Appunti sparsi di
viaggio di Marina Fichera
Ho deciso di fare questo
viaggio per due motivi principali: il primo perché mi ero fatta un’opinione
negativa della Russia e volevo andare a vedere dal vivo se era giustificata o
meno, il secondo perché da anni avevo voglia di visitare sia la remota regione
artica della Penisola di Kola e il suo capoluogo, Murmansk, la più grande città
al mondo sopra il Circolo Polare Artico, sia le affascinanti città di San
Pietroburgo e Mosca, di cui parlerò nel prossimo articolo.
Ho
pertanto scelto un viaggio di diciassette giorni che dall’estremo nord-est
della penisola scandinava mi ha condotta – tutto via terra – fino alla capitale
Mosca, in un alternarsi continuo di spiagge, foreste e immensi laghi boreali,
ma anche di antiche e maestose città e minuscoli villaggi costruiti in legno.
La Penisola di Kola e la Karelia (mappa dal web) |
Un volo internazionale di
poche ore e atterriamo a Mosca da dove, all’alba della mattina successiva, prendiamo
un nuovo volo interno che punta verso l’estremo nord e ci porta ad Apatity,
Oblast’ di Murmansk, Penisola di Kola.
Da un punto di vista storico
e culturale questa zona fa parte della grande regione della Lapponia, che si
estende dalla Norvegia a ovest fino alla Russia a est, passando per Svezia e
Finlandia. Molti dei suoi timidi e gentili abitanti sono infatti sami, mentre
quasi tutti i russi sono arrivati nel periodo sovietico, solo da meno di un secolo.
Visitiamo il museo minerario di
Apatity e poi saliamo su tre grosse jeep e un enorme mezzo cingolato per
trasferirci in un ostello in mezzo ai monti Khibiny, a est della penisola. Ci
troviamo subito immersi in una natura vigorosa, fatta di acqua, fango, roccia e
verdissime foreste ricoperte di muschi e licheni. Piove e, anche se è il 3
agosto, fa davvero freddo.
La nostra guida locale, Frank,
un simpatico signore di origini olandesi, ci dice che quella del 2019 è la
seconda estate più fredda e piovosa da quando si è trasferito li, da più di
vent’anni, per amore di una bella signora russa e della natura incontaminata
della penisola.
Per tutta la prima settimana
del viaggio siamo davvero sfortunati con il clima: il sole non si affaccia mai
tra lo spesso strato di nubi e la temperatura, che di solito ai primi di agosto è intorno ai 18-20 gradi, oscilla tra i 5 e i 12. La pioggia, accompagnata
da un gelido vento che spira con forza dal Mar Bianco, non facilita certo le
escursioni, ma in fondo non importa molto perché tutto è talmente affascinante
e avventuroso che non ci fermerebbe neanche la neve in agosto!
Tappeto di muschio bianco nella foresta
(foto di M. Fichera)
Addentrarsi con i nostri
mezzi 4x4 tra magiche foreste ricoperte da un luminoso tappeto di muschio
bianco, attraversare la linea immaginaria del Circolo Polare Artico, sfrecciare
in jeep sul bagnasciuga di lunghissime spiagge boreali, raccogliere ametiste da
miniere a cielo aperto e passeggiare in minuscoli villaggi costruiti in legno,
senza strade né acqua corrente in casa, è entusiasmante. Una totale immersione
nella primordiale natura e nella cultura nordica.
Siamo talmente presi da
tutta questa energia, alimentata dalla natura e dalla bellezza, che neanche un
piccolo incidente di una delle nostre jeep, affondata parzialmente mentre
tentava di guadare un ampio lago, scalfigge il buon umore del gruppo, anzi!
Il piccolo villaggio di
Kuzomen, affacciato sul gelido Mar Bianco, si distingue per due particolarità
che lo rendono unico: la prima è l’esser costruito interamente sulla sabbia,
per cui molte delle vecchie case di legno languono parzialmente inclinate dal
feroce polare che sposta le dune, smuove le tombe e increspa gli animi dei pochi abitanti che ci guardano con sguardi
azzurri pieni di disincanto.
La
seconda è che tra le sue sabbiose strade si muovono liberamente, come fossero
cani o gatti, alcuni cavalli semi-selvaggi, purtroppo abbastanza aggressivi
nelle loro richieste di cibo.
Cavalli semi-selvaggi nel villaggio di Kuzomen (foto di M. Fichera) |
Per le brevi strade di
Kuzomen girano solo alcuni anziani, una bellissima bimba bionda che gioca
solitaria di fronte al cortile di casa, tre cavalli e due bellissimi cani
bianchi. Il vento continua a ululare mentre i due cani mi affiancano e, come
silenziosi ciceroni, mi accompagnano fino a un luogo che vedo da lontano e mi
incuriosisce subito: il cimitero del villaggio. La nostra guida ci racconta che
in questo minuscolo camposanto - poche croci di legno dipinte d’azzurro su
alcune dune di fronte al Mar Bianco - non c’è la pace che di solito
regna nei luoghi di riposo eterno. Perché quando il mare è in tempesta il vento
è talmente potente che spazza via le dune nelle quali sono messe a dimora le
bare, che vengono ribaltate e talvolta addirittura scoperchiate. In questa
regione tutto è duro e aspro, e la lotta contro le forze della Natura continua
anche dopo la morte.
Io con i cani bianchi al cimitero del villaggio di Kuzomen (foto di M. Fichera) |
Come sempre andare in posti
nuovi e cercare di comunicare con le persone è molto interessante e stimolante.
In questo viaggio ho incontrato persone tranquille e gentili ma che sorridono
poco, sarà la dura vita del nord, l’indole russa, o forse il ricordo ancora
vivo del periodo sovietico.
Il villaggio di Varzuga (foto di M. Fichera) |
Avevo
voglia di visitare un luogo sperduto e al tempo stesso affollato e volevo
vedere come vivono le persone in una città la cui temperatura media annua è di
0,2 gradi centigradi. Per questo motivo sono andata fino a Murmansk, la città
oltre il Circolo Polare Articolo più grande sul pianeta.
Fondata
nel 1915 sui pendii di un profondo fiordo, questa strana città portuale
all’estremo nord della Penisola di Kola. a poco più di 30 chilometri a sud del
gelido Mare di Barents, conta oggi circa 300.000 abitanti – ma negli anni ’80
del XX secolo erano quasi mezzo milione - che vivono stabilmente oltre il 68°
parallelo.
Arrivo in città in una fredda
e grigia giornata: più che il 7 agosto sembra il 7 novembre! Durante l’estate
nordica il sole tramonta molto tardi e la sera è davvero strano vedere gli
abitanti che girano per le strade imbacuccati più di noi - alcuni hanno piumini
lunghi, colbacchi e sciarpe – fermarsi per specchiarsi nelle vetrine dei negozi
di abbigliamento dove occhieggiano accattivanti manichini femminili che indossano
abiti estivi scollati e sandali dorati di dubbio gusto.
La rompighiaccio nucleare Lenin nel porto di Murmansk
(foto di M. Fichera)
Nel
porto di Murmansk è attraccata la famosa nave Lenin. Costruita nel 1959 è stata
la prima rompighiaccio nucleare al mondo. Un simpatico ragazzone in divisa, che
ci dice essere nipote di uno dei primi membri dell’equipaggio, ci guida
all’interno della nave, oggi museo, mostrandoci, tra i tanti interessanti
ambienti, il ponte di comando, i raffinati dettagli delle sale ufficiali, il
lusso della sala congressi ed infine il propulsore nucleare.
Le
carrozze di seconda classe del treno notturno che da Murmansk ci portano a Kem,
da dove ci imbarcheremo per le isole Solovki, sono davvero lussuose.
Scompartimenti da quattro letti, lenzuola bianchissime, cena e colazione calda servita
personalmente dalla responsabile del vagone, ma soprattutto due bagni moderni e
puliti, uno dei quali addirittura con la doccia! Viaggiare in questo modo lento
è fantastico, ci lasciamo cullare dal rollio del treno per circa undici ore e
puntualissimi arriviamo a Kem. Da qui un traghetto ci porta in circa due ore
sulle isole Solovki, arcipelago diventato in epoca moderna tristemente famoso
per essere stato sede dei primi gulag sovietici.
Il monastero di Solovki (foto di M. Fichera) |
Queste
isole erano talmente sperdute che Lenin prima e Stalin poi decisero di
requisire i diversi bellissimi monasteri ortodossi - costruiti a partire dal
quindicesimo secolo - per farne delle orribili prigioni. Da qui sono passati
centinaia di migliaia di prigionieri politici, intellettuali, musicisti,
artisti dissidenti. Arrestati e portati dove nessuno li poteva sentire solo
perché avevano idee e sogni non allineati al regime.
Oggi le isole Solovki sono incantevoli, i
monasteri austeri e maestosi, le verdissime foreste di abeti, i numerosi e
limpidi laghetti di un blu profondo, gli antichissimi e misteriosi labirinti di
pietre, tutto è davvero piacevole tranne il paesino, molto trascurato. Le sue
strade sono fangose, le case decadenti, l’ospedale con i vetri rotti. Eppure i
turisti disposti a pagare cifre considerevoli non mancano... Chissà, sembra
quasi che gli abitanti vogliano, ancora oggi, espiare le colpe di questa terra
macchiata di troppo sangue.
Il paese di Solovki (foto di M. Fichera) |
Dopo
la caduta del regime sovietico la popolazione russa ha riscoperto la religione
ortodossa e la spiritualità. Oggi la grande totalità dei visitatori che
affollano le isole in estate sono pellegrini. Per pochi rubli mangiamo, insieme
a centinaia di devoti, zuppe e ottimo pesce nella grande mensa del monastero,
interamente gestita da volontari laici.
Pellegrina ortodossa a Solovki (foto di M. Fichera) |
Mentre
siamo a Solovki, dove dormiamo due notti, iniziano ad arrivare dall’Italia
messaggi allarmati che ci chiedono se va tutto bene. Ci riferiscono che pare ci
sia stata un’esplosione nucleare nella zona, però nessuno dei locali ne fa
cenno, sembra che la notizia a loro non sia arrivata. Questa è una delle
numerose contraddizioni di questo enorme e affascinante paese.
Il
mio lungo viaggio continua su un treno notturno - meno comodo e pulito del
precedente, purtroppo - diretto a Petrozavodsk, sul lago Onega, di cui vi
parlerò nella seconda parte.
“La nostra letteratura e la nostra musica hanno
attraversato tutti i dispotismi, sono sopravvissute agli zar e ai bolscevichi.
Il materialismo non fa per noi. Nel nostro carattere ci sono gli spazi immensi
della Russia“
Michail Gorbačëv
Complimenti Marina per la sintesi che, tuttavia, nulla toglie all'efficacia del contenuto. Mi sono ritrovato in viaggio attraverso luoghi affascinanti e certamente fuori dalle normali rotte.
RispondiEliminagiorgio
Ti ringrazio Giorgio, ciao
EliminaMarina
Racconto vibrante di una parte di mondo poco conosciuta, il viaggio deve essere stato davvero avvincente: lo si percepisce dalle tue parole che trasmettono tante emozioni
RispondiEliminaUn viaggio magnifico!
RispondiEliminaGrazie Lori, ciao
Marina
racconto molto interessante. io mi sono trovato a superare il circolo polare artico in Alaska sulla Dalton highway. anche laggiù paesaggi freddi e desolati ma affascinanti. mi pice molto la foto del cavallo bianco.
RispondiEliminaGiorgio Forlani
Grazie, sono stata anche io in Alaska (su cui ho pubblicato qualche tempo fa un articolo) e ho trovato molte somiglianze con la penisola di Kola. Saluti
EliminaMarina
Complimenti Marina per il tuo articolo molto interessante e per le belle foto. Mi hai fatto scoprire una parte di mondo veramente particolare ed affascinante.
RispondiEliminaun abbraccio
Patrizia
Ti ringrazio Patrizia
Eliminaciao!
Marina