di Marisa Vidulli
Oggi alle 13 era il mio turno per il vaccino.
Scaricata al volo dall’auto della amorevole sorella, con il respiro che annaspa
dentro la mascherina, salgo due rampe elicoidali di scale e prendo posto
in una grande asettica hall.
Sotto le gelide luci al neon (o led che poi è
uguale) è seduta una moltitudine stranamente silenziosa di persone, in
postazioni regolarmente distanziate: un metro, sedia, un metro…. Resto in
attesa del mio turno mentre i video scandiscono altrettanto silenziosamente
i numeri a caratteri cubitali.
Poco dopo eccomi in fila, una fila anche qui
ordinatamente distanziata: un metro, signore anziano, un metro, signora con
bastone, (ma i ricchi dove vanno a farsi vaccinare?). Poco dopo non si vedeva
più dove la fila cominciasse e finisse.
Dopo una serie di svolte venivamo smistatati
nelle varie sale d’attesa. Amorevoli pensionati con la tuta gialla e blu della
protezione civile indicavano la strada e controllavano che tutto si svolgesse
come da programma.
Un programma probabilmente steso con la
supervisione del nostro italico Generale che, pur non avendo per niente il
piglio energico dei generali dei Marines a cui il cinema ci ha abituato,
forse per quella penna amata da tutti che porta sul cappello e ancora più
per il suo nome trasmette, comunque nella generale
disorganizzazione nostrana, un senso di sicurezza, come una protezione
ecclesiastica o come quella di un buon padre di famiglia.
Eccoci di nuovo seduti su una doppia fila
di seggioline, una rossa, un metro, una bianca, un metro…
Sembrava un gioco che si faceva da bambini:
all’avviso dell’omino in tuta gialla e blu si scattava in piedi e si slittava
di un posto. Tutto molto ordinato, ben programmato e tutti, stranamente, molto
ubbidienti: la paura della morte è riuscita a mettere tutti in fila.
Io – come al solito molto scettica – osservo,
ascolto con una sensazione sgradevole addosso non bene identificata.
Certo, sono un animo solitario essere
regimentata mi innervosisce, dissidente per DNA, ubbidire agli ordini pure.
Dopo lunghe riflessioni sul senso delle vita, poi non condivido la stessa paura
degli altri, ma per un senso di responsabilità e la necessità di
continuare a viaggiare… anch’io mi trovo lì a balzare di sedia in sedia. Sembra
tutto inevitabile e alla fine, controvoglia, obbedisco.
Quella strana sensazione però non mi molla, un
senso di dejà vu, qualcosa che se non ricordo male non andava a finire
tanto bene. Tocca a me:
“Signora, qui nella scheda ha scritto che ha
avuto due shock anafilattici a seguito di ingestione di bottarga e carpaccio di
tonno, lei il vaccino non lo può fare. Sa i vaccini sono ancora in fase di
sperimentazione… lei deve richiedere una visita da un allergologo ed essere
vaccinata in una situazione protetta”.
Ah sì? che bello! per ora niente vaccino?! O
forse dovrebbe seccarmi? Non so.
Infilandomi per altrettante innumerevoli porte e
corridoi finalmente esco alla luce, non proprio del sole perché piove, ma
almeno luce naturale. Mi scollo la mascherina e respiro a pieni polmoni e con
quel respiro si dissolve anche la sensazione spiacevole che mi aveva
attanagliato per tutto quel tempo.
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