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domenica 11 agosto 2024

Olimpiadi....

di Federico Andreoli


 So di essere controcorrente e, forse, un pensatore solitario, ma ho sempre guardato alle Olimpiadi con un misto di ammirazione e di misteriosa incomprensione. Correre e saltare è un bellissimo esercizio di salute fisica e mentale. Cose belle da vedere come tutte le manifestazioni di armonia. Ma mi sono sempre chiesto: Arrivare "primo" che cosa significa?- Che io sono il più bravo al mondo? Forse. E allora? Al di là dell'orgoglio personale qual è la molla che fa scattare questa volontà, questo desiderio? Una molla che peraltro va caricata con ore, settimane, giorni, anni di sacrifici, di sveglie a ore antelucane, di diete e di rinunce. Per essere il più bravo nel salvare la vita a persona che rischiano di affogare? Per essere il più bravo nello scoprire medicine e guarire gente malata? Per essere il più bravo a ottimizzare le risorse del pianeta e a permettere alla gente di vivere senza avere fame e sete?


Per essere il più bravo a consolare gli afflitti? No, niente di tutto questo. Solo a ritenersi e a mostrarsi il più bravo a spostare una palla un centimetro più in là, a correre un po' più veloce, a essere giudicato il più aggraziato nello stare in equilibrio su una trave. Oppure a scatenare l'orgoglio di concittadini o connazionali o di semplici tifosi per le mie vittorie, per quelle vittorie che loro non possono raggiungere? Capisco l'orgoglio di chi sa scrivere un bel libro o dipingere un bel quadro o scolpire una bella statua o comporre una bella musica (tralascio volutamente i Manesin...) ma l'orgoglio di spingere una barca più veloce dei miei concorrenti è un sentimento che non comprendo. Lo so che da che mondo e mondo l'uomo cerca sempre di raggiungere obiettivi difficili, di eccellere ma nello sport mi sfugge l'utilità. Le Olimpiadi si sono sempre organizzate, anche nei tempi più antichi ma non per questo devono essere un tabù indiscutibile. Non capisco bene neppure le religioni nelle quali, per fede, si crede in qualcosa di magico e di improbabile trascendenza senza però permettere ad altri fedeli di altre religioni di vivere simili misteriose esperienze emotive. O, se lo si fa, lo si fa con malagrazia e con sopportazione. Ma nelle religioni c'è il sogno dell'immortalità, del non morire mai del tutto, di avere una seconda chance, di poter rivedere in luoghi deliziosi i nostri cari già partiti per quel lungo viaggio senza ritorno. Lo ritengo, personalmente, un'assurda emozione e una speranza patetica, ma il fine giustifica i mezzi. Mi sfugge invece il fine dello sport. Essere più bravo degli altri a tirare una palla? Ok, e allora? Da ragazzino, essendo italiano, era quasi un obbligo giocare a pallone e i miei compagni di scuola cercavano in tutti i modi di "tirarmi dentro". Io, per spirito di fratellanza li compiacevo ma, essendo per nulla sportivo, venivo relegato al ruolo di portiere. Divenni celebre con il nomignolo di "gatun de marm" (gatto di marmo) perché stavo sempre immobile, al centro della porta. Se mi tiravano il pallone addosso cercavo di respingerlo, se usciva dallo specchio della porta lo guardavo con soddisfazione. Se si infilava nella rete da me "difesa" assumevo un'aria sconsolata come per dire "non potevo farci niente, era imparabile". Insomma, un perfetto gatun de marm. Però sono stato un subacqueo e sono sceso a quaranta metri a osservare pesci meravigliosi, sono salito sulle montagne e dormito nei rifugi per alzarmi all’alba e vedere i caprioli e i disegni delle nuvole nel cielo, ha fatto per sei volte il Camino di Santiago con zaino di 10 chili in spalla per conoscere gente proveniente da ogni parte del mondo e per macinare 25/30 chilometri al giorno e prender pioggia in Galizia. Ho portato la barca a vela in solitario, mi piace andar nel bosco a far legna. Sono, per usare una parola a me antipatica, uno "sportivo". Ma mi son sempre meravigliato di quelli che vogliono scendere nel mare a "meno cento", di coloro che vogliono arrivare a salire per primi il K2, a chi vuol percorrere il Camino di Santiago in 15 giorni come se fosse un percorso da casello a casello, di quelli che fanno le regate per tagliare il traguardo per primi. Ancora adesso, a ottant’anni, amo tagliar la legna, rovistare nei boschi a cercar funghi e camminare per chilometri e, lo confesso, quando ci sono le Olimpiadi o una importante partita di tennis mi metto davanti alla TV e mi diverto a veder giocare un bel tennis ma, alla fine, spero che vinca il migliore, di qualsiasi nazionalità sia. Insomma, un bel mistero. Come mai proprio a me diverte guardare chi dello sport fa un’eccellenza? D'altra parte la vita è piena di contraddizioni. Una volta un giornalista chiese a Hemingway, noto ateo, se sotto sotto credesse in Dio e lo scrittore, maliziosamente, confessò... "Qualche volta, di notte".

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