di Giovanna Rotondo Stuart
Martina assisteva alla conferenza sbigottita, sentiva l’ansia e
la rabbia montarle dentro. Un insieme di sentimenti misti a indignazione e
incredulità per quanto stava ascoltando. Il
rappresentante del governo parlava di gioco d’azzardo in maniera impersonale,
come se sciorinasse informazioni su una serie di partite di calcio: il deficit,
il guadagno, le problematiche.
Monotonamente. Le cifre che lo stato guadagnava
sul gioco d’azzardo erano incredibili. Almeno otto miliardi l’anno! E sulla
pelle delle persone!, non c’era solo chi si limitava a giocare qualche gratta e
vinci, c’erano anche quelli che giocavano molto e, pur senza rovinarsi,
potevano perdevano una grande quantità di denaro con risvolti negativi sulle persone che gli vivevano
intorno. E c’erano quelli che si rovinavano totalmente, trascinando in rovina
tutta la famiglia, e non solo per una generazione. Ricordava una povera ragazza
con due bimbe piccole, tutt’e due in età prescolare, il cui marito si giocava tutto ciò che riusciva a
guadagnare, quando guadagnava, alle slot machines, e lei non poteva comprare da
mangiare per le bambine. Più di una volta Martina le aveva fatto la
spesa: “e mangia anche lui” si lamentava lei, “se io chiedo la carità, lo faccio per le mie figlie, non è giusto
che lui mangi quello che io ricevo per loro”.
Ogni tanto Martina ci pensava - o forse ci pensava sempre,
abbiamo pensieri che non ci lasciano mai - e si chiedeva che fine avesse fatto
lei e le sue bambine.
Non l’aveva più vista, sapeva che si era trasferita in un luogo
più vicino alla sua famiglia di origine ed era aiutata dai servizi sociali,
sperava che questi l’aiutassero a cercare un lavoro, senza portarle via le
bimbe per darle in affido o, peggio ancora, per metterle in qualche comunità.
C’erano diversi rappresentanti delle sale da gioco presenti alla
conferenza. Non molto pubblico, la cosa le dispiaceva, era un argomento
importante e ci sarebbe dovuta essere più gente, le persone dovevano rendersi
conto di quanto stava accadendo al paese. Ma non aveva visto né un manifesto né un volantino che pubblicizzasse l’incontro:
lei stessa l’aveva saputo per caso! Un realtà devastante quella del gioco d’azzardo
soprattutto se diventava patologico, una realtà con cui, sebbene non avesse mai giocato, le
era capitato di doversi confrontare, e più di una volta, nella sua vita.
Una dottoressa relazionava i presenti, in maniera molto
competente, sulle malattie causate dal gioco d’azzardo: “il gioco può causare
dipendenza, ciò non avviene subito, qualcuno se ne rende conto prima di
giungere allo stadio finale e riesce a tirarsi fuori, dopo diventa un’ossessione che non si poteva più
controllare, poiché il bisogno diventava
compulsivo e, pur rimanendo in una sfera di lucidità, la persona non è in grado di controllare
l’impulso a giocare, riducendo sul lastrico se stessa e le persone che gli
stanno vicino, chiedendo soldi a tutti e rubando. “E non vive più!” conclude la
relatrice, per riprendere il
discorso dopo una pausa.
“Negli ultimi anni si calcola che le situazioni di dipendenza
siano aumentate più del cento per cento a causa dell’accessibilità dell’offerta di slot machines, videolottery,
gratta e vinci e altri prodotti mangia soldi disseminati su tutto il territorio
nazionale, per non parlare delle sale gioco, vere bische legalizzate! Si
calcola che per ogni dipendenza ci siano almeno sette persone che subiscono le
terribili conseguenze di questa patologia: povertà, emarginazione sociale, famiglie distrutte”.
Inoltre, come tutte le dipendenze, il gioco d’azzardo, oltre a
non divertire, alienava. La dottoressa aveva mostrato foto di persone che
giocavano alle slots e alle videolottery: degli automi spiritati che
aspettavano, nella risposta di una macchina, la loro chance! Non c’era abilità in questo tipo di gioco, non s’interagiva con
nulla e nessuno, neanche con la macchina. Si era totalmente passivi: un’azione
meccanica a cui veniva data una risposta meccanica, in un intreccio di luci e
suoni striduli.
Aveva conosciuto un tizio che di lavoro faceva l’assicuratore,
anche lui aveva due bambine, ma più grandicelle delle altre due, giocava con
tutto, ma soprattutto con le slot e le videolottery: si era giocato i soldi che
gli avevano affidato i clienti, il risparmio della famiglia, ipotecato l’appartamento
appena finito di pagare, una disfatta! Per un periodo di tempo era riuscito,
con salti mortali, a tener nascosto il suo disagio, poi non ce l’aveva più
fatta a contenere i debiti, ed era stato costretto a dirlo all’assicurazione e
alla moglie. L’assicurazione, per coprire lo scandalo, aveva pagato i conti dei
clienti e lui avrebbe dovuto restituire ogni mese, su un diverso lavoro che gli
avevano assegnato, tre quarti di qualsiasi somma avesse guadagnato, e per il
resto della sua vita! La moglie aveva chiesto il divorzio e se n’era andata con
le figlie. Per non morire era riuscito a mettere insieme un gruppo di
auto-aiuto con altri infelici distrutti
dal gioco d’azzardo e andava a mangiare alla Caritas, dormendo in luoghi di
fortuna. Neanche di lui sapeva più nulla! Alcuni si suicidavano, simulando
incidenti di varie forme, troppo disperati per chiedere aiuto, consapevoli che
aiutarli non fosse cosa facile soprattutto per l’enorme quantità di debiti che spesso avevano
accumulato.
Uno dei rappresentanti delle sale gioco stava parlando degli
orari di apertura delle stesse, avevano perso un ricorso sulla richiesta di
apertura 24 ore su 24 e dovevano chiudere da mezzanotte alle dieci, cosa che
non accadeva in tutti i comuni. Alcuni sindaci, più di altri, si adoperavano
per la riduzione del danno: chiusura notturna, numero massimo di slot per
superficie e sale da gioco a non meno di 500 metri distanza dai luoghi
sensibili: scuole, oratori, ospedali e altri luoghi frequentati da minori. Ma
non serviva a molto, inoltre la pubblicità che si faceva su internet e in televisione e la possibilità di giocare on line creavano delle situazioni
non controllabili. Qualcuno stava dicendo che bisognava, per decenza, eliminare
la pubblicità che imperversava sui mass-media.
Si stava parlando di prevenzione: assolutamente ilare, si disse
Martina! Che senso aveva fare prevenzione in un contesto in cui praticamente
non ci si poteva difendere, soprattutto se si apparteneva a una condizione
sociale medio/bassa. Terrificante il prezzo che si pagava! E questo era il
gioco legalizzato, quello controllato dallo stato: il padre e la madre che
mandano i propri figli alla rovina sapendo di farlo, anzi studiando sistemi per
rendere il più avvolgente possibile l’adescamento!
Aveva chiesto al rappresentante del governo perché lo Stato facesse il biscazziere e gestisse il
gioco d’azzardo e questi gli aveva risposto che lo Stato, legalizzando il gioco
- non diceva mai gioco d’azzardo - lo toglieva dal controllo delle mafie.
Certo, lo stato aveva reso legale il gioco d’azzardo, si poteva
giocare dappertutto, senza più nascondersi o dover cercare una bisca
clandestina ormai le bische si trovavano ovunque: nei bar, nei super mercati,
nelle sale gioco: bastava una slot machine e avevi una bisca legalizzata e il
gioco d'azzardo veniva chiamato "gioco lecito". Un paradosso! E
facendo questo lo stato ne aveva fatto uno strumento di rovina e morte alla
luce del sole e alla portata di tutti.
Le associazioni di volontariato o quelli come lei, si prodigavano
per recuperare i danni: “ma i danni recuperati erano sempre minimi se
paragonati a quelli ricevuti”. Rifletteva Martina con grande scoramento.
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