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mercoledì 3 giugno 2020

LE TRE CREME - 1A PARTE - di Enrico Jessoula



di Enrico Jessoula

Secondo racconto di una Trilogia in Giallo (dal Libro "Martino")

Aveva appoggiato il giornale per terra e la stava osservando da una decina di minuti, lo sguardo rapito dalla figuretta sottile, incollato al tubino semplicissimo, di lino color lavanda, che indossava.
Il sole, filtrando dalla finestra, gli concedeva un controluce del vestito, attraverso cui intravedere il corpo slanciato, rubare la visione delle gambe snelle, affusolate; seguire in trasparenza le curve dolci, proporzionate, del bacino e del seno, sul quale indovinare l’assenza di reggiseno.Un fisico da ballerina, su cui s’innestava un volto dai lineamenti sottili, eleganti, incorniciato da una spiritosa zazzera color stoppa; la carnagione diafana, solo leggermente arrossata dal calore del fuoco.


Fu sorpreso dall’espressione compunta, da ragazzina all’esame, che aveva assunto mentre rimescolava con grazia ai fornelli, senza mai voltarsi verso di lui. Sorrise compiaciuto, constatando che voleva fare da sola: imparare, ma anche dimostrare a lui e a se stessa le sue capacità.
Di colpo, la mano destra della ragazza sollevò il pentolino, mentre con l’altra spegneva il fuoco. Lo mantenne per un attimo in sospensione, gli occhi socchiusi, intenta ad inalare l’aroma che si diffondeva tutt’intorno; poi con mossa decisa versò quel fluido denso e ambrato sul piano del tavolo. Lo vide allargarsi, diventare un’isola scura sul marmo chiaro, fino ad assumere contorni irregolari ma definiti.
Allora finalmente si voltò. Fece qualche passo verso la poltrona, prima di sedersi sulle sue ginocchia e sfiorargli la bocca con un  bacio:
- Ho fatto tutto bene, Serge? -
Lui sorrise indulgente:
- Sì, molto bene. Forse, per raggiungere proprio la perfezione, avresti dovuto spegnere un attimo dopo. Un’inezia, tre o quattro secondi. -
- Avevo paura che bruciasse - protestò lei, arricciando il nasino spiritoso - come si fa a sapere quando sarà il momento in cui è perfetto? Lo sai quando è già passato. -
- Esperienza, chérie, solo esperienza. Senti l’odore di caramello diventare sempre più intenso, finché non percepisci, dentro di te, che un attimo dopo non sarebbe più zucchero caramellato ma bruciato; come se suonasse un campanello d’allarme, in quel preciso momento spegni. -
Appena terminata la frase, se ne pentì immediatamente, cercando frettolosamente di correggere il tiro:
- Scusami, non dare retta ad un maniaco perfezionista, hai fatto un ottimo caramello: sulle “Tre creme” farà un figurone con i nostri ospiti. Vedrai! -
Margherita fece per un attimo il broncio, poi si ravvivò:
- Ed ora, che si fa? -
- Ora lo lasci raffreddare un po’, poi lo rompi. Puoi usare il manico di un coltello: lo fai a pezzotti, non troppo piccoli, che infili di punta nella panna montata. Il contrasto tra il gusto dolce-amaro del caramello e la panna è sublime; ma non sottovalutare l’effetto scenografico: devono sembrare vetri rotti, come se una di quelle bottiglie di birra marroni si fosse frantumata sul dolce. -
Lei gli prese la mano, nuovamente imbronciata:
- Ok professore, ma io volevo solo sapere se abbiamo il tempo di fare l’amore. -

“Non è la Senna, ma non è niente male”.
Il pensiero colse Serge affacciato ad uno dei vetusti finestroni del ristorante che davano sul Naviglio grande. Niente male, quel flusso d’acqua ordinato, laminare, che addolciva ed animava una campagna fin troppo piatta; ci s’era messo nientemeno che Leonardo a progettare quella rete di canali che ora lambiva, con nobile indifferenza, cascine e ville signorili.
Nel corso dei suoi pensieri irruppe improvvisamente il ricordo di quella giornata a Parigi, quando lui, Serge Mondini, chef italo-francese di chiara fama, maestro pasticciere di uno dei ristoranti più famosi della città, si era fatto sedurre dall’idea di ritornare al Paese d’origine.
Come d’abitudine, quel pomeriggio, Serge si era aggirato tra pentole e forni e ne aveva esaminato il contenuto, prodigo di consigli:
- La crema pasticciera è leggermente liquida, Agnès, falla addensare un po’… -
- Anche l’île flottante, Jean Pierre, ma appena appena… -
- Lo strudel, mi raccomando Joséphine, non più di tre minuti ancora: ha già un bel colorito. -
Rientrato alla scrivania, separata dalle cucine da una grande vetrata, Serge aveva dato una rapida occhiata al computer, le mail del giorno, le notizie principali sul sito di Le Monde; poi si era messo a riflettere sulla sua situazione.
Non poteva certo lamentarsi.
Trentott’anni, un fisico da gigante buono, i capelli che, precocemente brizzolati come suo padre, gli conferivano un’aura di serietà e affidabilità; da anni era diventato il responsabile della pasticceria di un grande e celebrato ristorante nei pressi di Place des Vosges.
Sospirò al ricordo di Place des Vosges: quando viveva a Parigi, non passava giorno senza andare a sedersi in quella piazza ad ammirare la scintillante uniformità dei palazzi che la contornavano, vincendo, con la vivacità dei colori – ­­bianco e rosso mattone – l’austera ripetitività delle forme.
A seconda della temperatura, sceglieva una panchina all’ombra dei tre filari di tigli squadrati che bordavano la piazza oppure optava per una delle poche in pieno sole; a volte preferiva sedersi direttamente sul prato vicino ad una delle quattro fontane, dove si rischia di bagnarsi quando gira il vento. Lì apriva il libro del momento e si concedeva una buona mezz’ora di relax.
Una bella vita. Aveva guadagnato abbastanza da potersi comprare, non lontano dal ristorante, una graziosa mansarda da cui poteva ammirare con aria trasognata i tetti della sua Parigi. Perché non c’era dubbio che Parigi fosse la sua città, visto che la famiglia vi si era trasferita quando lui aveva cinque anni.
Ma quel giorno un’ansia strana lo rodeva dentro.
Perciò, quando l’improvviso trambusto della truppa che si muoveva in blocco per andare a mangiare lo aveva riscosso dai suoi pensieri, non aveva avuto dubbi sulla risposta da dare a Jeff, uno spilungone di incerte origini giamaicane, che aveva messo la testa dentro al suo ufficio per chiedergli:
- Serge, vieni a mangiare con noi? -
- No, grazie, ho un po’ di carte da sbrigare. -
Non era vero, ma Jeff non se ne stupì perché non sempre si univa a loro: lo faceva spesso, ma non era una regola. Cuochi e camerieri cenavano assieme un paio d’ore prima dell’inizio del servizio al tavolo e lui percepiva che, unendosi a loro, li rendeva felici. Era un fatto importante, perché serviva a cementare quello spirito di squadra cui teneva tanto, uno dei cardini fondamentali della sua filosofia di vita.
Altre volte, invece, cedeva alla tentazione di rimanere solo nel suo regno: era uno di quei momenti magici e segreti nel quale si rilassava per cinque o dieci minuti, sprofondato in poltrona, prima di fare un secondo giro delle cucine, con degustazione.
Gli piaceva assaporare la mousse, la crema pasticciera, qualche angolo di pasta frolla, la crème brûlée prima della rosolata finale, socchiudendo gli occhi per concentrarsi meglio sui sapori, ma anche per esprimere il suo compiacimento.
Preferiva che i suoi collaboratori non lo vedessero in questa attività, perché avrebbero potuto interpretarla come un indebito controllo sul loro operato; mentre per lui, goloso impenitente, si trattava di piacere puro.
Non quel giorno però: appena scomparsa la truppa, si era infatti precipitato su Le Monde Economie, l’inserto economico del suo quotidiano abituale. Aveva ancora davanti agli occhi la data del giornale, scritta in cima alla pagina “Mardi 16 novembre 2010”: il ricordo era talmente vivo che gli sembrava di poterla leggere anche sull’acqua del Naviglio che scorreva davanti a lui.
Subito sotto, aveva riletto quella strana ricerca di personale che sembrava scritta apposta per lui: un affermato ristorante nei pressi di Milano cercava un responsabile del reparto pasticceria per “fare un salto di qualità nell’offerta del settore”.
Non c’era dubbio: cercavano lui. Un’inspiegabile nostalgia per l’Italia, Paese di cui aveva solo ricordi vaghi dell’età pre-scolare, lo aveva attanagliato; la voglia di cambiare vita, fare nuove esperienze, affrontare nuove sfide, aveva fatto il resto.
“Tutto scorre” si chiamava il ristorante; un nome che lo aveva lasciato perplesso, dubbioso se fosse una banale allusione al Naviglio che, a quanto diceva l’annuncio, scorreva proprio davanti al locale, oppure un ben più colto, filosofico riferimento al panta rei attribuito ad Eraclito.
Un attimo d’incertezza al quale aveva reagito impulsivamente, allegando il proprio curriculum ad un’email e cliccando sul pulsante “Invia”.
Fu così che, pochi giorni dopo, preso un volo low cost nel suo giorno di libertà, si era ritrovato seduto nell’ufficio al primo piano del ristorante, inondato dalla luce solare quasi invernale, di un azzurro vagamente metallico, che entrava dalle finestre.
Di fronte a lui, seduto su una scomoda sedia mal imbottita, gli sorrideva un bonario ed attempato signore. Si era presentato come Piero Balestra, era ovviamente il proprietario del locale ed aveva passato molto tempo a parlare di sé e pochissimo di Serge, come se di lui sapesse già tutto.
Aveva spiegato che, in tanti anni di attività, il ristorante si era specializzato in una cucina lombarda evoluta, nella quale lui era riuscito a mixare abilmente i gusti schietti dei cibi locali con alcuni tocchi di raffinatezza “alla francese”.
Il risultato ottenuto aveva catturato il gusto di una clientela dal palato esigente, nonché dei più accreditati critici gastronomici; rimaneva, come unica pecca riconosciuta, quella dei dolci.
Oltre ai critici, anche alcuni dei clienti più affezionati avevano commentato che, in un ristorante di quel livello, non ci si poteva accontentare di dolci acquistati, sia pure presso una famosa pasticceria.
Monsieur Piero, come lo aveva subito chiamato Serge, aveva dunque un obiettivo chiaro: sfatare quel mito negativo che cominciava a danneggiare il locale. Ci voleva quindi il famoso salto di qualità per il quale Serge sembrava essere l’uomo del destino: il grande pasticciere parigino che, oltretutto, si esprimeva perfettamente in italiano, avendolo sempre parlato in famiglia.

Non c’era voluto molto a concludere la trattativa e così, dopo pochi mesi, il Naviglio grande era subentrato a Place des Vosges nel cuore di Serge. Cuore peraltro rapidamente occupato anche dalla giovane Margherita, una dei quattro o cinque collaboratori, il cui numero variava secondo i giorni e l’affluenza prevista. Collaboratori che lui si era impegnato ad allevare, secondo i patti, fino a farli diventare dei buoni pasticcieri. Anzi ottimi, come aveva voluto precisare il signor Piero.
In quest’ottica aveva deciso di dedicare una mattina la settimana ad un  corso approfondito su uno dei nuovi dessert che aveva introdotto nel menu.
Quella mattina c’era una grande eccitazione nell’aria perché si era sparsa la voce che Serge avrebbe spiegato ai suoi collaboratori i segreti delle “Tre creme”, un dolce di sua invenzione che aveva attirato le lodi sperticate dei critici più autorevoli e fatto schizzare in alto il fatturato del ristorante.
Il signor Piero, gongolante, aveva addirittura fatto verandare una parte di giardino, raddoppiando quasi la disponibilità di coperti.
Serge non poteva che essere orgoglioso di un siffatto successo, nonché della dedizione e puntualità con cui i suoi collaboratori si presentavano alle lezioni, muniti di blocco e penna come se fossero tornati sui banchi di scuola.
A Serge piaceva cominciare puntuale, per cui alle dieci precise entrò nella sala, si raschiò brevemente la gola ed iniziò con tono professorale:
- Oggi vi parlerò della mia creazione preferita, un dolce che ho chiamato, molto semplicemente, Le tre creme. Iniziamo dal contenitore: deve obbligatoriamente essere una coppa di cristallo trasparente perché si possano vedere nitidamente i confini tra le varie componenti; queste vanno disposte nell’ordine: la crema pasticciera sul fondo, poi la mousse di cioccolato, infine la panna montata. -
Fece una breve pausa prima di continuare:
- Tre creme: pasticciera, mousse, panna montata. Tenete presente il gioco dei contrasti, netti ma armoniosi. Innanzitutto il colore: giallo, marrone, bianco. Tre colori che stanno bene insieme e a noi piace ammirarli, nella coppa di cristallo trasparente.
Stesso discorso per la consistenza che evolve dalla morbida cremosità della pasticciera fino alla vaporosità della panna montata, passando per la via di mezzo della mousse di cioccolato, cremosa e vaporosa allo stesso tempo.
Fondamentale infine l’abbinamento dei gusti: la pasticciera dolce contrasta con l’amaro della mousse fondente; questa, a sua volta, stempera il suo sapore forte con la delicatezza della panna montata. -
Fino a quel momento, i giovani allievi avevano preso nota freneticamente, sollevando di tanto in tanto lo sguardo verso quell’uomo alto e forte che descriveva un dolce con la stessa aria ispirata ed appassionata di un poeta che declama una sua poesia. Ma sul gioco di contrasti scattò un applauso scrosciante che sorprese ed emozionò Serge.
Con un sorriso compiaciuto, il gran pasticciere fece ruotare gli occhi attorno a sé, lentamente, passando in rassegna gli allievi che, nel frattempo, si erano ricomposti e stavano là, con la penna a mezz’aria, pronti a ricominciare a prender nota.
Riprese la lezione, col tono vellutato di chi racconta una favola:
- Veniamo ora alla magia del caramello. Si scalda dello zucchero in un pentolino finché non si diffonde nell’aria il classico odore di zucchero caramellato; lo si versa sul piano di marmo e si lascia raffreddare. Lo si rompe poi sopra alla panna, ottenendo così un nuovo contrasto tra il dolce-amaro del caramello e la soavità della panna, aggiungendo l’ambra alla tavolozza dei colori, la durezza vetrosa alla gamma delle consistenze. -
Dopo aver sorseggiato un goccio d’acqua, proseguì:
- Ma il vero segreto sta nella crema pasticciera, che mettiamo in fondo perché è l’anima del dolce, il gusto fondamentale su cui gli altri si appoggiano: fate una buona pasticciera e la battaglia è vinta! La crema deve avere un gusto discreto ma seducente, profumare senza stordire, conquistare il palato senza aggredirlo. -
Da un po’ di tempo, Serge aveva elaborato questa teoria: che la mousse fosse la parte appariscente del dolce, la panna ed il caramello il contorno decorativo, mentre la pasticciera ne era il cuore, l’anima, il dono supremo per i palati più fini.
In poche parole, si era innamorato della pasticciera al punto da ridurre le sue degustazioni della pausa pranzo a una coppetta di quella crema che Margherita gli preparava ogni giorno, prelevandola dal centro della pentola e lasciandola raffreddare lentamente a lato dei fornelli.
Così Serge manteneva la vecchia abitudine del giro in cucina con degustazione, pur avendo ristretto la sua golosità a quell’unica porzione di sostanza paradisiaca.
- Naturalmente - concluse - dedicheremo le prossime lezioni a spiegare e sperimentare praticamente la preparazione dei vari componenti, a cominciare dalla crema pasticciera la prossima settimana. -


Il giorno stabilito della settimana seguente, non fu un mero automatismo, per Margherita, preparare la coppetta per Serge alla fine della lezione sulla crema pasticciera. L’aveva fatto con la delicatezza di chi preleva un tesoro, immergendo lentamente nella pentola il mestolo piccolo, con mani tremanti e gesti sacrali.
Era felice perché Serge, ispirato come non mai, li aveva veramente messi a parte dei segreti di quella preparazione, sia sul piano teorico che nella realizzazione pratica, alla quale avevano collaborato tutti, ottenendo così il massimo dei benefici.
Al termine dell’esercitazione, ognuno fu invitato ad assaggiare quella delizia gialla che inebriava i sensi e disponeva favorevolmente alla vita. Dopodiché Serge si era diretto al suo piccolo studio, gli altri a consumare il pranzo a loro riservato.
A fine pasto fu Fabio, l’assistente di Serge, il primo a recarsi nello studio, per ricevere il programma di attività del pomeriggio.
Serge era seduto sulla poltroncina di pelle nera, come sempre, ma il busto era appoggiato sulla scrivania, il braccio teso, la mano contratta nel tentativo di afferrare qualcosa, forse il campanello elettrico che ora giaceva per terra, la testa riversa con gli occhi sbarrati verso il soffitto, lo sguardo cristallizzato in un’espressione di stupore misto a dolore.
La coppetta di crema pasticciera giaceva sul tavolo, vuota.

Arrivando al primo piano del ristorante, il commissario Rosaria Campo pensò subito che la scena non lasciasse molto spazio alla fantasia: morte per avvelenamento, provocata da una sostanza intromessa nella crema da mano criminale.
A lei restava solo il compito di scoprire l’assassino: con ogni probabilità, una delle persone presenti in quel momento nel locale.
Osservò gli uomini della Scientifica fare scrupolosamente il loro lavoro, rilevando impronte, analizzando resti; parlò brevemente con il loro capo, il dottor Nicoletti, dicendogli di chiamarla non appena avesse avuto qualche novità.
Questi la bloccò con un gesto della mano, dopodiché si appartarono in un angolo della stanza.
- Qualcosa di strano c’è già - esordì il dottore - i resti della crema nella coppetta indicano inequivocabilmente la presenza di stricnina. -
- Ci avrei giurato - ribatté Rosaria.
- Sì, però la crema pasticciera che è rimasta nella pentola è assolutamente buona, indenne da qualsiasi traccia di veleno. Tragga lei le conclusioni. -
- Possibile? Vorrebbe dire che la crema è stata avvelenata dopo che Serge l’ha prelevata… -
- Commissario, se vuol gradire: questa è stata presa direttamente dalla pentola. E’ buonissima, glielo assicuro - disse il dottor Nicoletti sollevando un vasetto e un cucchiaino verso il commissario, che fece una smorfia di rifiuto.
Fu in quel momento che si sentì osservata. La cosa non la stupì: Rosaria era una di quelle brune appariscenti, dalle curve pronunciate, che facilmente suscitava l’ammirazione del genere maschile. Non era insomma il tipo fisico che degli aiuto-pasticcieri di campagna avrebbero spontaneamente attribuito ad un commissario di polizia, per giunta della squadra omicidi.
Si voltò di scatto, trovandosi davanti quattro occhi maschili, lucidi e vagamente eccitati. Sorrise, pensando che avrebbe potuto scartare a priori quei due dalla lista dei potenziali omicidi, perché difficilmente chi ha appena commesso un delitto ha la voglia ed il tempo di ammirare le curve del commissario incaricato delle indagini.
Si rivolse loro con un sorriso languido e provocatorio:
- Mi fate vedere la cucina? Così mi faccio un’idea dell’ambiente in cui è maturato il delitto. -
Li vide sobbalzare alla parola delitto, prima di riprendere il controllo e procedere alla visita guidata da lei richiesta.
Era la prima volta che Rosaria visitava le cucine di un ristorante di quel livello; ammirò i numerosi fuochi di varia dimensione e fu colpita dalla lucentezza di tutte le parti metalliche, dai fornelli alle suppellettili, alle cappe di aspirazione, fino ai tubi delle canne fumarie.
Certamente, il “Tutto scorre” non avrebbe temuto nessuna ispezione, non fosse stato per l’omicidio di Serge.
Le tornò in mente il ristorante di sua zia Innocenza a Crotone dov’era nata ed aveva trascorso i primi anni di vita. A quel che ricordava, le cucine erano molto diverse: annerite dal fumo, i fornelli incrostati, perché zia Innocenza sosteneva che così le pietanze “uscivano migliori”.
Si fermò di colpo davanti ad una pentola contenente una crema gialla, rabbrividendo nell’indicarla ai due ragazzi:
- E’ quella? -
- Sì, la crema pasticciera. L’abbiamo fatta noi, come esercitazione con Serge. Sentisse che buona, la vuole assaggiare? - rispose Aldo, il più intraprendente dei due.
- No, grazie - disse precipitosamente, aggiungendo per giustificarsi:
- quando sono in servizio non mangio mai. -
Aveva temuto di offenderli oppure, ancor peggio, di essere giudicata una fifona. Però non le andava proprio di mangiare quella crema che aveva appena fatto una vittima. Proseguì la visita alla cucina, guardando sconsolata un certo numero di pietanze in fase di cottura che, per quel giorno, erano diventate inutili.
Si girò di scatto verso i due giovani:
- Spiegatemi una cosa: Serge mangiava abitualmente quella coppetta di crema pasticciera, oppure oggi è stato un caso eccezionale? -
I due si guardarono incerti, poi Aldo rispose con decisione:
- Tutti i giorni. Era il suo pranzo, perché Serge mangiava poco, per tenersi in forma; per contro era un grande goloso, soprattutto di crema pasticciera. Margherita gliene preparava una coppetta tutti i giorni, gliela lasciava qui a raffreddare - concluse, indicando il bordo della cucina.
- Questa Margherita è stata dunque l’ultima a toccare la crema, che voi sappiate. -
Un’ombra attraversò gli occhi dei due ragazzi, suscitando la reazione rabbiosa di Aldo:
- Capisco a cosa sta pensando, commissario, ma Margherita non l’ha certo avvelenato. A dire il vero, nessuno dei suoi collaboratori può averlo fatto, perché lo adoravano. Lo adoravamo tutti, ma Margherita aveva una ragione in più: era la sua donna. -
“Che ingenui…cherchez la femme” pensò in un baleno Rosaria, prima di riflettere a voce alta:
- Però Margherita la lasciava là a raffreddare. Quindi qualcun altro avrebbe potuto aggiungere il veleno prima che Serge la prelevasse. E’ stato così anche oggi? -
Vide nuovamente uno scambio di sguardi preoccupati tra i due, ma la risposta sembrò convincente:
- Sì, è così, perché a Serge piaceva fare un giro delle cucine quando sono deserte e quindi la prelevava lui. Anche oggi: Margherita l’ha lasciata lì, vicino alla pentola, ed è venuta con noi a pranzo. -  
- Bene. Vi ringrazio molto, ma ora devo cominciare gli interrogatori. Dov’è l’ufficio del proprietario? -
- Mi segua - replicò prontamente Aldo - il signor Piero sarà felicissimo di parlarle. -
Stava pensando che in realtà nessuno al mondo, neanche l’essere più innocente, è mai contento di subire un interrogatorio di polizia, quando Aldo bussò discretamente alla porta, prima di aprirla con cautela.
Rosaria entrò con passo deciso.
- Commissario - la accolse affabilmente Piero Balestra - si accomodi, la stavo aspettando. -
Il colloquio non durò più di mezz’ora. Piero estrasse dall’archivio una cartelletta con scritto “Andamento fatturato” e mise sotto gli occhi del commissario una serie di grafici, commentando:
- Serge è stato, per il mio locale, come la manna dal cielo. Vede, il mio ristorante è noto da molti anni, frequentato da persone importanti. Eppure, nell’ultimo anno o due, come dimostra questo grafico, il numero di coperti aveva cominciato a declinare. -
Sospirò, allungando lo sguardo fuori dalla finestra, verso la campagna lombarda; poi riprese:
- Ho intuito che la colpa fosse dei dolci, non più giudicati all’altezza dalla clientela, molto esigente, che ormai frequentava il locale. Perciò, lo scorso inverno, ebbi un’idea geniale: cercare un pasticciere di grido che completasse la nostra offerta. E cercarlo in Francia, perché là sono i migliori. -
La guardò di sottecchi, prima di proseguire:
- Così è arrivato Serge. Ho avuto fortuna, perché oltre ad essere bravissimo, si esprimeva in italiano perfettamente e sapeva farsi voler bene dai dipendenti. I risultati parlano da soli, basta guardare gli ultimi tre mesi: le vendite impennano, il numero di coperti anche. Per me è stato un vero toccasana. -
- Non sono strettamente correlate, vendite e numero di coperti? - obiettò Rosaria.
- Non del tutto - replicò sorridendo il signor Piero - perché non solo i clienti sono stati più numerosi, ma sono aumentati a dismisura quelli che ordinano il dessert. Prima non era così; sa, con la fissazione delle diete, molti, dopo il secondo, passavano direttamente al caffè. Invece, dall’arrivo di Serge nessuno rinunciava più al dessert, il conto lievitava e le vendite crescevano in modo esponenziale. -
- Vedo - commentò Rosaria esaminando con cura il grafico - complimenti: una mossa vincente, la sua. -
D’improvviso, un’ombra velò lo sguardo del signor Piero, la fronte si aggrottò, la voce divenne tremula:
- Mi creda, per me è la fine. Non oso pensare alle conseguenze di questo omicidio: la perdita di Serge toglie la maggior attrazione al mio locale, per non parlare dell’impatto psicologico di una morte per avvelenamento. -
- La capisco, ma purtroppo non posso aiutarla, su questo piano - concluse Rosaria, accomiatandosi - dica a tutti i dipendenti di tenersi a disposizione e presentarsi qui domattina alle dieci. -
  (LA SECONDA PARTE  A GIORNI)



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