uno
come lui, mi sentivo impacciata e c’erano sempre molte persone intorno a lui
che desideravano parlargli. Tuttavia era spesso presente nei discorsi di Sora e
questo mi dava la sensazione di conoscerlo più di altri.
Nonostante
le evidenti differenze fisiche e caratteriali Orlando Sora e Fabio Tombari non
erano dissimili nel loro modo di intendere l’arte: due personaggi autentici che
non si lasciavano influenzare da mode e retoriche esterne e forse per questo
sono stati dimenticati o relegati a un ruolo minore.
Il ricordo
di questi due artisti di grande personalità è per me un privilegio come quello
di averli conosciuti e frequentati. Il desiderio di presentarli insieme vuole essere
una testimonianza dell’amicizia che li legava, mostrando la poesia e l’incanto
delle loro opere.
La lirica Essere di Fabio Tombari sarà
illustrata dai dipinti di Orlando Sora. La scelta, per decidere quale tra
dipinti o affreschi inserire, è stata faticosa. Pur tuttavia sono stata
costretta a scegliere e l’ho fatto seguendo alcuni criteri: composizioni
eseguite in periodi diversi e un’atmosfera descrittiva in sintonia con
l’essenza della lirica.
Tra i dipinti, l’affresco della chiesa di
San Giuseppe a Lecco, un affresco mirabile per bellezza e tecnica,
indubbiamente uno dei capolavori di Orlando Sora, e alcune immagini delle 14
formelle degli affreschi della Via Crucis che si trovano nella chiesa di San
Giorgio ad Acquate di Lecco.
Avendo lo
stesso Fabio Tombari scritto l’introduzione a uno dei primi cataloghi di Sora,
nel 1968, ho pensato che non potesse esserci presentazione migliore per un
artista di quella scritta da un altro artista con cui molto si è condiviso. E
nella parte finale del libro un racconto intitolato a Orlando Sora e firmato
“dall’amico suo Fabio Tombari.
Giacomo
Panicucci descrive, nella presentazione che fa di Fabio Tombari, una singolare
figura di scrittore, particolare nello stile delle sue opere e nelle scelte di
vita. Per certi versi non dissimile dalla descrizione che Tombari fa di Sora
nella sua introduzione. Inoltre, Panicucci ci presenta un breve ma efficace
commento della lirica “Essere”.
Federica Antonelli introduce l’affresco
della chiesa di San Giuseppe a Lecco, Il Giorno del Giudizio, e una breve
sintesi sulla vita di Orlando Sora da lei apprezzato e considerato a tutti gli effetti, un artista del Novecento
italiano.
Giacomo
Panicucci e Federica Antonelli hanno discusso le loro tesi di Laurea su Tombari
e Sora in due periodi e luoghi diversi, senza essersi mai incontrati: Giacomo
all’Università di Pisa nel 2012; Federica all’Università Cattolica del Sacro
Cuore di Milano nel 2017.
Due giovani
che senza conoscersi sono stati attratti da due straordinari artisti nati e cresciuti
nella stessa città: dallo scrittore l’uno e dal pittore l’altra. Una bella
coincidenza! E anche per me l’esserne venuta a conoscenza.
Essere
fino a morirne
ed essere in tutte le cose.
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