Era una giornata di sole a Venezia, di quelle che ti fanno credere che persino i piccioni in Piazza San Marco possano ballare il minuetto. Una corrente d’aria vivace come un allegretto si faceva strada tra calli, campi, sotoporteghi e canali portando un armonico sollievo. All’Università Ca’ Foscari gli studenti erano in fermento per la sessione di esami. Al dipartimento di Storia della Musica, una leggenda metropolitana ronzava tra le aule: il professor Mario Bortolotto, luminare della musicologia e autore di tomi imprescindibili come «Fase seconda» e «Introduzione al Lied romantico», era noto anche per la sua fama di essere magnanimo negli esami. Bastava presentarsi, biascicare qualche parola su Brahms o Schubert, e un trenta e lode era praticamente assicurato.
Quel giorno si
presentò per ultimo un tipo che sembrava appena uscito dal concerto di
Woodstock – un fricchettone con capelli lunghi e ricci, un gilet a fiori e una
chitarra che probabilmente aveva visto più assioli che accordature. Il giovane,
con lo sguardo un po’ perso ma fiducioso, posò la chitarra su una sedia libera
della prima fila e sedette davanti al professore.
Bortolotto,
con il suo aspetto impeccabile e il solito sorriso sornione, squadrò il giovane
e gli domandò, con fare quasi paterno: «Allora, giovanotto, quale autore ha
preparato per oggi?».
Il ragazzo,
gonfio d’orgoglio, rispose: «Jimi Hendrix, professore».
Un silenzio
tombale calò nell’aula. Sembrava di avvertire i fantasmi dei grandi musicisti
aggirarsi nell’aula brandendo bacchette cariche di gelido rancore. Gli altri
studenti trattennero il respiro. Bortolotto invece non si scompose, fissò il
giovane per un attimo e, senza battere ciglio, commentò: «Interessante. E quale
pezzo, in particolare, vorrebbe discutere?»
«Foxy Lady»,»
rispose il fricchettone con un sorriso che sembra dire “Trenta e lode, sto
arrivando!”.
Bortolotto,
che aveva probabilmente già intuito come sarebbe andata a finire, invitò il ragazzo
a iniziare.
Il
fricchettone iniziò a parlare: «Beh, ecco... Allora...», poi, con più
sicurezza, aggiunse: «Foxy Lady è, tipo, uno dei pezzi più potenti di Jimi, no?
Cioè, lui con questa canzone fa un po’ di tutto: prende il blues, il rock, un
po’ di psichedelia e li mette insieme. Cioè, geniale! E poi c’è questa intro
pazzesca, con quel riff che, tipo, sembra che la chitarra stia urlando, capito?
Come un animale selvaggio in libertà. E poi usa un sacco di distorsioni, cose
così, che nessuno aveva mai fatto prima, cioè... cose radicali, no? Ecco, è
come se la chitarra parlasse da sola, non so se mi spiego”.
Il professore,
con tono paziente ma aria leggermente perplessa, gli disse: «Capisco, molto
poetico... Ma mi dica, può spiegare in che modo Hendrix usa gli accordi per
creare quella sensazione di tensione e rilascio nella canzone? Quali tecniche
armoniche specifiche ha notato?».
«Tecniche...
Beh, lui suona con il wah-wah, no? E poi, quella voce...! È è come se ti parlasse
direttamente al cuore, voglio dire... Un inno all’amore Jimi non si limitava a
fare musica, stava cambiando il mondo! Con Foxy Lady, cioè... Faceva quelle
cose tipo suonare con i denti o dietro la schiena, e la canzone, beh, parla di
amore, di libertà... e c’è un sacco di wah-wah, come dicevo... Insomma, è
potente, no? Tipo... boom boom, una roba psichedelica, prof... Hendrix è un
genio, no? Ehm...»
Gli altri
studenti, abituati alle lezioni di Bortolotto su Debussy e Schoenberg, iniziarono
a mordicchiarsi le labbra per trattenere le risate. Il ragazzo sembrava appena
uscito da una radio libera, con tanto di slogan in favore dell’amore universale
e della pace nel mondo. Ma Bortolotto, lungi dal mostrare impazienza, si mise
comodo sulla sedia e, con un leggero sorriso, gli fece cenno di continuare,
suggerendo: «Ma... più nello specifico delle tecniche armoniche?».
«Beh, poi,
cioè...» balbettò il ragazzo, «ci sono... ci sono questi accordi tipo...
maggiori, minori... insomma... una roba incredibile! Stratosferica, proprio!»
A quel punto
Bortolotto appoggiò i gomiti sul tavolo e si chinò in avanti, come per
raccontare un segreto. Gli occhi gli brillavano di un entusiasmo quasi
malizioso. «Mi consenta,» disse, «di intervenire. Vede, la struttura armonica
di Foxy Lady è molto più complessa di quanto lei possa immaginare. Per esempio,
l’uso del tritono tra il sol e il si bemolle nella strofa non è affatto casuale:
serve a creare una tensione che viene poi risolta nell’accordo di mi settima
nella sezione del ritornello. E la progressione, mi permetta di dire, segue una
logica modale piuttosto sofisticata, giocando sull’alternanza tra il modo
dorico e mixolidio. Lei non ha notato come il basso in levare accompagna la
linea melodica per sottolineare l’urgenza delle parole ‘I wanna take you home’?
È un perfetto esempio di come Hendrix usi la musica per intensificare il
significato emotivo del testo. E questo solo per citare l’inizio del brano...».
Il ragazzo,
che fino a quel momento aveva l’aria di un leone in gabbia pronto a ruggire,
sembrava oramai ridotto a un gattino sotto la pioggia. Ogni parola del
professore era un colpo, un uppercut alla sua illusione di poter superare
l’esame con poche impressioni confuse: solo in quel momento intuì cosa davvero potesse
essere “Foxy Lady”.
Dopo quella
dissertazione magistrale, che lasciò la platea di studenti in uno stato tra l’ammirato
e l’attonito, Bortolotto guardò il giovane dritto negli occhi e, con un sorriso
che era un misto di divertita ironia e di severità, sentenziò (letteralmente): «Mio
caro, lei non sa un cazzo di Jimi Hendrix. Se ne vada!».
Il
fricchettone, rosso in volto, si alzò lentamente, quasi tremando, recuperò la chitarra,
che abbracciò e continuò a stringere come un’ancora di salvezza, e uscì dall’aula
con passo incerto. Gli altri studenti, ammutoliti, si guardavano tra di loro,
domandandosi se ciò cui avevano appena assistito fosse stato un sogno o uno dei
più grandi momenti nella storia dell’università.
Bortolotto si
alzò, raccolse i suoi libri e, prima di uscire, si voltò verso i presenti: «E
la prossima volta, signori, preferirei che vi preparaste almeno su Brahms o
Schumann, se proprio non volete rischiare».
Con un intimo sorriso
ironico uscì dall’aula, lasciando dietro di sé un’atmosfera di stupore e un
nuovo aneddoto da tramandare ai posteri.
FINE
Desidero ringraziare Gian Guido
Mussomeli per avermi riportato alla memoria questo episodio, permettendomi di
immaginarne uno svolgimento possibile.
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