di Sandra Romanelli
Doria
Liboria Vella (detta Gnura Doria)
era nata in una famiglia siciliana
benestante, ma divenne molto povera in seguito alle vicende che segnarono la
sua vita. Bionda, occhi azzurri, carnagione bianchissima, era raffinata ed
elegante nei modi.
Nel paesino in provincia di Agrigento, dove la donna aveva stabilito la propria residenza, dopo le nozze con Antonino Giacalone, bracciante agricolo, tutti conoscevano la sua storia.
La scelta di sposare Antonino era stata molto osteggiata dalla sua famiglia che lo riteneva un partito non adatto al loro tenore di vita.
A
nulla erano serviti i tentativi dei parenti di presentare a Doria giovani
benestanti a loro graditi: lei li aveva rifiutati tutti con decisione. Il suo
cuore batteva solo per Antonino, nonostante fosse un ragazzo povero, senza arte
né parte, ma con tanta buona volontà di lavorare.
Questa
scelta della giovane, incomprensibile per i genitori, aveva scatenato un
terremoto in famiglia, tanto che il padre di Doria fu costretto ad
accondiscendere al desiderio della figlia, ma decise di vendicarsi,
diseredandola.
Le
nozze tra Doria e Antonino portarono nel primo anno di matrimonio il piccolo
Giovanni, al quale seguirono, negli anni successivi: Saro, Lena, Angelina e poi
Catena.
Lo
scoppio della guerra interruppe le gravidanze di Doria, portandosi Antonino al
fronte, ma bastò un breve congedo donato al soldato per far giungere in
famiglia, nove mesi dopo, un nuovo e inaspettato dono: Gaetano (Tanuzzu).
La
giovane madre, con i suoi sei figli, conduceva una vita di stenti ma, in attesa
del ritorno del marito dalla guerra, aveva cercato lavoro nelle case di persone
abbienti, come badante di qualche anziana signora; però non poteva impegnarsi che
per poche ore al giorno, giusto il tempo in cui Maruzza, la sua vicina di casa,
le curava i bambini, oppure la notte, dopo averli messi a letto.
Doria
si sacrificava tanto e sperava che con il ritorno di Antonino tutto sarebbe
cambiato, perché solo lui, con il suo lavoro, avrebbe potuto risollevare le
sorti della numerosa famiglia.
Intanto
tirava avanti con la Tessera Annonaria e nei giorni stabiliti si presentava in
Comune per ricevere quel poco che, per legge, le spettava.
Angelina
L’addetto
alle tessere annonarie era un impiegato molto gentile. Aveva ottenuto quel
posto in Comune perché in guerra aveva perso
una gamba, ma grazie a una
protesi riusciva a muoversi bene. Si chiamava Salvatore Russo. Era un uomo di
bell’aspetto, sposato a Maria Nicosia, una giovane che possedeva e gestiva un
laboratorio di sartoria, molto quotato.
Quell’attività permetteva alla donna di avere un buon numero di lavoranti e
molti facoltosi clienti. Purtroppo gli sposi non avevano figli, perché, pur
desiderando tanto dei bambini, a Maria il destino non aveva concesso di averne.
Quando
Doria si presentava in Comune con la tessera annonaria portava sempre con sé
uno dei suoi figli più piccoli in braccio, preferibilmente Angelina,
alla quale Salvatore dispensava sempre dei complimenti. Quella bambina tenera e dolcissima, che assomigliava
in modo impressionante alla madre, gli piaceva molto. Era bionda e con due occhi azzurri che
splendevano come stelle. Portava sempre un fiocco tra i capelli, azzurro come i
suoi occhi e salutava Salvatore con la
gentilezza che aveva imparato
dalla madre.
- Comu
ti chiami, picciridda? – le aveva chiesto un giorno l’impiegato.
-
Angelina –rispose la bambina con il suo
immancabile sorriso-. Salvatore, dopo
aver sbrigato le pratiche con la madre, prima che se ne andassero aveva
accarezzato benevolmente la testa della bambina.
Nonostante
l’aiuto che riceveva tramite la tessera, la vita per la giovane mamma era molto
dura, ma quando la guerra finì e il suo sposo tornò a casa, nulla cambiò per
Doria, anzi le condizioni della famiglia
peggiorarono perché lei non aveva previsto che la guerra, a volte, infligge ai
soldati delle ferite profonde e gravi.
Ad
Antonino lasciò dei postumi dolorosi, anche se invisibili: un’ulcera duodenale
che non riusciva a cicatrizzarsi e l’intervento chirurgico a cui si sottopose
al rientro in patria ebbe un esito funesto. Doria rimase sola con quelle sei
creaturine da sfamare e da crescere.
Un
giorno si presentò in Comune con
Angelina. La bambina non sfoggiava il suo solito sorriso ma aveva un’aria
triste e non aveva più il fiocco azzurro
a impreziosire i suoi biondi capelli, ma un nastro nero come il vestito della
madre, colore che Doria non
abbandonò più.
Salvatore
aveva saputo della scomparsa di Antonino e forse per aiutare la donna e i suoi
figli o forse per un desiderio suo e della moglie Maria fece a Doria una
proposta inaspettata.
- Gnura Doria, perché non
affida Angelina a me e mia moglie, una bocca in meno da sfamare vuol dire molto
e poi vedrà la bambina con noi starà bene, non le faremo mancare nulla.-
A
quelle parole Doria replicò con fierezza:
-
Dove mangiano in cinque, mangia anche un sesto bambino –e così dicendo scappò
via stringendo a sé la piccola come mai aveva fatto.
Il
bisogno, la fame e la disperazione fecero il resto, finché un giorno Salvatore
chiese a Doria di far conoscere Angelina a sua moglie e la piccola si ritrovò
nel laboratorio di sartoria di Maria.
Salvatore e Maria
Quando
Angelina entrò nel laboratorio, accompagnata
da Salvatore, tutte le lavoranti
si fermarono ad osservare quello splendore di bimba; c’era chi le faceva un
complimento, chi una carezza, chi le donava un dolcetto. Per l’occasione Salvatore le aveva portato un
abito bianco bellissimo, con nastri e una cintura azzurra. Poi aveva chiesto a
Doria di farlo indossare ad Angelina e di tornare a metterle il fiocco azzurro,
affermando che il nero non si addice a una bambina. I fratelli, ma soprattutto
le sorelle, avevano osservato quell’abitino nuovo con grande meraviglia.
La piccola fu al centro dell’attenzione di tutte le lavoranti della sartoria, fino a quando non entrò Maria.
La
sarta prese Angelina per mano e la portò in cucina. Qui c’erano tante provviste alimentari: la bimba non aveva mai
visto una tale quantità di cibo.
-
Cosa vuoi mangiare, cosa ti piace di più?-
Ogni
cosa che la bambina vedeva doveva essere buona, c’era l’imbarazzo della scelta.
- Mi
piace tutto – rispose Angelina.
Maria,
allora preparò un piatto e ci mise tutto quello che poteva starci: la bambina
divorò ogni cosa con piacere; allora Maria decise di riempire di nuovo il
piatto.
Intanto
la bambina, si aggirava nella stanza e vide una grossa pentola con sugo di
pomodoro; prese allora una fetta di pane e l’inzuppò in quell’intingolo prelibato,
ma nel fare ciò parte del sugo si riversò sull’abitino bianco.
Angelina
non ci badò, solo pensò che era meglio assaggiare tutte le cose buone di cui
quella cucina era provvista. Quando Maria tornò con il secondo piatto sorrise
divertita, vedendo la faccia di Angelina sporca di sugo e il vestitino bianco colorato
di rosso e chiese alla bambina:
- Ti
piacerebbe tornare ancora qui?-
-
Sì, sì, posso venire domani?
L’idea
di poter mangiare senza limitazioni la invogliava a tornare prima possibile.
-
Tornerai presto –aggiunse Maria mentre la consegnava a Salvatore-. Poi salutò
affettuosamente la bambina e ordinò alle lavoranti di tornare subito al lavoro;
le consegne da fare nei giorni successivi non consentivano interruzioni.
Angelina,
stringeva la mano di Salvatore e non vedeva l’ora di tornare a casa per
raccontare alla madre e ai fratelli la magìa di quella cucina dove c’erano
tante cose buone da mangiare. Per essere creduta aveva riempito le sue tasche di
qualche piccola bontà che, per sazietà,
non era riuscita a mangiare.
Dopo
aver deposto sulla povera tavola della sua casa quelle poche cose che le tasche
potevano contenere, Giovanni, il fratello più grande, disse:
-
Hai mangiato anche il sugo, vero?
-
No! -affermò decisamente Angelina-; quella squisitezza, infatti, non aveva potuto portarla con sé.
Le
macchie rosse sul vestitino bianco testimoniavano il contrario perciò, a quella
bugia, tutti i fratelli si misero a ridere di gusto e Angelina rise con loro.
Non trascorsero molti giorni e la piccola tornò di nuovo in quella casa lussuosa, ma questa volta, Maria, dopo averla sfamata, le disse che sarebbe rimasta lì anche a dormire.
Le
aveva preparato una cameretta tutta colorata, con un soffice letto e le aveva
fatto indossare un elegante pigiamino. Ma quando Maria chiuse la porta,
Angelina pensò ai suoi fratellini con i quali dormiva in un grande letto, dove
si addormentavano, a volte, anche senza cena; pensò alla mamma e immaginò il suo dispiacere a non
vederla rientrare. Allora, aspettò qualche minuto, poi, senza far rumore uscì
dalla camera per tornare alla sua povera dimora. Il portone di quella casa
aveva un catenaccio, ma la bambina mise tutte le sue forze per aprirlo e fuggì
via.
Abitava
non molto lontano da lì perciò fu facile per lei trovare la strada per far
ritorno dalla mamma e dai suoi cari fratellini.
Trovò
anche lì la porta sbarrata; bussò più volte chiamando mamma Doria.
- Mamma,
apri, fammi entrare! – strillò Angelina.
Nessuno
si affacciò al suo richiamo, le finestre rimasero chiuse.
Doria,
per quella e altre notti aveva accettato un lavoro da badante presso un’anziana
signora, così la bambina si sedette sui gradini di casa a piangere.
Intanto,
in casa Russo, si erano accorti della sua scomparsa e il domestico era corso
fuori per riportarla presso di loro.
Queste
fughe notturne proseguirono per alcuni giorni fino a quando Angelina pensò che
forse non poteva più tornare nella casa dove abitavano la mamma e i suoi
fratelli e si convinse che non le restava che rimanere lì, dove in fondo si
trovava proprio bene.
Del
resto Salvatore e Maria erano gentilissimi con lei, la riempivano di
attenzioni, non le facevano mancare nulla e lei cominciò a essere molto contenta di stare con loro, in quella
nuova casa.
Passò qualche anno e Maria trasferì la sua attività in una grande città del Nord dove anche Salvatore trovò presto un altro lavoro. Angelina partì insieme a loro poiché quella era diventata per legge la sua nuova famiglia e con i genitori affidatari cominciò una nuova vita, lontano dalla Sicilia e dalle vicende del passato.
Oggi Angelina è mamma e nonna felice. Gli anni non hanno tolto splendore ai suoi lucenti occhi azzurri, tanto espressivi, i suoi capelli sono tinti di biondo, per non dimenticare il colore dell’infanzia, solo il suo viso testimonia l’età, a causa di quel reticolo di rughe che le segna il viso, ma che rivela una nuova bellezza: quella della maturità.
Per un altro
caso della sorte, da qualche anno,
Angelina è riuscita a ritrovare i
fratelli e le sorelle e a ricongiungersi con loro, ma questa è
un’altra storia che presto vi racconterò.
Abbiamo letto con curiosità. Grazie Sandra. Hai scritto un racconto bellissimo. Brava! Un applauso per il tuo impegno.
RispondiEliminaAlla buonora, neh? Enzo e Santina
È una promessa mantenuta.
RispondiEliminaGrazie a voi, carissimi, per l'approvazione e per l'applauso. Sempre "alla buonora, neh?" Ciao.
Sandra
Ho letto il tuo racconto e ho apprezzato la prosa così scorrevole e fluida che senza fronzoli, mette in luce, con tratti essenziali, non solo la storia, ma soprattutto le caratteristiche e i sentimenti dei personaggi: l'invincibile speranza di una madre per un avvenire migliore, l'ingenuità e l'allegrezza di una bimba, combattuta tra una vita più bella e l'attaccamento alla famiglia; inoltre il desiderio di una coppia benestante e infine il volgersi degli avvenimenti che si definiscono da soli, malgrado tutto. Infine credo sia questo il messaggio: possiamo dire e fare ma poi il tempo e il destino decidono per noi!
RispondiEliminaSempre bravissima Sandrina, ad maiora!
Ida
Cara Ida, grazie per la riflessione così profonda e incisiva, riguardo alla delicatezza dei temi del racconto.
EliminaGrazie anche per la tua analisi che ha saputo definire i sentimenti dei personaggi e individuare il messaggio finale. Un abbraccio.
Sandra