!-- Menù Orizzontale con Sottosezioni Inizio -->

News

mi piace

venerdì 6 settembre 2024

Foxy Lady di Heiko H. Caimi

 

 

Era una giornata di sole a Venezia, di quelle che ti fanno credere che persino i piccioni in Piazza San Marco possano ballare il minuetto. Una corrente d’aria vivace come un allegretto si faceva strada tra calli, campi, sotoporteghi e canali portando un armonico sollievo. All’Università Ca’ Foscari gli studenti erano in fermento per la sessione di esami. Al dipartimento di Storia della Musica, una leggenda metropolitana ronzava tra le aule: il professor Mario Bortolotto, luminare della musicologia e autore di tomi imprescindibili come «Fase seconda» e «Introduzione al Lied romantico», era noto anche per la sua fama di essere magnanimo negli esami. Bastava presentarsi, biascicare qualche parola su Brahms o Schubert, e un trenta e lode era praticamente assicurato.


Quel giorno si presentò per ultimo un tipo che sembrava appena uscito dal concerto di Woodstock – un fricchettone con capelli lunghi e ricci, un gilet a fiori e una chitarra che probabilmente aveva visto più assioli che accordature. Il giovane, con lo sguardo un po’ perso ma fiducioso, posò la chitarra su una sedia libera della prima fila e sedette davanti al professore.

Bortolotto, con il suo aspetto impeccabile e il solito sorriso sornione, squadrò il giovane e gli domandò, con fare quasi paterno: «Allora, giovanotto, quale autore ha preparato per oggi?».

Il ragazzo, gonfio d’orgoglio, rispose: «Jimi Hendrix, professore».

Un silenzio tombale calò nell’aula. Sembrava di avvertire i fantasmi dei grandi musicisti aggirarsi nell’aula brandendo bacchette cariche di gelido rancore. Gli altri studenti trattennero il respiro. Bortolotto invece non si scompose, fissò il giovane per un attimo e, senza battere ciglio, commentò: «Interessante. E quale pezzo, in particolare, vorrebbe discutere?»

«Foxy Lady»,» rispose il fricchettone con un sorriso che sembra dire “Trenta e lode, sto arrivando!”.

Bortolotto, che aveva probabilmente già intuito come sarebbe andata a finire, invitò il ragazzo a iniziare.

Il fricchettone iniziò a parlare: «Beh, ecco... Allora...», poi, con più sicurezza, aggiunse: «Foxy Lady è, tipo, uno dei pezzi più potenti di Jimi, no? Cioè, lui con questa canzone fa un po’ di tutto: prende il blues, il rock, un po’ di psichedelia e li mette insieme. Cioè, geniale! E poi c’è questa intro pazzesca, con quel riff che, tipo, sembra che la chitarra stia urlando, capito? Come un animale selvaggio in libertà. E poi usa un sacco di distorsioni, cose così, che nessuno aveva mai fatto prima, cioè... cose radicali, no? Ecco, è come se la chitarra parlasse da sola, non so se mi spiego”.

Il professore, con tono paziente ma aria leggermente perplessa, gli disse: «Capisco, molto poetico... Ma mi dica, può spiegare in che modo Hendrix usa gli accordi per creare quella sensazione di tensione e rilascio nella canzone? Quali tecniche armoniche specifiche ha notato?».

«Tecniche... Beh, lui suona con il wah-wah, no? E poi, quella voce...! È è come se ti parlasse direttamente al cuore, voglio dire... Un inno all’amore Jimi non si limitava a fare musica, stava cambiando il mondo! Con Foxy Lady, cioè... Faceva quelle cose tipo suonare con i denti o dietro la schiena, e la canzone, beh, parla di amore, di libertà... e c’è un sacco di wah-wah, come dicevo... Insomma, è potente, no? Tipo... boom boom, una roba psichedelica, prof... Hendrix è un genio, no? Ehm...»

Gli altri studenti, abituati alle lezioni di Bortolotto su Debussy e Schoenberg, iniziarono a mordicchiarsi le labbra per trattenere le risate. Il ragazzo sembrava appena uscito da una radio libera, con tanto di slogan in favore dell’amore universale e della pace nel mondo. Ma Bortolotto, lungi dal mostrare impazienza, si mise comodo sulla sedia e, con un leggero sorriso, gli fece cenno di continuare, suggerendo: «Ma... più nello specifico delle tecniche armoniche?».

«Beh, poi, cioè...» balbettò il ragazzo, «ci sono... ci sono questi accordi tipo... maggiori, minori... insomma... una roba incredibile! Stratosferica, proprio!»

A quel punto Bortolotto appoggiò i gomiti sul tavolo e si chinò in avanti, come per raccontare un segreto. Gli occhi gli brillavano di un entusiasmo quasi malizioso. «Mi consenta,» disse, «di intervenire. Vede, la struttura armonica di Foxy Lady è molto più complessa di quanto lei possa immaginare. Per esempio, l’uso del tritono tra il sol e il si bemolle nella strofa non è affatto casuale: serve a creare una tensione che viene poi risolta nell’accordo di mi settima nella sezione del ritornello. E la progressione, mi permetta di dire, segue una logica modale piuttosto sofisticata, giocando sull’alternanza tra il modo dorico e mixolidio. Lei non ha notato come il basso in levare accompagna la linea melodica per sottolineare l’urgenza delle parole ‘I wanna take you home’? È un perfetto esempio di come Hendrix usi la musica per intensificare il significato emotivo del testo. E questo solo per citare l’inizio del brano...».

Il ragazzo, che fino a quel momento aveva l’aria di un leone in gabbia pronto a ruggire, sembrava oramai ridotto a un gattino sotto la pioggia. Ogni parola del professore era un colpo, un uppercut alla sua illusione di poter superare l’esame con poche impressioni confuse: solo in quel momento intuì cosa davvero potesse essere “Foxy Lady”.

Dopo quella dissertazione magistrale, che lasciò la platea di studenti in uno stato tra l’ammirato e l’attonito, Bortolotto guardò il giovane dritto negli occhi e, con un sorriso che era un misto di divertita ironia e di severità, sentenziò (letteralmente): «Mio caro, lei non sa un cazzo di Jimi Hendrix. Se ne vada!».

Il fricchettone, rosso in volto, si alzò lentamente, quasi tremando, recuperò la chitarra, che abbracciò e continuò a stringere come un’ancora di salvezza, e uscì dall’aula con passo incerto. Gli altri studenti, ammutoliti, si guardavano tra di loro, domandandosi se ciò cui avevano appena assistito fosse stato un sogno o uno dei più grandi momenti nella storia dell’università.

Bortolotto si alzò, raccolse i suoi libri e, prima di uscire, si voltò verso i presenti: «E la prossima volta, signori, preferirei che vi preparaste almeno su Brahms o Schumann, se proprio non volete rischiare».

Con un intimo sorriso ironico uscì dall’aula, lasciando dietro di sé un’atmosfera di stupore e un nuovo aneddoto da tramandare ai posteri.

 

FINE

 

 

Desidero ringraziare Gian Guido Mussomeli per avermi riportato alla memoria questo episodio, permettendomi di immaginarne uno svolgimento possibile.


Nessun commento:

Posta un commento