di Alessia Ghisi Migliari
L’Ouse scorreva vicino alla sua casa.
Deve aver percorso in pochi minuti, l’ultima strada –
nelle tasche tanti sassi pesanti.
E poi, una volta sulla riva, ha continuato a
camminare, finché è scomparsa, sotto l’acqua, nel profondo.
Era il 28 marzo del 1941: Virginia Woolf era
finalmente riuscita a scappare dalle voci che la infestavano, dalla sua pena
costante e da una vita troppo stanca.
Immaginate una famiglia: la vostra, o lo stereotipo –
non necessariamente edulcorato e pubblicitario – attraverso il quale ricamiamo
nella nostra testa l’immagine di un nucleo di persone coeso, affettuoso, sicuro
(un porto franco).
E poi immaginate tutte le infinite varianti di questo modello: le intrusioni, i
fallimenti, gli investimenti emotivi traditi, il caos.
Ecco, la storia della grande scrittrice rientra nella seconda ipotesi:
un’esistenza spuntata su un terreno senza solidità.