di Marco Moretti
La stanza è piccola, un cubo con base di venti metri
quadrati.
Le pareti bianche riflettono la luce del neon,
amplificandone il candore. Contrastano col nero delle anime che vi transitano
abitualmente.
Lo specchio, al di là del quale stanno detective e profiler dell' FBI, restituisce l'immagine del tavolo fissato al
pavimento.
Al tavolo siedono due persone. La divisa rossa, DOC
sulla schiena, le mani ammanettate al tavolo; di fronte siede Frank Blackwood.
A dispetto del cognome è un sessantenne bianco, pallido e con la barba lunga.
Frank è considerato il massimo esperto di serial
killer, un volume vivente.
Nemmeno per lui questo è un interrogatorio di routine.
La notizia è rimbalzata su tutti i network del paese:
cadaveri in avanzato stato di decomposizione, adolescenti maschi e femmine,
uccisi con brutalità, con rabbia. E poi mutilati.
Li hanno rinvenuti nel giardino della villetta dopo
segnalazioni dei portalettere e dei netturbini. Tutti conoscevano quel terreno
così ben curato. L'accusa è di dieci omicidi, ma gli scavi stanno proseguendo e
le vittime potrebbero essere più numerose.
La tragedia ha sconvolto la piccola città di provincia.
C'è un altro motivo, per cui questo è un
interrogatorio speciale, per Frank Blackwood: anche lui abita in quella
cittadina. Vive solo, da oltre venti anni. Da quando sua moglie Ann l' ha
lasciato.
Frank è stimato per quello che fa, è il migliore e mi
ripeto, ma nessuno vorrebbe raccogliere quello che ha scavato in trent'anni di
lavoro. Forse neppure lui. Per questo, quando conduce gli interrogatori,
indossa una maschera. Non tradisce emozioni e non rivela le sue intenzioni.
-
Hai un bel
giardino, non posso negarlo - dice con voce
calma; le giuste pause, senza
alzare il tono.
Frank
ha le mani sul tavolo, le dita intrecciate. Non ha messo ostacoli tra sé e la
persona da interrogare. Conosce il linguaggio del corpo, sa affrontare il buio,
anche sotto forma di assassini freddi o
distaccati.
Ma ha davanti il buio totale, un buco nero.
Il presunto killer non risponde e mantiene lo sguardo
fisso, senza emozioni. Non arrossisce, non suda, non muove un dito ne' fa una
smorfia: una maschera analoga a quella che indossa lui. Fredda, impersonale.
-
Gradisci acqua o
un caffè ? Uno snack?
Nessuna risposta, verbale o corporea. Frank sente che
nella stanza c'è solo il suo odore: un profumo secco, con aroma di sandalo. La
persona davanti a lui non emana nulla, invece. Calore, odore, emozioni, suoni,
movimenti. Il profiler ha capito cosa manca, tutto.
-
Coltivi da sola
le tue piante o ti aiuta qualcuno?
Lei rimane in silenzio. Bionda, circa trent'anni,
magra, fisico asciutto e mani curate, senza
graffi o calli. La bocca carnosa, due cuscinetti invitanti, senza rossetto. Ovviamente anche sul viso non
c'è trucco, tuttavia le ciglia sono lunghe e curate. La divisa del carcere
lascia intuire le curve, il corpo tonico.
Frank detesta ammetterlo, ma ricorda Ann in modo
angosciante: è bella e sexy come lei, peccato per quel viso gelido.
- E' un lavoro
pesante, curare un giardino. Richiede lavoro continuo, bisogna spostare pesi,
usare attrezzi, salire e scendere dalla cantina.
La maschera non mostra cedimenti: Frank versa dell'
acqua in un bicchiere e lo porge alla donna.
Al di là dello specchio, dietro un vetro invisibile,
il detective Monetti e lo psichiatra forense Berckovitz assistono
all'interrogatorio, mentre una telecamera filma tutto.
- E' incredibile.
Non mostra coinvolgimento. Quei ragazzi morti non contano...
- Dottore, ciò che
conta è che il colpevole confessi e spieghi il movente. Il resto è contorno.
- Ma questo è un
caso da pubblicare, un' eccezione! Voglio vedere fino a che punto riuscirà a spingersi.
Oltre lo specchio, l'investigatore continua il monologo per aprire una crepa nella maschera
di marmo dell’omicida.
- Anche io ho un
giardino, sai? Grande, con piante da
frutto, siepi e fiori. E' multicolore. A me piace chiamarlo multietnico. Ti
dice nulla? - si insinua, il serpente
che cerca una fessura.
L'età delle vittime andava da quattordici a
diciassette anni; frequentavano scuole diverse, e non si conoscevano. Tre
bianchi, tre ragazze di colore, due asiatiche e due ispanici. Quasi tutti avevano fatto diversi lavori
part-time, in nero, per mettere via qualche dollaro o concedersi una vacanza
alla fine degli studi.
Un killer multietnico, come il giardino.
Frank guarda lo
specchio e parla, osserva se stesso e la
donna.
-
Non sembri stanca
o affamata, eppure non hai dormito, ne' mangiato. So che ti tengono isolata,
per evitare che i detenuti comuni ti aggrediscano. So che lasciano la luce
accesa tutta la notte.
La donna non dà segnali, il corpo congelato. Resta
seduta con la schiena dritta e le mani bloccate al tavolo.
Frank sente un brivido di stanchezza. Ha le labbra
asciutte, un crampo gli contrae lo stomaco. Anche lui non mangia e non dorme da
trentasei ore. Vuole finire il lavoro iniziato da altri con la scoperta dei
cadaveri nel giardino, ma la situazione è pesante, difficile. Non riesce a
trovare un pertugio per infilarsi dentro la testa del killer.
In ogni caso si rende conto che lui inizia a cedere,
mentre l’altra rimane cristallizzata nella sua immobilità. Lo fissa, lo guarda,
ma non dice nulla.
- Sai perché hanno
cominciato ad avere sospetti? Il tuo giardino è sempre stato ben curato, con la
terra ricoperta dal prato all' inglese e fiori bellissimi. Poi qualcuno ha
notato che c'erano zone senza erba e senza piante. Erano scomparsi quei
ragazzi, è nato un sospetto. Ma non bastava, ci volevano indizi più gravi per
indirizzare le ricerche.
Le risposte di Frank sembrano rivolte a se stesso: non
c'è contraddittorio, nessuna risposta verbale o fisica. Il profiler si alza,
gira intorno al tavolo e passa dietro la donna. Si ferma davanti allo specchio
e lo fissa in silenzio.
Dall'altra parte Monetti e Berkovitz sentono un brivido.
Per favore,silenzio in sala, nessuno fiati, niente pubblicità.
Frank
fa un lungo sospiro, poi tira fuori dalla tasca della giacca una foto dello
splendido giardino. L'erba curata in modo maniacale, le piante disposte in
alternanza di colori.
- Tutti qui, erano.
Ragazzi giovani, alla ricerca di un lavoro. Hai offerto loro di darti una mano
in giardino e poi...
- Dr. Berckovitz,
sta succedendo qualcosa - sussurra
Monetti dietro lo specchio.
La voce del profiler è cambiata, anche se di poco. Frank
appare nervoso, questa è una novità. Lui, famoso per la freddezza, inizia a
mostrare una traccia di emozione.
- Ma tutto questo
non puoi averlo fatto tu, da sola. Hai qualcuno. Un uomo, compagno o amante.
Non ha importanza, conta solo che vi frequentate, conoscete tutto l'uno
dell'altro. Gusti e abitudini, ritmi di vita, preferenze sessuali.
Silenzio. L' aroma del profumo di Frank sta lasciando
spazio all' odore acido del sudore, la calma cede alla rabbia.
- Detective
Monetti, Frank sta per esplodere. Potrebbe diventare violento!
- Che importa? Vogliamo una confessione o no?
Frank naviga nervosamente intorno al tavolo; si ferma,
un pugno sul ripiano e un grido.
-
Dillo! Come è
andata, eh? Ti facevi quei ragazzi e lui era geloso? Non ti bastava un uomo,
avevi bisogno di carne fresca!
Il volto di Frank sfiora quello della donna. Nella
furia delle accuse gocce di saliva
colpiscono le guance levigate di lei. Ma non si muove di un millimetro, la
pelle del viso non si increspa in una ruga.
Frank cede di schianto. Allarga il braccio e la
colpisce al volto con uno schiaffo.
La testa della donna rotola in terra con un rumore
lieve, attutito. Il suono che producono trecento grammi di silicone cadendo sul
pavimento.
Il viso della donna in plastica non è cambiato, lo sguardo
fisso e il sorriso sintetico sono gli stessi che Frank ha scelto dodici mesi
prima nel catalogo on-line.
Lei è la donna ideale, sempre consenziente, sempre
disponibile. Tutte le ore, tutti i
giorni. Per fare sesso, sì, certo. Ma anche per una colazione in giardino o un
film insieme. Per ammirare dalla veranda i fiori colorati che Frank piantava e
curava per lei. E poi assomigliava in modo incredibile a sua moglie.
Il ricordo di Ann per un attimo lo blocca, subito la rabbia riemerge.
Dietro lo specchio Monetti e Berckovitz sonoglassati.
Non muovono un muscolo, Frank si calma,
guardando la testa della bambola. Inizia a parlarle piano, lascia libere le
lacrime.
-
Tu non c'entri,
cara. E' stata colpa loro… E' stata colpa di quei ragazzi, che non capivano.
Non facevano altro che guardarti, quando ti lasciavo a prendere il sole in
topless. Non capivano perché te ne stessi lì, immobile. Qualcuno ha fatto
domande. Troppe domande. Qualcuno dei maschi si è avvicinato per guardarti, per
toccarti. Le ragazze invece... Non
lavoravano bene, non sapevano curare il giardino! Ma io volevo che stavolta
fosse tutto perfetto, tesoro. Io, tu e il nostro giardino. Hai sofferto troppo
e adesso che eri tornata, adesso che eri di nuovo con me, non dovevi avere
pensieri; solo riposare e goderti il sole. La mia compagnia e i nostri fiori.
Quei ragazzi non potevano capire.
Il detective Moneti prende il cellulare.
-
Louis, vieni a
prendere il fermato, ha confessato -
ordina e chiude.
Il dottor Berkovitz sembrava confuso.
-
Non riesco a
capire, Monetti. A cosa si riferiva Blackwood?
- Non lo sa dottore
? La moglie di Frank era una donna bellissima. Ne parlavano tutti, al lavoro. La
adorava. E' morta per una grave malattia, in pochi mesi.
-
Quando è
successo?
- Vent'anni fa. L' ha
accudita tutti i giorni, sino alla fine. Piantava anche fiori bellissimi e colorati per lei in
giardino.
Il killer viene portato via in manette, loro che rimangono
in silenzio, fissando un agetnte che raccoglie la testa della bambola per
aggiungerla alle prove contro Blackwood.
-
Ecco dottore, sta
tutto in quella faccia smorta.
-
Cosa intende,
Monetti?
- E' una maschera,
come quella che portava Frank da una vita.
La sua non si vedeva, era
indossata sopra l'anima.
Liberamente ispirato a Criminal Minds...con un profiler appena più problematico!
RispondiEliminaMarco Moretti