di Enrico Jessoula
Introduzione a
cura di Mimma Zuffi
Corre leggero al “filosofico” epilogo il racconto che
chiude la Trilogia di Racconti “eroticomici”.
Con toni misurati e ironia calibrata, Enrico Jessoula intreccia le vicende e
le emozioni di due ragazzi, coniugando felicemente tradizione e retaggi di
mondi e culture diversi che trovano singolare coesistenza nella scherzosa
contrapposizione tra le giovanili pulsioni dell’uno e l’atavica compostezza
dell’altro.
Il tutto mediato dal pragmatismo di una donna.
- Sicuro che esca? -
Il ragazzo dai lineamenti asiatici indicò con lo sguardo
il balcone al secondo piano, aggiungendo beffardo:
- Non sembra che ne abbia intenzione. -
- Sicurissimo: c’è il sole - rispose Flavio, tendendo la
mano aperta verso l’amico per rassicurarlo - basta un raggio di sole e lei esce
sul balcone a farsi l’abbronzatura, anche se siamo ancora in primavera e la
temperatura non è poi tanto alta. Non ha ancora mancato un giorno: per questo
l’ho soprannominata ‘La Regina del Sole’! -
L’altro rise di gusto:
- Sarebbe come a dire che quella donna… funziona a
energia solare? -
Flavio stava per spazientirsi, ma decise di stare al
gioco:
- Può essere. Quando si sente stanca esce sul balcone,
prende il sole per un’ora o due e… ricarica le batterie. -
I due ragazzi, senza perdere di vista il balcone, si
allungarono sui rispettivi sedili: due poltrone da giardino stile anni ’70 costituite
da un budello di plastica, ormai scolorito dal sole e dalla polvere, intrecciato
e annodato intorno ad una struttura di ferro, su cui lo smalto combatteva con
la ruggine una battaglia persa.
Le due poltrone erano identiche a parte il colore:
Luigino Hu, quello dai lineamenti asiatici, aveva scelto il budello di plastica
rosso, mentre Flavio aveva preferito l’azzurro che, per qualche motivo, era anche
meno scolorito.
Nell’angolo relax
che Mimì il pizzaiolo, detto il ‘Mago della pizza’, aveva creato per loro sul
retro del locale, le due poltrone si dividevano l’ombra di uno scalcinato
ombrellone che, alla bell’e meglio, riparava loro, un tavolino di ferro
smaltato e i due motorini che servivano per le consegne.
- Eccola - esclamò Flavio eccitato, vedendo
socchiudersi la finestra al secondo piano del palazzo di fronte - eccola, cosa
ti avevo detto? -
Guardò di sottecchi l’amico, ansioso di scoprire una
pari eccitazione, ma rimase deluso. Luigino Hu era rimasto impassibile,
mollemente sdraiato ad ascoltare l’i-pod attraverso
gli auricolari.
Flavio e Luigino. Due diciassettenni che, per pagarsi
qualche sfizio, lavoravano come pony
express per la consegna delle pizze a domicilio.
Due amici di vecchia data. Flavio, un liceale dallo
sguardo mansueto e dai modi falsamente intellettuali, il ciuffo castano calato sugli
occhi chiari a nascondere la persistente timidezza verso le coetanee, aveva
conosciuto alle medie Luigino, un ragazzo della comunità cinese di seconda
generazione. Inseparabili nel periodo delle scuole secondarie, si erano poi persi
di vista e ritrovati recentemente a seguito di un incontro fortuito.
Flavio era impressionato dalla capacità dell’amico di
parlare un italiano perfetto, divertito dagli occhi a mandorla, gli zigomi sporgenti
e la rada peluria diffusa tra labbra e mento; incuriosito da quello strano
abbinamento di un nome italiano, Luigino, con il cognome cinese Hu; un cognome che
negli ultimi anni era diventato il secondo più diffuso a Milano, addirittura più
di Brambilla.
Dopo circospette indagini, aveva finalmente scoperto
che Luigino altro non era che l’italianizzazione di un nome cinese, Liu Qin o
qualcosa di simile e se n’era fatto una ragione: l’amico si chiamava Liu Qin
Hu. Anzi, secondo l’usanza cinese di anteporre il cognome al nome, Hu Liu Qin.
Ma quel nome sarebbe risultato impronunciabile per la
maggioranza degli italiani per cui… evviva Luigino.
- Guarda, sta uscendo - ripeté Flavio a voce alta, nel
tentativo di superare la barriera frapposta dalla musica sparata a tutto volume
nelle orecchie dell’amico. Dovette ripetere la frase più volte, a voce sempre
più alta, ottenendo come unica reazione uno sguardo interrogativo.
La signora del secondo piano era uscita e, con la
struttura matronale del fisico e il voluminoso casco di capelli neri, aveva occupato
buona parte del balcone. Portava con goffa naturalezza una tunica prendisole turchese,
straordinariamente in tinta con l’ombrellone che, anche se chiuso, conferiva
una macchia di colore alla parete grigia del palazzo.
Dopo una rapida ispezione alle piante, da cui estirpò alcune
erbacce che buttò di sotto con fare noncurante, aprì con gesti lenti una sedia
a sdraio, sistemandola longitudinalmente al balcone.
Vi si accomodò, sollevando le gambe fino ad appoggiare
i piedi su uno sgabello piuttosto alto, incurante della forza di gravità che
faceva risalire la tunica scoprendo le cosce.
- Guarda, guarda… - dette di gomito Flavio all’amico
che continuava a non scomporsi.
Ad ogni movimento della donna, ad ogni refolo di
vento, la tunica risaliva sempre di più, trascinando Flavio eccitatissimo sulla
punta della poltrona, a rischio di ribaltamento.
Un ultimo spostamento, un accavallamento di gambe,
portarono la tunica a scoprire le cosce completamente, fino a far affiorare un
lembo di stoffa dello stesso colore.
Stavolta Flavio scosse l’amico con decisione:
- Sogno, o anche le mutande sono turchesi, dello
stesso identico colore della tunica e dell’ombrellone? -
Finalmente Luigino ebbe una reazione, rimosse pigramente
uno degli auricolari e rise di gusto:
- La Regina del turchese, direi. Ora capisco perché
hai scelto la poltroncina azzurra: una preferenza di colore, anche se non
proprio della stessa tonalità. -
- Cosa c’entra? Hai visto, piuttosto, che cosce? Così
grosse, ben tornite… mi fanno impazzire - insisté Flavio.
Luigino si lasciò ricadere sulla poltroncina di
plastica rossa e sospirò deluso:
- Ma dai… sembra Saraghina - disse, mentre distoglieva
lo sguardo dalla direzione che li aveva calamitati per tutta l’ultima ora.
- Saraghina? E chi sarebbe? - reagì Flavio,
indispettito.
L’amico assunse un’aria saccente e vagamente
canzonatoria. Con movimenti lenti, studiati, si tolse definitivamente gli
auricolari posandoli, assieme all’i-pod,
sul tavolino; poi dette inizio alla lezione:
- Non sai chi è Saraghina? E’ un personaggio del film “Otto
e mezzo” di Federico Fellini. Anzi, direi che è il prototipo delle donne
felliniane, al tempo stesso mostruose e sensuali… ma soprattutto mostruose. -
Prese fiato, raggiunse con il braccio la lattina di
Coca Cola che aveva appoggiato per terra, ne bevve un sorso abbondante prima di
proseguire:
- Quella donna è proprio come Saraghina. Certo, ha
curve in abbondanza, ma non vedi? Troppa, troppa carne flaccida, cellulite che fuoriesce
dappertutto; come fa a piacerti una cicciona così? -
- Eh… la volpe e l’uva! - commentò Flavio che, messo
in difficoltà dalla cultura dell’amico sul cinema italiano, voleva
assolutamente riprendere il controllo della situazione: - sarà cicciona come tu
dici, ma ora aspetta che si spogli, poi ne parliamo. Qualche giorno fa l’ho
vista nuda… o quasi. -
- Appunto, come Saraghina. Anche lei, nel film, girava
seminuda vicino alla sua spelonca; una specie di strega che incantava i bambini
del paese con danze oscene, una puttanona di periferia. -
- Aspetta a parlare, ora comincia il bello. -
Proprio in quel momento, il volto rotondo e rubizzo di
Mimì si affacciò sulla porta: c’erano un paio di consegne da fare, una ciascuno.
I due ragazzi erano chiamati alla loro funzione di pony express, lo spettacolo rinviato.
Mimì La Rocca aveva avuto qualche piccolo problema con
la giustizia quando era da poco giunto a Milano dalla Basilicata; si era
trattato di reati di natura sessuale.
Niente di particolarmente grave. Mimì era giovane e
inesperto, vagava per la città con aria trasognata, immergendosi nelle sue
bellezze e bruttezze e ritrovandosi al tempo stesso affascinato e stordito.
Fu così che, in una giornata di primavera in piazza
del Duomo, il dolce sole del tramonto illuminò posteriormente la minigonna
bianca di una turista tedesca, facendo trasparire quel poco di gambe che avrebbe
dovuto rimanere coperto.
Mimì aveva osservato per un lungo momento quelle gambe
flessuose e lunghissime sulle quali ondeggiava, quasi portato in trionfo, un ‘lato
B’ di tutto rispetto.
Un ondeggiamento che gli aveva procurato una specie di
mal di mare, ipnotizzandolo e trascinandolo verso quel delizioso posteriore
danzante. Giunto nei pressi, aveva allungato una mano e stretto con forza le
natiche, verbalizzando il gesto con un “Poooti
poooti” così gioiosamente infantile da apparire, ai suoi occhi e alla sua
mente, del tutto innocente.
Di diverso parere fu la donna che reagì urlando frasi
in tedesco, dai toni durissimi e per lui incomprensibili, frammiste a grida di
“Aiuto! Aiutooo!” in italiano per richiamare l’attenzione della piazza.
Mimì, come abbiamo detto, era giovane e inesperto. Al
sopraggiungere della polizia aveva ancora la mano saldamente incollata al culo
della donna, mentre il volto emanava un’espressione di beatitudine. Fu perciò
inevitabile che, pochi minuti dopo, le porte di San Vittore si richiudessero alle
sue spalle.
Se la cavò con una lieve condanna e la libertà
condizionale, ma da quella volta si era rifugiato nella sua bottega di
pizzaiolo, evitando il più possibile i contatti con il sesso femminile per non
cadere in tentazione.
Aveva fatto eccezione Vanessa, una lombarda tosta, una
ragioniera sufficientemente fredda ed esperta da far sempre tornare i conti a
proprio vantaggio. Impiegata in un ufficio della zona, non aveva esitato a
seguire Mimì nel retrobottega per alcuni assaggi sessuali, prima di trascinarlo
in chiesa per la cerimonia nuziale.
Vanessa era al corrente di quel piccolo precedente
penale dell’uomo, ma era anche certa che, sotto il suo diretto controllo, lui avrebbe
rigato diritto. Al proposito, aveva in mente un piano preciso e molto semplice
per controllarlo: non farlo mai uscire dal locale.
Avevano così trovato un modus vivendi ottimale: lui davanti al forno a preparare le migliori
pizze del quartiere e lei, simpatica e brillante, a tenere i contatti con la
clientela. Gli affari prosperavano e si aggiungevano continuamente nuovi
clienti.
Vanessa lo aiutava al banco con ordinazioni e
consegne, schermandolo dai contatti con il pubblico. Alla cassa, con i suoi
riccioli color del fuoco, gli occhi blu cobalto e le curve armonicamente distribuite
su una figuretta snella, era diventata l’icona del locale.
Completavano la squadra i due ragazzi, pronti ad
attivarsi per portare le pizze a
domicilio, togliendo a Mimì qualsiasi velleità di affrontare un mondo che
pullulava di femmine tentatrici.
Di fatto, le sortite di Mimì dal negozio si limitavano
al retro, per dare disposizioni ai due: “Tanto
da quella parte non posso certo cadere in
tentazione” pensava “visto che l’unica
donna è quella cicciona del secondo piano”, condividendo così, senza
saperlo, il giudizio di Luigino.
Era stato il caso a far incontrare nuovamente Flavio e
Luigino. Flavio stava infatti tornando da una consegna quando, percorrendo la via
Bramante, fu colpito dalla fila di magazzini cinesi tutti uguali che esponevano
capi di vestiario anonimi, indossati da manichini altrettanto anonimi.
Colto da un fastidio estetico tale da procurargli una
leggera vertigine, bloccò il motorino e, proprio in quell’istante, si sentì
chiamare per nome. Le combinazioni della vita: era proprio Liu Qin che, nato e
cresciuto nella chinatown milanese di
Paolo Sarpi e dintorni, aveva trovato un lavoretto da aiuto commesso in uno degli
infiniti negozi di via Bramante, gestito da uno dei suoi tanti zii.
Superata l’emozione dell’incontro e gli abbracci di
rito, scambiatisi i numeri di cellulare per potersi rivedere, Flavio obbedì ad
un impulso improvviso: prese l’amico per un braccio e lo strattonò fino a
fargli attraversare la strada.
Lì giunti, lo apostrofò con veemenza:
- Liu Qin, tu non puoi restare qui, ti ammalerai -
aveva detto, indicandogli le vetrine che, tutte uguali, esponevano file di
manichini abbigliati senza grazia.
- Non li vedi? - aveva insistito con foga - Sembrano tanti
cadaveri, defunti rivestiti e allineati in piedi in un grottesco obitorio, in
attesa della sepoltura. In piedi per guadagnare spazio, naturalmente. -
Vedendo l’amico confuso, aveva proseguito in tono
enfatico:
- Da dove arrivi la mattina, da quella parte? Fantastico!
Vieni dal piazzale del Cimitero Monumentale e non ti fa orrore percorrere
duecento metri di cadaveri allineati, uno uguale all’altro? -
Liu Qin l’aveva guardato attonito, aveva risposto
balbettando che non ci aveva mai fatto caso e che… no, non gli facevano nessuna
impressione, anche perché non li guardava: camminava assorto, cercando di
ricordare la Cina dov’era tornato di recente, la piccola e deliziosa città di Dali
da cui proveniva la sua famiglia.
Da quel giorno, però, per il ragazzo cinese il
quartiere non fu più lo stesso. Presa bruscamente coscienza della bruttezza di
quelle vetrine, non era più riuscito a percorrere via Bramante senza guardarle
e aveva cominciato anche lui ad associare le file di manichini all’idea di
cadaveri tenuti in piedi non si sa come.
Non sentendosi più a suo agio, finì per chiedere aiuto
a Flavio che gli descrisse con entusiasmo il lavoro da pony express e la bellezza del motorino, del bauletto sponsorizzato
con la scritta “Mimì il mago della pizza” con il quale scorrazzava per Milano
per le consegne a domicilio.
- Vieni anche tu - gli aveva detto, entusiasta - la
pizzeria va alla grande, il lavoro sta aumentando e so per certo che Mimì sta
cercando un altro pony express. Ti dirò di più: ha anche già comprato
un secondo motorino. -
Così, detto e fatto, i due si erano ritrovati a
lavorare insieme, con il commento ironico di Liu Qin: “Da aiuto-commesso ad
aiuto-pony express, capirai che
carriera!”.
Ben sapendo peraltro che gli andava bene così.
Lidia Scapece era una partenopea verace che si era
sforzata di adattarsi al clima e al modo di vivere di Milano riuscendoci solo parzialmente,
pur avendo ormai vissuto una buona metà dei suoi quarant’anni nella città
lombarda.
Tutto di lei esprimeva la sua origine, dalla forte
inflessione del parlare alle rotondità del corpo, sul quale una dieta
mediterranea troppo abbondante aveva lasciato segni irreversibili, soprattutto
dopo che il marito l’aveva abbandonata per una biondina, a suo giudizio
insulsa.
Rimasta sola nella bella casa al secondo piano, in uno
dei quartieri buoni di Milano, aveva cercato di arginare la depressione con il
cibo, andando ad assomigliare sempre più a quelle donne felliniane che
offrivano seni turgidi e cosce robuste al desiderio degli uomini, per
ricambiarli con lo sguardo torvo e tacite promesse, spesso non mantenute.
Con Milano era scesa a patti, siglando mentalmente
alcuni compromessi. Uno di questi era legato al suo amore per il sole: visto
che a Milano ce n’era meno che a Napoli, voleva essere libera di goderselo più
che poteva. E come meglio avrebbe potuto godersi gli sprazzi di bel tempo se
non sul balcone, mollemente abbandonata sulla sedia a sdraio, oppure a fare
ginnastica con attrezzi che sperava la facessero dimagrire?
Insomma, il balcone era diventato il suo piccolo parco
personale, in cui fare sport ed esporre al sole l’epidermide nella speranza di
un inizio di abbronzatura. Poco importava se i vicini la guardavano e magari la
consideravano un po’ strana: quello era il suo modo di vivere Milano.
- Flavio - esordì Liu Qin, che nel primo pomeriggio
era particolarmente incline a filosofeggiare - sono giorni e giorni che stiamo
qua a non fare un cazzo, aspettando che la tua Saraghina si spogli. Mi sembra
di essere a Dali, la mia città d’origine, quando andiamo a pesca con i
cormorani. -
Luigino Hu aveva la capacità di descrivere la Cina come
se stesse raccontando una favola. Una magia, quella del suo Paese di origine, che
aveva colto nelle rare visite fatte durante le vacanze, assaggi fuggevoli che gli
erano bastati per farsene un’idea precisa e sviluppare un pizzico di giustificata
nostalgia.
Quel giorno, tuttavia, Flavio ebbe la netta sensazione
che lo stesse prendendo in giro. Reagì ridendo sgangheratamente per dimostrare
che non ci cascava e domandò:
- La pesca con che? -
L’altro gli lanciò uno sguardo molto serio e rispose
piccato:
- Con i cormorani, cosa ci trovi di strano? Voi usate
la canna o le reti e noi… -
- E voi i cormorani…- concluse Flavio continuando a
ridere - ma la canna e le reti sono strumenti che l’uomo ha inventato per pescare,
mentre i cormorani sono uccelli! Che pensano, per così dire, ai cazzi loro. -
Il ragazzo cinese, immobile sulla poltroncina rossa,
sospirò profondamente per far capire all’amico che stava facendo appello a
tutta la sua pazienza:
- Bravo. E di cosa si nutrono gli uccelli? Di pesce: perciò,
cosa meglio di un uccello per catturare i pesci? -
- Certo, peccato che loro poi se li mangiano e tu, se
non ti sei portato un panino da casa, muori di fame. -
Su questa battuta fu Liu Qin a ridere di gusto, prima
di spiegare con calma:
- Non in tutta la Cina lo fanno, ma in alcuni posti,
come a Dali, è il modo di pescare tradizionale. Sai, Dali è molto diversa dalle
megalopoli cinesi con milioni di abitanti, grattacieli enormi e traffico
infernale. Al contrario, è una specie di città in miniatura, antica, persa tra
le montagne sulle rive del lago Erhai; i vecchi cinesi dicono che lì c’è ancora
un’atmosfera d’altri tempi. Per questo motivo le antiche tradizioni riescono a
sopravvivere. -
- Ok, ma non mi hai ancora spiegato come funziona,
questa pesca miracolosa - lo interruppe Flavio, cedendo alla curiosità.
- Innanzi tutto, i cormorani vengono allevati perché
si affezionino ai padroni… -
- Come fossero cani? - interloquì Flavio, ancora
incredulo.
- Giusto, un po’ come i cani. Poi, prima di andare a
pesca, gli viene stretto il collo con un filo e si parte. -
Liu Qin si fermò un attimo ad assaporare l’ebbrezza di
aver catturato l’attenzione dell’amico, poi proseguì:
- Si parte su una zattera, tu e i tuoi cormorani. Ogni
tanto ne prendi uno e lo butti in acqua; quello va a pesca e quando ha il becco
pieno di pesci torna sulla zattera e glieli fai sputare in un secchio. -
- Mi stai prendendo per il culo? -
- Niente affatto, avviene proprio così. Fanno tutto
loro, tu devi solo buttarli in acqua e fargli sputare il pesce, per il resto
non hai niente da fare. -
Flavio era affascinato da quel racconto, ma qualcosa ancora
non lo convinceva:
- Insisto, mi stai prendendo in giro. Perché non
dovrebbero mangiarseli, i pesci, invece di tornare sulla zattera e sputarli nel
tuo secchio? -
Il ragazzo cinese scoppiò nuovamente a ridere, per poi
assumere una buffa aria severa:
- Ahi ahi ahi…
vedo che non sei stato attento. Non ti ho detto che gli viene stretto il collo
con un filo? Ti sei domandato perché? -
- Mah… pensavo per riconoscerli - azzardò Flavio,
titubante - hai detto che ognuno ha i suoi cormorani, per cui con fili di
colore diverso… -
Liu Qin sembrava in preda alle convulsioni dalle
risate:
- Ma no - disse infine, riprendendo fiato - il filo
serve a stringergli il collo, in modo che i pesci più grossi non passino
dall’esofago.. se si chiama esofago anche quello degli uccelli. -
Flavio, totalmente rapito da quel racconto, volle comunque
reagire:
- E’ una crudeltà, poveri animali! -
- Forse sì - rispose l’altro allargando le braccia -
ma è la tradizione. Spesso le tradizioni sono crudeli, basta pensare alla
corrida. -
Sul punto di darsi per vinto, Flavio ebbe un’ultima
reazione:
- La storia è affascinante; ma mi spieghi che cosa c’entra
con il nostro star qua, nel retrobottega di Mimì? -
- C’entra, c’entra eccome, perché noi stiamo qui a oziare
mentre fa tutto lei, Saraghina. Lei decide quando uscire, mostrare le gambe, le
mutande, il seno. Basta lasciarla fare, esattamente come i cormorani della
pesca. -
S’interruppe, per assumere l’aria trasognata che aveva
sempre quando si accingeva a distribuire perle di saggezza cinese:
- Guarda che non è affatto un caso strano. Rifletti: quante
volte nella vita si resta passivi mentre altri si danno da fare per noi? Basta
lasciarli fare, uomini o cormorani che siano! -
Flavio era troppo assorto per rispondere; l’umore
filosofico di Liu Qin lo trovava sempre impreparato. Quando alzò gli occhi,
notò subito l’aria beffarda dell’amico mentre gli parlava:
- Fantastico. La mia storia ti ha talmente affascinato
che non ti sei neppure accorto che la tua Saraghina si è tirata su il vestito e
ha messo in mostra le cosce che ti piacciono tanto. -
Il ragazzo italiano fece un balzo in avanti mentre
metteva a fuoco le cosce nude, scoperte fino alle solite mutande turchesi.
Un istante dopo cacciò un urlo:
- Ecco, ora scopre il seno, te l’avevo detto che
l’avrebbe fatto. Non si vergogna di niente, quella! -
Con rapida mossa, la Regina del sole aveva infatti abbassato
le spalline della tunica e due seni enormi le penzolavano sul corpo. Flavio
estrasse freneticamente dallo zaino un binocolo e la inquadrò; poi lo offrì a
Liu Qin che oppose un fermo rifiuto:
- Sono capace di vedere il seno nudo anche a occhio
nudo. Sembrano due enormi mozzarelle, come quelle di Saraghina - commentò
scuotendo la testa - tra l’altro, mozzarelle o no, non le vede tutto il
vicinato? -
- Credo proprio di sì, ma lei se ne frega. Se
facessimo un’indagine in zona, forse scopriremmo che il negozio di ottica ha
avuto un’impennata di vendite di binocoli - concluse Fabio ridendo.
Liu Qin scosse la testa:
- Secondo te viviamo in un mondo di guardoni - disse -
io invece mi sento un po’ in imbarazzo. -
Ciò detto, estrasse dallo zaino un libro sulla cui
copertina campeggiavano ideogrammi cinesi e si mise ostentatamente a leggere.
- Che cosa leggi? - domandò Flavio, leggermente infastidito
da quello sfoggio di cultura.
- E’ il libro
più famoso di Mo Yan, lo scrittore cinese che ha vinto il Nobel del 2012. -
- Ah - disse l’altro, a cui quel nome non diceva assolutamente
nulla.
- Il ‘Mago della pizza’ buongiorno - aveva risposto
Vanessa al secondo squillo del telefono.
La voce femminile all’altro capo non era nota, doveva
essere una nuova cliente; ragione di più per essere gentili e trattarla bene.
- Mi hanno detto che la vostra pizzeria fa la pizza
come a Napule… scusate, volevo dire come a Napoli. -
Una cliente nuova e per giunta napoletana era un buon
motivo per essere doppiamente gentili:
- Certamente, signora. Il pizzaiolo è napoletano -
rispose, barando sull’origine del marito - ha imparato a farla fin da bambino.
-
- Bene, allora mi mandi una pizza ‘alla napoletana’. -
Niente di strano, a voler ben vedere, pura routine. Però Vanessa si era inspiegabilmente
sentita percorrere da un brivido, come quando si è sfiorati da un pericolo ignoto.
“Sciocchezze”
pensò, mentre consegnava al marito il
foglietto con scritto ‘1 Napoli’; più tardi, quando fu pronta e inscatolata, si
rivolse ai due ragazzi sul retro:
- C’è questa pizza da consegnare. A una cliente nuova,
si chiama Scapece o Scopece, un nome del genere. Non serve il motorino perché
abita qui dietro, al secondo piano: chi va di voi due? -
- Qui dietro? Vuoi dire quella casa lì, al secondo
piano? - reagì Flavio, sbiancando in volto.
- Sì, perché? Ci sono forse i fantasmi, in quella
casa? Se non ti senti bene va Luigino… -
- No, no - la interruppe Flavio, quasi con un grido
soffocato mentre balzava in piedi - vado io, non c’è nessun fantasma. Inoltre, se
è una cliente nuova è meglio non presentarsi subito con uno straniero, caso mai
fosse leghista. -
- Veramente mi è parsa napoletana - disse la donna
che, non avendo tempo da perdere, appoggiò la pizza sul tavolino di ferro
smaltato e rientrò nel locale, concludendo:
- Decidete voi, per me è lo stesso, tu o lui... -
Secondo piano. Certo, non era detto che fosse lei, la
cliente che Flavio immaginava, perché c’erano più appartamenti sullo stesso
piano. Ma il fatto che Vanessa avesse parlato di una nuova cliente, al
femminile, forse napoletana, faceva ben sperare… ma sì, la Regina del Sole
poteva essere napoletana; a pensarci bene, ne aveva tutta l’aria.
Il cuore gli batteva forte mentre percorreva con gli
occhi i nomi del citofono; quando finalmente individuò il cognome ‘Scapece’
inspirò profondamente e suonò. Una voce calda gli rispose:
- Sì, l’ho ordinata io, la pizza. Salite pure al
secondo piano. -
Fece i gradini a due a due, tenendo in mano la scatola
della pizza come una reliquia. Davanti al campanello della porta i battiti
accelerarono ulteriormente: sentiva che non si sbagliava, che dietro quella
porta c’era lei, la signora dalle cosce grosse e le mutande turchesi.
Lei si era frettolosamente ricomposta, tirando su le
spalline e lasciando ricadere la tunica appena sopra le ginocchia. Gli parve
più giovane di quanto non sembrasse da lontano; più giovane e, se possibile,
ancora più attraente.
La donna si piegò leggermente in avanti per prendere
la pizza dalle sue mani e sentì lo sguardo del ragazzo scivolarle dentro la
scollatura, generosamente esposta in quel movimento; in cambio, poté assistere
in diretta al gonfiarsi dei jeans nella zona inguinale, sotto una spinta
interna inarrestabile.
Sorrise mentre si rialzava. Le avevano sempre fatto
tenerezza i ragazzi di quell’età, che si eccitavano per un nonnulla ma non
avevano poi il coraggio di farsi avanti, rinunciando così ad assecondare l’istinto
della loro gioventù.
- Quanto devo? - domandò per alleggerire la tensione.
- Lo scontrino è scotchato
sulla scatola - farfugliò Flavio, paralizzato dall’emozione e imbarazzato per
lo sguardo che la signora aveva fatto cadere, con apparente indifferenza, su
quel rigonfio dei pantaloni che non riusciva in alcun modo a controllare.
- Chiudi la porta e seguimi, che ti do i soldi - disse
lei, volgendogli le spalle e dirigendosi verso la sala, dove si chinò a frugare
in un cassetto nel quale accumulava spiccioli alla rinfusa.
Chinandosi, Lidia Scapece sapeva bene che la tunica le
sarebbe risalita sul dietro scoprendo le gambe e alimentando inevitabilmente il
gonfiore dei jeans, ma non resistette
alla tentazione di provocarlo. Si attardò dunque a frugare nel cassetto
facendogli oscillare gambe e culo davanti agli occhi, dovendo infine constatare
con sorpresa che quel ragazzo non era affatto del tipo rinunciatario.
Quel rigonfio che aveva visto nascere le si incollò
infatti tra le natiche, risvegliando in lei un desiderio che riteneva sopito. Fingendo
di cercare i soldi, Lidia si mosse dolcemente contro il sesso di lui, assecondando
il proprio piacere e rivolgendo al ragazzo un tacito invito.
Flavio, con mani tremanti dall’emozione, si decise
finalmente a sollevarle la tunica mettendo a nudo gradualmente le cosce, poi più
su verso la vita, fino a scoprire le mitiche mutande turchesi.
Inaspettatamente, la semplice vista dell’agognato indumento
ebbe l’effetto d’innescare una raffica di sussulti incontrollati contro il
corpo di Lidia Scapece. La donna, intenerita dal precoce orgasmo del ragazzo,
dopo l’ultimo sussulto si voltò ad accarezzargli con dolcezza una guancia; gli parlò
poi gentilmente, cercando in tutti i modi di tranquillizzarlo:
- Guarda che non c’è niente di cui vergognarti:
succede spesso, soprattutto alla tua età. Vedrai, andrà meglio la prossima. -
Flavio era troppo imbarazzato e confuso per accettare
quelle consolazioni e accelerò bruscamente la fine della consegna: ritirati i
soldi, balbettò frettolosamente qualche parola di scusa prima di precipitarsi giù
dalle scale con il cuore in gola.
Il giorno seguente, ricevendo una nuova ordinazione
dalla signora Scapece, Vanessa si compiacque di poter considerare acquisita una
nuova cliente.
- Mi raccomando - aveva insistito la donna, scandendo
le parole - che sia tutto esattamente come ieri. -
- Cosa avrà mai avuto di speciale, la pizza di ieri? -
commentò a voce alta, dopo aver riagganciato, la moglie del pizzaiolo. Era perplessa
per quella richiesta così precisa, mentre il messaggio parve invece chiarissimo
a Flavio che, seppur incredulo, si attribuì nuovamente il compito di
consegnarla.
Così fu per vari giorni di seguito: sempre alla stessa
ora, la signora Scapece ordinava una “Napoli” e Flavio gliela portava a
domicilio.
Guidato dall’esperienza e dalla maestria della signora,
Flavio imparò gradualmente ad allungare i tempi di consegna e, alla quarta pizza,
approdò trionfalmente alla camera da letto.
“E’ lentissima a trovare i soldi” borbottò lui per
giustificare i tempi, sempre più lunghi, di assenza dal locale.
Dopo la prima settimana, l’ordinazione divenne inspiegabilmente
di due pizze e i tempi si allungarono ulteriormente. “Ha ospite una sua amica” si
giustificò Flavio, senza peraltro riuscire a convincere l’amico Liu Qin.
- Non me la racconti giusta - disse il ragazzo cinese
- domani le consegno io le due pizze, così conoscerò l’amica e vedrò se la
signora è davvero così lenta a pagare. -
Flavio non trovò alcun ragionevole pretesto per
opporsi a quella richiesta e così Liu Qin, il giorno seguente, salì al secondo
piano. Si trovò davanti proprio lei, Saraghina, con una veste da camera
trasparente che ben poco lasciava all’immaginazione.
Superato il primo istante di sorpresa, Lidia non ebbe
esitazioni: infilò le pizze nel forno già caldo e disse:
- Queste ce le mangiamo assieme dopo, prima ci
divertiamo un po’. Immagino che Flavio ti abbia spiegato tutto. -
Senza aspettare la risposta del ragazzo, lo prese
dolcemente per mano e lo condusse in camera da letto.
Il business
del ‘Mago della pizza’ ebbe un’imprevista impennata quando la signora Scapece, affezionata
cliente ormai da tre settimane, era passata ad ordinare quattro “Napoli” al
giorno, due a mezzogiorno e due alle sette di sera: sembrava nutrirsi solo di
pizza.
I due ragazzi si alternarono nelle consegne e i loro
tempi di assenza dalla pizzeria continuarono a dilatarsi.
Vanessa gongolava nel registrare l’aumento delle
entrate di cassa; per contro, il marito diventava ogni giorno più sospettoso.
- Non ci vedo chiaro, non ci vedo chiaro - continuava
a ripetere Mimì, andando spesso sul retro a dare un’occhiata verso il balcone
del secondo piano. A volte la signora era lì, sulla sedia a sdraio e con il
vestito generosamente sollevato; altre volte, in particolare quando c’erano
pizze in consegna, le finestre rimanevano chiuse.
Una mattina, la sua sopportazione sembrò giunta al
limite:
- Io devo capire, sennò impazzisco. Questa mangia
pizze in quantità industriale, non pare che in casa viva nessun altro e anche
la storia dell’amica mi sembra una balla perché non l’ho mai vista entrare né
uscire. Inoltre, i due ragazzi sono sempre più lenti nel fare le consegne e mi
sembrano svogliati e distratti… -
- Che cosa te ne importa - rispose Vanessa con l’abituale
pragmatismo - l’importante è che il business
prosperi, no? Quanto alla signora Scapece, o Scopece, come si chiama, mangia
pizze, non esseri umani. -
L’uomo scosse la testa in maniera perentoria,
definitiva:
- Io devo capire e conosco un solo modo: la prossima
consegna la faccio io, di persona. Voglio vedere com’è la casa, chi ci abita,
se questa donna è pazza, come si comporta. Oltre tutto, è la nostra migliore
cliente e merita un trattamento personalizzato, una volta tanto. Sai che ti
dico? Le porterò una bottiglia di vino in omaggio. -
Vanessa lo guardò incuriosita. Era la prima volta, da
quando erano sposati, che Mimì chiedeva di contravvenire alla regola non
scritta di non uscire dal locale e non contattare le clienti.
Valutò peraltro che, avendo lui per anni meritato la
sua fiducia, poteva ben concedergli questa eccezione.
C’era un solo problema:
- Vai allora. Ma se arriva qualcuno che vuole la pizza
mentre tu sei via, che faccio? Lo mando dalla concorrenza?
Mimì rimase per un attimo interdetto, come se non ci
avesse pensato. Poi rispose deciso:
- A quest’ora è poco probabile, ma se proprio venisse
un cliente, i ragazzi la sanno fare, la pizza. Sai bene - concluse
pavoneggiandosi - che hanno avuto un maestro di grido: gliel’ho insegnata io! -
Vanessa lo guardò sbalordita:
- Anche Luigino? Mai visto un cinese fare il
pizzaiolo! Arabi tanti, cinesi mai. -
- Come sarebbe a dire? Gli ho insegnato come si fa e
la sa fare; c’è caso che la faccia meglio di Flavio e forse anche di me.
Luiginooo… -
Liu Qin si schermì un po’, ma alla fine si arrese: se
proprio fosse arrivato un cliente nei pochi minuti che il padrone si sarebbe
assentato, l’avrebbe servito lui.
Proprio in quel momento, Vanessa rispose al telefono:
- Certo signora, mezz’ora al massimo e siamo da lei -
poi, rivolta al marito, dopo aver riagganciato - sarai contento che l’ordinazione
del mezzogiorno è arrivata, due “Napoli”, come al solito. Fatti spiegare bene
da Flavio come ci si arriva… voglio dire il citofono, le scale… e ricordati il
vino. -
Le ore passarono lente, quel pomeriggio, con Mimì che
sembrava essersi smaterializzato nel palazzo della signora Scapece, lui e le
due pizze e la preziosa bottiglia di Sagrantino di Montefalco che aveva portato
con sé.
Liu Qin dovette far fronte all’ordinazione di una ventina
di pizze; era tutto sudato ma soddisfatto dei risultati ottenuti.
Tra una pizza e l’altra, raggiungeva Flavio sul retro
e insieme fissavano il balcone del secondo piano. Che cosa stava succedendo in
quella casa? Saraghina che di solito, finito l’amore e la pizza, si sdraiava
sul balcone, non era ancora apparsa e i due ragazzi non sapevano cosa pensare.
Solo Flavio osò esternare l’ipotesi che frullava nelle
loro menti, badando a non farsi sentire da Vanessa:
- Se hanno fatto l’amore e a Mimì è venuto un infarto?
-
L’ipotesi, pur verosimile, fu subito scartata: ci sarebbe
stato del trambusto, sarebbe arrivata un’ambulanza; invece niente, le porte
della casa si erano richiuse dietro a Mimì e non si erano più riaperte.
Facile immaginare l’agitazione di Vanessa nel non
veder tornare il marito, il suo nervoso andar su e giù per il locale attorcigliandosi
i riccioli rossi fino a farsi male, il suo borbottio astioso mentre spegneva
per l’ennesima volta il cellulare, frustrata dalla mancata risposta:
- Dove cazzo si è cacciato? Gliela do io, a quello
stronzo, la bottiglia di Sagrantino: ma sulla testa! -
A momenti, dava spazio a una nota di leggero
ottimismo:
- Se l’avessero bevuto assieme, lui che non regge un
goccio d’alcol… potrebbe anche essersi addormentato. Vi immaginate che figuraccia?
- concludeva con una risata isterica.
All’approssimarsi dell’ora di cena, Liu Qin si ritrovò
sommerso dal lavoro di pizzaiolo, mentre Flavio dovette far fronte da solo a
tutte le consegne a domicilio.
Di Mimì nessuna traccia, così come non arrivò, quella
sera, nessuna ordinazione dalla signora Scapece.
Al momento di chiudere bottega, intorno alle undici di
sera, i tre apparivano stravolti dalla stanchezza.
Vanessa ringraziò i ragazzi e trovò la forza di
metterla sullo scherzo:
- Domani vacanza - disse - vi do giornata libera per…
festeggiare la sparizione di Mimì. Per qualche giorno il negozio resterà chiuso,
poi vi chiamo. -
- Hai saputo niente di lui? - aveva domandato
incautamente Flavio.
La donna, scura in volto, aveva scosso la testa:
- No. Quel bastardo non si è ancora fatto vivo, ma
sento che sta per tornare. Lo sento dal desiderio che ho addosso di prenderlo a
bastonate. -
Quando, tre giorni dopo, Vanessa li convocò in
pizzeria, Flavio e Liu Qin erano convinti che sarebbero stati liquidati, dal
momento che il tam tam di quartiere
diceva che di Mimì si era persa ogni traccia e che Vanessa, disperata, avesse
intenzione di chiudere il locale.
Fu quindi grande la loro sorpresa nel trovare una
padrona dallo sguardo fiero e determinato, che li fece accomodare attorno a un
tavolo e, scossi i riccioli color del fuoco, li fissò dritti negli occhi e
disse:
- Con oggi si riapre, se siete disponibili. -
- Noi siamo disponibili, ma Mimì… - rispose Flavio,
interpretando il pensiero comune.
Gli occhi di Vanessa rimpicciolirono fino a divenire
due fessure:
- Mimì è scomparso in casa della Scapece o Scopece,
non ricordo mai come si chiama: nessuno li ha più visti uscire, né lui né lei.
Per me possono anche essere morti tutti e due. -
Gli occhi della donna si riaprirono di colpo, emettendo
bagliori azzurrognoli a sottolineare lo sguardo di sfida:
- E noi gli dimostreremo che possiamo fare a meno di lui.
In pizzeria di giorno e a letto di sera. -
I ragazzi erano confusi, sconcertati, non capivano;
Liu Qin azzardò:
- Come pensi di organizzare la cosa? -
Lei gli sfiorò con dolcezza la mano e proseguì:
- Ragazzi, me l’avete insegnato voi: a turno. Un
giorno uno fa le pizze e l’altro le consegne. E per non cambiare abitudini, chi
quel giorno fa il pizzaiolo viene anche a letto con me la sera. Un giorno a
testa, chiaro? -
Per Flavio, amante della precisione fino alla
pedanteria, non era del tutto chiaro.
- Scusa Vanessa, tu hai detto “per non cambiare
abitudini”. In che senso? - domandò.
Nuovamente, i bagliori azzurrognoli accompagnarono lo
sguardo e il sorriso malizioso della donna mentre rispondeva:
- Vi sembrerà buffo, ma ormai sono troppo abituata a
far l’amore con il pizzaiolo, un maschio che sappia di forno e di pasta ti pane.
Quello di turno, naturalmente. -
Nella risata generale che seguì, i due ragazzi si
allungarono un “cinque” mentre Liu Qin commentava sottovoce:
- Visto che tutto si aggiusta? Basta lasciar fare ai
cormorani. -
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