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giovedì 6 febbraio 2020

GENTE DI MARE di Enrico Jessoula

di Enrico Jessoula

Introduzione - GENTE DI MARE


Con una piccola galleria di personaggi tratteggiati con verve e umorismo, questo secondo racconto breve della Trilogia di racconti “eroticomici” compone un ritratto sagace e pungente di felliniana memoria.
Impeccabile e arguto come sempre, Enrico Jessoula delizia il lettore con questo acquerello d’atmosfera in un divertissement tutto da gustare.

Mimma Zuffi

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- Ristorante “Il Maestrale”, buongiorno. -
Francesca era arrivata trafelata a rispondere, domandandosi per quale beffa del destino le telefonate arrivassero sempre quando lei era in bagno. Dall’altro capo, la voce non era nessuna di quelle note e denotava un certo imbarazzo:
- E’… il ristorante? -
- Sì, ristorante “Il Maestrale”; in cosa posso esserle utile? -


Seguì un lungo momento d’incertezza, dissimulata poi da un tono esageratamente scherzoso e disinvolto:
- Sono lo straniero… voglio dire, mi chiamo Maurizio Stella, ma qui in paese mi chiamano tutti lo straniero perché sono arrivato da un paio di mesi soltanto. -
Francesca cominciò a sospettare che fosse l’ennesimo uomo che provava a fare il cascamorto con lei. La cosa da un lato la infastidiva, anche per l’ossessiva gelosia del marito, dall’altro lusingava il suo ego: di poco sopra la trentina, era e si sentiva decisamente una bella donna, snella e proporzionata, con quell’apparente candore nello sguardo che l’universo maschile amava sfidare. Negli anni, aveva fatto impazzire tutti gli uomini del paese, anche per via di quella zazzera rossiccia tagliata corta, abbinata ad una manciata di efelidi nei dintorni del naso.
Ora, da quando con il marito Oscar avevano aperto quel ristorante in collina, in paese non si faceva quasi più vedere. Per questo non sapeva chi fosse l’uomo chiamato lo straniero; per lo stesso motivo riceveva spesso telefonate ambigue, di uomini che non si rassegnavano alla sua conclamata fedeltà coniugale.
Cercò di riprendere il bandolo della conversazione:
- Io non la conosco, ma comunque mi dica in cosa posso servirla. -
- Certo, è una cosa semplice - disse l’uomo, anche se tanto semplice non sembrava essere, visto il suo palese imbarazzo nel proseguire. Francesca lo sentì sospirare profondamente e deglutire, prima di decidersi a parlare nuovamente:
- Lei dovrebbe avere… mi corregga se sbaglio… una prenotazione per domani sera, un tavolo per otto persone. -
- Vuol dire… quella di Serenella. -
- Proprio quella. Ecco, dovrebbe ridurla a… -
La voce non era uscita dalla gola dell’uomo, chiaramente agitato, oppure la comunicazione era stata disturbata proprio nel momento cruciale. Francesca dovette farlo ripetere, usando il tono più incoraggiante possibile:
- Non ho capito bene, la linea era disturbata. Ha detto che devo ridurre la prenotazione a… quante persone? -
- Cinque, cinque persone - rispose l’altro precipitosamente.
Questa volta un prolungato silenzio cadde dalla parte di Francesca che era ammutolita dalla sorpresa. Infine prese coraggio e obiettò:
- Dispari? Voglio dire, Serenella mi aveva detto che erano quattro coppie di fidanzati. -
- Lo so - tagliò corto l’altro - ma alcuni hanno un impedimento dell’ultima ora per cui non potranno venire. Mi dispiace molto per l’inconveniente, ma devo chiederle di preparare un tavolo per cinque; non è un problema, spero. -
- No, nessun problema, a domani sera. In cinque - concluse Francesca, riagganciando sempre più perplessa.

Quando lo straniero era apparso in paese era settembre inoltrato. Le prime piogge avevano spazzato via le folle di turisti che nei mesi precedenti avevano invaso l’antico borgo marinaro, sottraendolo con violenza agli abitanti.
La temperatura si era mantenuta a livelli piacevoli e il sole dorato non doveva più combattere con la foschia di calore, ma scendeva trionfante da un cielo azzurro intenso.
Lo straniero era arrivato un giorno qualunque, infrasettimanale, senza preavviso e con una sdraio sotto braccio. Si era diretto subito alla zona di spiaggia libera senza degnare di uno sguardo la muraglia di case alte, dai colori pastello, che costituivano l’attrattiva principale del borgo. Case alte che erano lì da secoli e sembravano sorreggersi l’una con l’altra per non cadere, oltre a sorridere ammiccanti al navigante che faceva ritorno dal mare.
Lo straniero, camicia e pantaloni di jeans, un sobrio foulard al collo, la barba rada a marcargli il volto, gli occhi da sognatore, aveva posizionato la sdraio con un’inclinazione adatta alla lettura e aveva deposto al suo fianco un enorme pacco di giornali.
Era rimasto a lungo a guardare il mare, quel giorno increspato ma non troppo, le onde che si frangevano sulla battigia senza generare gli alti spruzzi delle mareggiate. Poi aveva passato in rivista i giornali, soffermandosi a leggere nel dettaglio le quotazioni di borsa e le previsioni economiche a lungo termine del Financial Times.
L’atteggiamento da bel tenebroso non era sfuggito alle donne del posto, abituate com’erano a scrutare l’orizzonte per veder tornare dal mare i loro uomini o a scovarne di nuovi se non ne avevano uno proprio, marito, compagno o fidanzato che fosse.
Per tradizione secolare, infatti, gli uomini del borgo erano pescatori, stavano sul mare la maggior parte del tempo e quando rientravano, stanchi, andavano a dormire.
Erano perciò le donne a gestire tutte le attività commerciali: il forno, la pizzeria, i ristoranti, l’edicola dei giornali, i bar e così via.
In tempi più recenti, gli uomini, salvo rare eccezioni, avevano smesso di uscire in mare e si limitavano a stare a letto a dormire oppure al bar a giocare a carte, lasciando ancora alle donne il compito di mandare avanti l’economia del paese.

Oltre all’economia, le donne mandavano avanti di buona lena anche le chiacchiere e i pettegolezzi. Pertanto, l’arrivo di un uomo nuovo – e che uomo! – aveva gettato nello scompiglio la popolazione femminile del borgo.
Si sparse rapidamente la voce che veniva da Milano ed era un top manager di un’azienda metalmeccanica, il che spiegava il pacco di giornali, finanziari e non, da cui non si separava mai.
Le meglio informate asserirono anche che non alloggiava in nessun albergo perché, notizia davvero sensazionale, aveva acquistato un appartamento bellissimo, all’ultimo piano con terrazza, in una di quelle case alte che sembravano sorreggersi l’una con l’altra come in un castello di carte.
Va da sé che quando il top manager, vero o falso che fosse, si era rialzato dalla sdraio dopo un paio d’ore per abbozzare una passeggiata sul lungomare, le donne fossero tutte schierate come sentinelle sulla soglia delle loro botteghe, per vedere e farsi notare, ma anche per controllare che nessuna delle rivali prendesse delle iniziative che le avrebbero procurato un vantaggio difficile, per le altre, da recuperare.
Da vero top manager, Maurizio era una persona metodica. Gli bastarono dunque un paio di giorni trascorsi seduto alla rotonda con gli occhi semichiusi e un certo numero di ‘vasche’ fatte avanti e indietro sulla passeggiata, per conoscere le principali protagoniste della vita del borgo e catalogarle mentalmente:
- Serenella, separata, titolare della pizzeria, in crisi di astinenza sessuale ma anche madre dolcissima, perennemente alla ricerca di un nuovo padre per il figlio;
- la pasionaria Valeria, single dedita alle battaglie politiche e sindacali, che gestiva una bottega di oggettistica;
- la fornaia Marina, una quarantenne paciosa e sposatissima, con una sola passione non condivisa dal marito: quella per il cinema;
- Augusta, la proprietaria dell’unica libreria del borgo, da tutti chiamata la signora per l’atteggiamento altero, leggermente scostante, e l’invariabile compostezza di vestiti e acconciature. Sposata, anche se…
Per la verità ne aveva notate anche altre con le quali aveva incrociato lo sguardo. Uno sguardo che nessuna di loro abbassava e restava sfacciatamente piantato su di lui fino al momento di incrociarsi nel camminare.
Nessuna abbassava lo sguardo, ma nessuna parlava, né prendeva iniziative di alcun genere. “Strano paese” pensò il top manager nell’accingersi a salire la lunga scalinata verso casa, riferendosi al fatto che a Milano era spesso oggetto di avance esplicite da parte delle donne nelle quali scatenava a prima vista irrefrenabili ondate di desiderio.

Il primo contatto con il mondo locale toccò alla pizzeria di Serenella, in un caldo meriggio che non metteva voglia di stare al sole.
Si era avvicinato ai tavolini all’aperto con fare svogliato, ne aveva scelto uno in ombra, aveva deposto il fascio di giornali su una delle sedie e si era poi lasciato cadere pesantemente sull’altra, esibendo l’aria più annoiata del mondo.
Rimase lì a fissare un pezzo di muro sbrecciato come se fosse stato un quadro moderno, senza domandarsi perché nessuno venisse a servirlo; non gli importava granché, preferendo che la noia invadesse il suo tempo libero.
Il ritardo nel servizio aveva una spiegazione semplice: come l’aveva visto arrivare, Serenella era corsa in bagno a rifarsi il trucco. Poi si era cambiata la maglietta con una più pulita e trasparente e i pantaloni da lavoro con un’accattivante minigonna verde acido. 
Un’ultima occhiata d’insieme allo specchio la rassicurò: una rassettata al reggiseno e avrebbe fatto la sua bella figura.
- Buongiorno, desidera? Le porto il menu? -
Il top manager, vero o falso che fosse, aveva alzato su di lei lo sguardo distratto e annoiato, gli occhi pieni di sonno di chi, impegnato in altre attività, dorme poco la notte. Dopo alcuni secondi  riuscì a rispondere:
- No, il menu non mi serve, vorrei un calzone farcito. -
A Serenella sembrò di cogliere un doppio senso in quella frase e abbassò istintivamente gli occhi sui calzoni di lui per verificarne la farcitura. Ciò che vide o che intuì le provocò un’emozione così violenta da inaridirle la gola; deglutì la saliva più volte prima di riuscire a parlare:
- E… da bere? -
- Ha una birra scura? -
- Sì, certo, che marca preferisce? Ho la… -
- Una qualunque va bene - la interruppe l’uomo dai calzoni farciti - basta che sia ghiacciata. -
- Certamente, ghiacciatissima - concluse Serenella, avviandosi verso il forno con una piroetta studiata ad arte per scoprire, sia pure per un microsecondo, le mutandine.
Il cuore le pulsava freneticamente e le gambe tremavano, per non parlare di altre reazioni incontrollate del suo corpo. Sognò per un attimo di portarselo subito nel retrobottega per fare l’amore, ma si trattenne vedendo il figlio che colorava un album su un tavolino.
Un bell’intralcio, quel figlio, ma anche una gioia e soddisfazione per lei che di gioie e soddisfazioni dalla vita ne aveva avute ben poche.
- Ecco il suo calzone, farcitissimo - disse, cercando un tono allusivo che non sembrò funzionare. L’uomo borbottò un grazie frettoloso, si versò la birra con cautela e si accinse a mangiare.
Sembrava che vivesse in un suo mondo, separato dai comuni mortali; Serenella pensò che sarebbe stato impossibile entrare in confidenza con un lupo solitario come quello. Innervosita, passeggiò avanti e indietro, facendo la spola tra il locale e i tavolini, domandandosi che cosa avrebbe potuto aprire una breccia in quel mutismo ostinato.
Lo straniero continuò a mangiare fino all’ultimo pezzo di calzone, senza lasciarle possibilità di interloquire.
- Desidera altro? - chiese infine Serenella, mentre sparecchiava.
La risposta che le arrivò, più simile ad un grugnito che a voce umana, lei la interpretò come un “No”. Stava per ritirarsi quando lui fece un gesto, come a richiamarla con la mano:
- E’ suo il bimbo? -
La domanda la colse impreparata, perché voleva dire che l’uomo si era guardato intorno, pur senza darlo a vedere:
- Chi, lui? Sì, è il mio Stefano - rispose con malcelato orgoglio.
- Stefano - ripeté lui con la voce profonda e triste, prima di venire riassorbito da un lungo silenzio meditativo.
Lei rimase ferma a guardarlo. Osservò i capelli biondo cenere, sapientemente scolpiti al rasoio, gli occhi cerulei, quasi grigi, la barba un po’ lunga forse a causa del caldo, il naso e il mento volitivi, e poi giù giù fino…
- Quanti anni ha Stefano? -
L’aveva nuovamente sorpresa, quel lupo solitario che si interessava a suo figlio; reagì velocemente per celare l’imbarazzo:
- Quattro - disse - ha quattro anni Stefano… e avrebbe tanto bisogno di un padre. -
- Quattro anni - ripeté lui, annuendo gravemente prima di sprofondare nuovamente nel silenzio e nella lettura.
Serenella si sentì stupida, si maledisse per quella frase sul bisogno di un padre detta ad un lupo solitario appena conosciuto. Per superare l’imbarazzo sollevò le gonne con fare sbarazzino per sedersi nei pressi, sventolandosi con un quotidiano. Passarono alcuni minuti prima che l’uomo, il top manager, lo straniero parlasse di nuovo con il solito tono inespressivo:
- Quindi, se io la volessi invitare a cena stasera, magari a casa mia, lei non potrebbe venire per via di Stefano. - disse, scuotendo la testa - E pensare che avrei già in mente il menu; sono un bravo cuoco, io. Inoltre, in casa ho l’aria condizionata; con questo caldo potrebbe fermarsi a dormire da me e concedersi finalmente una notte di vero riposo. Quanto tempo è che non le succede? -
Serenella cercò di ricordare da quanto tempo non le succedeva di avere rapporti con un uomo e tantomeno di passare la notte con lui. Stordita dall’ondata di desiderio che l’aveva invasa con violenza, si alzò dalla sedia e accennò due goffi passi verso l’uomo. Uno strano uomo, pensò, che aveva proferito quell’invito esplicito, decisamente sfacciato senza mai alzare lo sguardo su di lei; un uomo che parlò nuovamente, passando improvvisamente al ‘tu’:
- Ti direi di portare anche il bimbo, ma forse non è il caso, la prima volta… magari la prossima. - 
Non era proprio il caso, pensò Serenella mentre faceva scorrere febbrilmente i numeri memorizzati sul telefonino, selezionandone uno:
- Mamma… ciao sono io. Volevo chiederti se potevi tenere Stefano stasera, che mi è capitato un impegno improvviso. Come sarebbe ‘finché torna papà’? Io intendevo per cena e poi, per comodità, potrebbe anche dormire da voi… Che cosa vuoi dire con “ho capito” seguito da quella risatina? Hai capito cosa, quando non c’è niente da capire? -
Dopo una lunga pausa, concluse in tono dolce:
- Va bene mamma, te lo porto verso le sette. Grazie. -

Da alcuni giorni la scena si ripeteva: alle sette di sera in punto, mentre Marina si accingeva a chiudere la sua bottega di fornaia, appariva sulla soglia del negozio quel personaggio strano, lo straniero come lo chiamavano le sue amiche.
Marina lo trovava divertente e anche interessante per la sua vasta cultura cinematografica. Quella sera lo guardò interdetta perché l’uomo indossava un trench impermeabile e un cappello stile Borsalino che mal si combinavano con la calura persistente  della giornata.
Lo guardò a lungo prima di scoppiare a ridere:
- Cosa fai con quella palandrana addosso, che ci saranno trenta gradi. -
L’uomo si avvicinò al banco senza rispondere, con lo sguardo triste e  misterioso. Indicò il vicolo oltre la porta e disse gravemente, guardandola negli occhi:
- Tu devi partire, devi salire su quell’aereo con tuo marito… -
La battuta scatenò l’ilarità della donna che puntando l’indice verso di lui commentò:
- Facile. Casablanca, Humphrey Bogart e Ingrid Bergman. -
- Brava - rispose lui, restando serio come se stesse recitando; quindi tornò sui suoi passi per tenerle aperta la porta.
Per una volta, non si sentì sola nel chiudere il negozio e, mentre ‘Bogart’ si allontanava, si accinse a salire le ‘scalette dell’aereo’.
Marina rideva tra sé e sé mentre risaliva la lunga scalinata verso casa, domandandosi se la comune passione per il cinema potesse avere per lei una funzione scacciapensieri, la variante divertente ad una vita serena ma convenzionale: matrimonio, figli, casa e lavoro.
Quella sera cenarono alla svelta e misero a letto i bambini molto presto, perché Marina sentiva un urgente bisogno di andare a letto anche lei, a fare l’amore con il marito con una passione che entrambi avevano da tempo dimenticato.

“Alternativo” l’aveva giudicato a prima vista Valeria, vedendolo transitare in passeggiata davanti al suo negozio di oggettistica etnica. “Potrebbe essere un buon cliente, visto il tipo”.
Il tipo portava una maglietta non stirata color vinaccia sui jeans délavé e un paio di Superga bianco sporco, forse perché un po’ sporche lo erano davvero. Ciononostante l’insieme, nobilitato dal fascio di giornali nella mano sinistra, riusciva ad apparire distinto se non proprio elegante, l’abbigliamento tipico dell’intellettuale.
L’istinto femminile aveva visto giusto, perché lo straniero non tardò molto a diventare un assiduo frequentatore del negozio. Con la scusa di una casa da arredare, scelse con cura tappeti africani dai colori sgargianti, un set di tazzine da caffè in cotto, un copriletto indiano, tutto con quegli occhi bellissimi e vuoti che vedevano tutto, selezionavano gli oggetti migliori, ma non si illuminavano mai.
Restava un mistero sul piano umano. Se era un top manager, come si vociferava, difficilmente avrebbe potuto intendersi con le idee di sinistra estrema professate da Valeria.
All’ennesima visita al negozio, la donna cedette alla curiosità e buttò là, con finta noncuranza:
- Volevo dirti che nel pomeriggio il negozio resterà chiuso, perché io vado in manifestazione a Genova. -
Con sua grande sorpresa, lo straniero alzò per la prima volta gli occhi su di lei e la fissò per un attimo, prima di assumere nuovamente la solita aria svagata:
- Manifestazione? Per cosa? -
Valeria assunse il tono aggressivo che le veniva spontaneo in questi casi:
- Ma per i giovani, cazzo! Per tutti i giovani senza lavoro, oppure precari sottopagati; non so se ti rendi conto in quale mondo di merda stiamo vivendo, soprattutto stanno vivendo. E anche questo governo di tecnici non fa proprio niente per loro! -
Gli occhi vuoti ebbero un lampo improvviso:
- Certo, capisco. Questa manifestazione… a che ora è? -
- Alle tre del pomeriggio. Anzi, devo sbrigarmi a chiudere perché in questi casi il traffico è imprevedibile. Non vorrei arrivare tardi. -
Lui si affrettò a pagare gli ultimi acquisti e a riprendere dal banco il fascio di giornali; poi alzò nuovamente lo sguardo su di lei:
- Ti dispiace se vengo con te? Anzi, potremmo andare insieme con la mia moto, così il traffico non inciderà troppo. -
Valeria sentì le gambe cedere per l’emozione, ma dopo meno di un’ora era seduta sul sellino posteriore, abbracciata a quell’uomo muscoloso che pilotava la moto con estrema perizia.
Il contatto fisico la trasportò indietro di alcuni anni, quando aveva avuto un ragazzo di cui era innamoratissima, e la predispose ad una giornata inebriante. Fu infatti una manifestazione bellissima e riuscitissima: centomila giovani erano sfilati per le vie della città cantando e ballando. Quanto a Maurizio, lo straniero, aveva familiarizzato in maniera sorprendente con i ragazzi dei centri sociali che lei stessa gli aveva presentato.
Sembrava per la prima volta a suo agio, urlava gli slogan dei giovani, si univa agli immancabili cori “Bella ciao”; forse, per un momento, gli si erano persino accesi gli occhi.
A Valeria sembrava di sognare: lei, trentenne bruttina e trascurata, che veniva complimentata e invidiata per questo nuovo amico con cui poteva finalmente condividere anche la passione politica.
Trovò quindi naturale accettare, sulla via del ritorno, la proposta di fermarsi a cena in un piccolo albergo sul mare.
E a fine pasto non oppose certo resistenza a farsi condurre dolcemente in una delle camere al primo piano, dove la luna entrando dalla finestra illuminò a lungo il letto e la loro unione.

Alle sette di sera in punto, secondo un rituale ormai collaudato, il volto di Maurizio si stagliò sul vetro della porta del negozio, un attimo prima che questa si aprisse con un cigolio sinistro.
Marina scoppiò a ridere nel vederlo avvicinarsi al banco a passi felpati, con la faccia truce e gli occhi sbarrati:
- Che cosa stai facendo - chiese ridendo.
Alla domanda, lo straniero estrasse un pugnale, forse di legno, oppure uno di quelli di gomma che si usano a carnevale, con il quale le intimò di ritirarsi al di là della tenda che divideva l’area di vendita da laboratorio e forno di panificazione.
Marina indietreggiò, schermendosi:
- Che ti prende… tu sei tutto matto! -
Lo straniero alzò le braccia, mimando i gesti di uno che si sta facendo la doccia; poi impugnò il finto pugnale e lo alzò con fare minaccioso.
Lei si illuminò all’improvviso, esultante:
- Capito! Anthony Perkins e Janet Leigh in Psycho, la famosa scena della doccia - poi scosse la testa in segno di diniego: - ma non sperare che mi spogli dietro la tenda! -
Lo straniero sorrise:
- Suvvia, un po’ di fantasia, d’immaginazione… Tu vai dietro la tenda, imiti i movimenti che faresti in doccia, io ti vedo in controluce, mi avvicino, alzo il coltello… -
- Sì, però non mi spoglio - ribadì lei, volendo definire chiaramente i patti e domandandosi se non stava dando troppa confidenza a quell’uomo. Si decise infine a ritirarsi dietro la tenda e aprire il rubinetto del lavandino, regolandone il flusso fino a simulare al meglio lo scroscio della doccia.
I suoi movimenti in controluce furono perfetti, tanto realistici che, se fosse entrato in quel momento un cliente ignaro, avrebbe creduto veramente di assistere alla doccia della fornaia e non avrebbe resistito alla tentazione di scostare la tenda sperando di vederla nuda.
L’uomo si avvicinò e affondò il coltello una, due, ripetute volte. Lei cacciò un urlo, due, tre urli che sfumarono in una risata:
- Dai, è venuta una scena perfetta! Ma come ti vengono in mente? -
Lui accennò alla sua testa con un gesto vago; poi si voltò e, senza rispondere, uscì dal negozio con passo da automa.

Maurizio si era spesso domandato, durante le sue solitarie passeggiate sul lungomare, come facesse a resistere una libreria, peraltro ben fornita e attrezzata, in quel piccolo borgo marinaro frequentato da turisti festaioli impegnati in ben più frivole occupazioni che leggere un libro.
D’altro canto, il suo interesse per i libri era acuito dal desiderio di conoscere Augusta, la seducente proprietaria, una cinquantenne dalle forme sontuose e lo sguardo penetrante con cui lo straniero sentiva di dover assolutamente entrare in relazione. Se poi fosse anche disponibile ad aggiungersi alla sua ‘collezione’ lo si sarebbe visto dopo: al momento, l’importante era stabilire il contatto.
Di lei si diceva che fosse un’intellettuale, sposata ad un marito zotico e mal sopportato, del quale si era incapricciata fino a sposarlo più per fare un dispetto alla famiglia che per vero amore. Il marito gestiva un’osteria di infimo livello, mentre di lei si diceva che avesse aperto la libreria proprio per stabilire la netta linea di demarcazione tra di loro, tra finezza e rozzezza, tra cultura e ignoranza.
Non a caso, in paese veniva chiamata la signora.
Nel momento in cui, per la prima volta, decise di varcare la soglia della libreria, lo straniero restò semiaccecato dal brusco cambiamento di luce dal sole abbagliante della strada alla rilassante penombra del negozio.
Di conseguenza, non si accorse dei due occhi scuri, quasi neri, che lo stavano perforando come raggi laser, analizzandolo con attenzione. Gli occhi di lui erano invece più spenti del solito, di un grigio talmente chiaro che si diluiva nel bianco fin quasi a scomparire; si posarono con finta attenzione sui primi scaffali di libri.
Man mano che si abituavano alla penombra, gli occhi spenti di Maurizio cominciarono a scandagliare i libri esposti su banchi e scaffali, che gli provocarono l’abituale stordimento dovuto al loro ossessivo allineamento, ordinato e irregolare al tempo stesso.
- Posso aiutarla? - chiese la signora con tono invitante - Abbiamo ogni genere di libro; laggiù nell’angolo c’è la zona dedicata ai gialli, se le interessano; qui tutta la narrativa italiana e più in là quella straniera.
- No, grazie, preferisco guardare a caso. -
Il tono gelido dell’uomo non smontò la signora che continuò a girargli intorno portandosi dietro una inebriante scia di profumo:
- Altrimenti là ci sono i classici divisi per autore, in ordine alfabetico. -
Maurizio rimase a lungo in silenzio, pensieroso, cercando di ricordare chi gli avesse detto che la signora era un’appassionata di Baricco. Ma era poi Baricco o un altro scrittore italiano? Decise infine di tentare:
- Vorrei qualcosa di Baricco. Mi aiuti lei, che cosa mi consiglia? -
La vide avvampare di colpo, eccitata:
- Baricco è il mio scrittore preferito, perciò i suoi libri sono tutti qua, vicino a me. Ce n’è anche uno nuovo - e dopo una breve pausa: - lo sa che mercoledì prossimo sarà qui al Grand Hotel, lui in persona, a presentare il suo ultimo libro? -
Lo sguardo di quegli occhi chiari rimase vuoto, lasciando la domanda senza commento né risposta.
Solo dopo alcuni minuti l’uomo parlò:
- Quando ha detto? Mercoledì? A che ora? Immagino che lei ci vada con suo marito - disse, gettando con intenzione uno sguardo alla fede al dito.
- Figuriamoci, mio marito… - rispose la donna, toccandosi nervosamente la fede, quasi volesse liberarsene - non solo non sa chi è Baricco, ma forse neanche cos’è un libro. -
La guardò negli occhi per la prima volta, incuriosito e rincuorato. “Gran bella donna” pensò “per l’età che ha, veramente superba!”. Decise quindi di affondare il colpo:
- Allora… non so se posso permettermi, potremmo andarci assieme, se le fa piacere. -
Il piacere era quello che mancava ad Augusta da parecchi anni, per cui si affrettò ad acconsentire:
- Certo. La presentazione inizia alle quattro; ci troviamo là? -
- Potremmo anche trovarci una mezz’ora prima. Non sono mai stato al Grand Hotel, lei potrebbe farmi da guida. -
Colse uno sfavillio di buon auspicio negli occhi scuri che lo fissavano; perciò proseguì:
- Facciamo così: io andrò in esplorazione. Se riesce ad arrivare per le tre e mezza, chieda di me alla reception: lascerò detto dove sono. -
Augusta arrivò al Grand Hotel in leggero anticipo sull’orario concordato e fu piacevolmente sorpresa nel vedere il direttore dell’albergo in persona venirle incontro. Senza bisogno di spiegazioni, il direttore la scortò fino ad una sala privata a picco sul mare, dove l’aspettava lo straniero e un succulento buffet cui non mancavano ostriche, tartine al caviale e champagne francese.
Augusta si sentì trasportata ai suoi anni giovanili, quando anche lei, priva di un marito zoticone, aveva partecipato a banchetti raffinati.
Sospirò di piacere prima di lasciarsi cadere su uno dei divani, dove brindarono e mangiarono, risero e scherzarono e infine celebrarono con l’intimità la loro conoscenza, perdendo completamente la nozione del tempo.
La voce di Baricco giunse da lontano, attutita dalle pareti e dal loro stesso ansimare.

Marina ormai lo aspettava: nelle ultime ore del pomeriggio adocchiava frequentemente l’orologio a muro per vedere quanto mancasse alle sette.
Si rendeva conto di quanto l’attesa stesse diventando ossessiva e si domandava se quel gioco non le procurasse una sorta di dipendenza da quell’uomo più giovane di lei, così originale e stravagante, con cui condivideva solo la passione per il cinema.
Cercò di dedicarsi ad attività di riordino del negozio per non pensarci. Ci riuscì a tal punto che, quando sentì la porta aprirsi, alzò sorpresa lo sguardo all’orologio: erano le sette e cinque, un leggero ritardo sull’orario abituale.
Lo straniero entrò con un’espressione beffarda che non gli aveva mai visto prima e la salutò, prima di richiudere la porta con la chiave.
Lei lo guardò stupita:
- Perché chiudi la porta? -
- Perché sono le sette passate; sei oltre l’orario e il negozio deve stare chiuso - rispose lui - se arriva un vigile e lo trova aperto ti dà una bella multa. -
- Ma non ce n’è bisogno - reagì Marina, tradendo una punta di nervosismo - i vigili non hanno mai controllato, non è mai successo in tutti questi anni. Perché hai chiuso? -
Troppo tardi. Lo straniero era già a metà bottega, la fissava con quel sorriso beffardo, puntava dritto verso il bancone. Sospinse dolcemente Marina oltre la tenda, seguendola nel locale di panificazione; lei lo guardò meravigliata e un po’ preoccupata, incrociando con lo sguardo i suoi occhi chiari, magnetici.
Indietreggiò fino a sentire il contatto delle natiche con il tavolone dove era solita impastare; si stava domandando quali intenzioni avesse, quando lui le cinse la vita e la sollevò di peso, adagiando natiche e schiena sul duro piano di legno.
Marina all’improvviso capì, senza riuscire a reagire. Sentì il peso di Maurizio su di lei e, sia pure attraverso i vestiti, percepì l’urgenza di quell’uomo che la desiderava. Si domandò se fosse sul punto di subire uno stupro, o piuttosto a un passo dal tradire il marito, per la prima volta in tanti anni.
Non poteva, non voleva tradirlo; con un ultimo sforzo, urlò per chiedere aiuto, ma si ricordò che era tutto inutile: la porta era chiusa a chiave e nessuno avrebbe potuto soccorrerla.
Vide gli occhi magnetici dell’uomo accendersi, per la prima volta da quando lo conosceva; subito dopo, sentì le mani sfilarle dolcemente i pantaloni e, armeggiando dalle parti delle mutandine, trasportarla in un vortice di passione incontrollata.
Riuscì appena a mormorare “Jack Nicholson e Jessica Lange, Il postino suona sempre due volte” un attimo prima di accoglierlo tra gemiti e sbuffi di farina.

Francesca si sentiva ridicola nell’apparecchiare quel piccolo tavolo rotondo per cinque in una sala tutta vuota, posizionandolo comunque nel punto migliore, vicino alle grandi vetrate con vista sul porticciolo e sul mare aperto che erano l’orgoglio del locale.
Sbuffò. Quella storia non le era piaciuta dall’inizio, per non parlare della telefonata di uno sconosciuto che riduceva i partecipanti da otto a cinque; dispari per giunta!
E sì che Serenella nel prenotare era stata esplicita: quattro coppie che, per una magica combinazione, si erano formate negli ultimi tempi e volevano festeggiare insieme quell’eccezionale avvenimento. Poi aveva abbassato la voce ed aveva precisato che, delle quattro donne, due erano sposate; per questo le aveva chiesto se poteva aprire eccezionalmente nel giorno di chiusura, riservando la sala tutta per loro.
Aveva accettato per amicizia, ma ora si ritrovava con soli cinque commensali nella sera in cui, essendo il loro turno di chiusura, il marito andava a giocare a pallone e poi a farsi una pizza con gli amici, tornando a casa solitamente non prima dell’una.
“Serata di merda” pensò. Oltre a ritrovarsi da sola, avrebbe realizzato un incasso scarsissimo, a malapena sufficiente a coprire i costi di tenere aperto il locale.
Sbuffò nuovamente, domandandosi che cosa potesse essere successo per passare da otto commensali a cinque. Ipotizzò che le signore sposate avessero rinunciato per non correre il rischio di essere scoperte, ma allora perché cinque e non quattro? Chi si era aggiunto alla combriccola?
Dette un’occhiata all’orologio da polso; erano le sette e mezza, la tavola era apparecchiata e in cucina era tutto pronto.
Di lì a un’ora avrebbe sciolto l’enigma.

Le quattro donne arrivarono assieme poco dopo le otto, puntuali ed eccitatissime. Valeria e Serenella chiacchieravano fitto di politica mentre Augusta e Marina si guardavano attorno circospette, temendo che qualcuno le vedesse entrare nel locale.
Una volta dentro, fu tutto un misto di sorpresa, stupore, incazzatura, delusione, frasi sconnesse che si sovrapponevano l’una all’altra: “Com’è che ci sono solo cinque posti?”, “Scusa Francesca, non avevamo detto otto?”, “Chi è che non viene senza neppure avvisare?, “Io del mio fidanzato sono sicura, il tuo piuttosto…”.
Francesca lo sapeva che, senza suo marito, non sarebbe stato facile gestire la situazione. Ristabilita faticosamente la calma, ottenne che si sedessero tutte prima di spiegare che aveva telefonato un uomo, presumibilmente uno dei loro compagni, uno che lei non conosceva e che aveva ridotto la prenotazione a cinque.
Un cupo silenzio scese tra le donne che, ormai sedute, dovevano aspettare l’arrivo del quinto per capire.
- Gradite un  po’ di prosecco? - intervenne Francesca, versando il vino e cercando di riportare un po’ di buonumore nel gruppo - vi lascio qui la bottiglia, se volete prenderne ancora… e qualche crostino di mare per non ubriacarvi. -

Maurizio stava completando la vestizione. In effetti, si sentiva come un torero prima della corrida, oltre che un po’ stupido.
Quando Serenella glielo aveva annunciato: “Sai, Maurizio, che bello, ci sono altre tre amiche che hanno trovato l’uomo dei sogni proprio in questi giorni. Allora abbiamo deciso di fare una cena tutti assieme, una grande cena di festeggiamento: quattro coppie e spumante a fiumi!” lui si era fatto sorprendere e non aveva trovato nessuna scusa valida per mandare a monte il progetto.
Così il giorno fatidico era arrivato e stava a lui decidere: defilarsi e scomparire dal borgo oppure affrontare la realtà? Oppure fingere di aver dimenticato l’impegno e subire poi, singolarmente, le reazioni delle quattro donne?
Nelle more di una decisione che non riusciva a prendere, si dedicò ad una scelta accurata dell’abbigliamento. Infatti, nel caso si fosse presentato al ristorante, la riteneva comunque una serata importante, da onorare adeguatamente. Scelse dunque una camicia azzurra di puro lino per accompagnare i jeans leggeri di tela bianca.
Si guardò lungamente allo specchio. Novello Narciso, si vide bello ed elegante, tanto da illudersi che non avrebbe corso troppi rischi. Al proposito, gli affiorò alla mente “La spartizione” di Piero Chiara e il relativo film con Ugo Tognazzi e sorrise fiducioso: chissà, forse potevano trovare una soluzione di quel tipo, senza scontentare nessuno.
Aveva deciso: si sarebbe recato al festino. Completò il look con un golf di cotone color champagne e s’incamminò a passo svelto verso la collina.
La scena che seguì il suo ingresso al “Maestrale” fu un capolavoro di comicità. Ognuna delle quattro donne si sentì sollevata e ‘vincitrice’ sulle altre, si alzò in piedi e gli corse incontro buttandogli le braccia al collo.
A Francesca sfuggì di mano un bicchiere alla vista di quello strano albero della cuccagna a cui stavano appese le quattro donne che lo trascinavano simultaneamente verso il tavolo.
“Il mio c’è” aveva pensato ognuna di loro, non rendendosi conto che era il ‘mio’ di tutte.
In breve però le donne capirono la situazione, abbandonarono la presa e cominciarono a litigare furiosamente tra di loro:
- Ma cos’è, ti sei ‘fatta’ il mio fidanzato, svergognata? -
- Io? Questo è il ‘mio’ fidanzato; tu piuttosto tieni giù le mani. -
- Dillo ancora una volta e ti faccio nera, puttana! -
Per alcuni lunghi momenti la situazione sembrò volgere al meglio per lo straniero che osservava quasi divertito il litigio tra le quattro donne, le due sposate più caute e vergognose, visto che comunque per loro si era trattato di una scappatella, le altre decisamente inferocite.
Ma di colpo le donne si guardarono negli occhi e si capirono al volo: il colpevole era uno solo, quello che le aveva sedotte in rapida successione.
Si volsero quindi verso di lui e cominciarono a picchiarlo, graffiarlo e morsicarlo come felini scatenati. Maurizio provò a difendersi, ma quattro donne erano difficili da gestire; infine, una di loro gli tirò il classico calcio alle parti basse, mentre un’altra brandì la bottiglia di prosecco e gliela spaccò sulla testa.
La battaglia era terminata a favore delle donne, perché quell’uno-due micidiale aveva stordito Maurizio che scivolò a terra come un pupazzo inanimato. Non paghe, gli versarono a spregio l’avanzo di vino in faccia e se ne andarono, senza neppure scusarsi con Francesca per tutta quella confusione.

Francesca era ammutolita: l’incasso era addirittura azzerato e, come se non bastasse, si ritrovava sola nel ristorante con un uomo aggredito e svenuto, proprio la sera in cui il marito era via.
Gli si avvicinò cautamente e gli sentì il polso, anche se non ce n’era bisogno perché il suo respiro affannoso confermava che era vivo.
Si domandò se non avrebbe dovuto chiamare il 118, ma l’uomo non le sembrò tanto grave; meglio dunque non rischiare che, ultima beffa, ‘Il maestrale’ finisse sui giornali per una rissa tra avventori.
Cercando di calmarsi, prese da cucina e bagno una bacinella d’acqua e aceto, del cotone, la bottiglia dell’acqua ossigenata e si chinò su di lui. 
“Mi tocca pure fare l’infermiera” pensò mentre disinfettava un piccolo taglio alla testa provocato dalla bottiglia rotta e applicava un impacco di acqua e aceto sul vistoso bernoccolo che stava ingrossando a vista d’occhio sulla fronte.
Usò il resto dell’acqua per detergere il volto, gli occhi e le braccia. In ginocchio vicino a lui, si sentì utile come da tempo non le capitava; lo ripulì con cura da tutti gli sfregi e i segni della colluttazione, poi rialzò la testa per osservare, soddisfatta, il risultato.
D’improvviso, sentì qualcosa di freddo sulle gambe. Rabbrividì, prima di accorgersi che non si trattava di un animale, bensì della mano esangue dell’uomo che stava risalendo lentamente l’interno delle cosce.
In quel preciso momento lui riaprì gli occhi. Lo sguardo di Francesca incontrò quello freddo e magnetico di lui, apparentemente vuoto di tutto fuorché di desiderio. Lei ruotò gli occhi verso quella parte del corpo che, nonostante il calcio ricevuto, denotava un’insospettata vitalità.
Francesca era confusa. Guardò l’orologio: mancavano almeno tre ore al ritorno di Oscar, soprattutto se erano vere le insinuazioni di alcuni amici che, in quelle sere di chiusura, dicevano di aver visto il marito non al campo di calcio, bensì con un’altra donna a Genova.
Lo sprazzo di vitalità era ben visibile ed in costante aumento; la mano dello straniero continuava a salire, ormai prossima alle sue parti intime.
Non poteva far finta di niente; doveva agire, fare qualcosa.  
Prese allora una decisione coraggiosa. Aprì la zip dei pantaloni dell’uomo, armeggiò per liberare quell’imprevista energia ed impadronirsene, volgendo infine a suo favore quella balorda serata.










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