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lunedì 24 febbraio 2020

PONY EXPRESS


di Enrico Jessoula

Introduzione a cura di Mimma Zuffi
                                

Corre leggero al “filosofico” epilogo il racconto che chiude la Trilogia di Racconti “eroticomici”.
Con toni misurati e ironia calibrata, Enrico Jessoula intreccia le vicende e le emozioni di due ragazzi, coniugando felicemente tradizione e retaggi di mondi e culture diversi che trovano singolare coesistenza nella scherzosa contrapposizione tra le giovanili pulsioni dell’uno e l’atavica compostezza dell’altro.
Il tutto mediato dal pragmatismo di una donna.



- Sicuro che esca? -  
Il ragazzo dai lineamenti asiatici indicò con lo sguardo il balcone al secondo piano, aggiungendo beffardo:
- Non sembra che ne abbia intenzione. -
- Sicurissimo: c’è il sole - rispose Flavio, tendendo la mano aperta verso l’amico per rassicurarlo - basta un raggio di sole e lei esce sul balcone a farsi l’abbronzatura, anche se siamo ancora in primavera e la temperatura non è poi tanto alta. Non ha ancora mancato un giorno: per questo l’ho soprannominata ‘La Regina del Sole’! -


L’altro rise di gusto:
- Sarebbe come a dire che quella donna… funziona a energia solare? -
Flavio stava per spazientirsi, ma decise di stare al gioco:
- Può essere. Quando si sente stanca esce sul balcone, prende il sole per un’ora o due e… ricarica le batterie. -
I due ragazzi, senza perdere di vista il balcone, si allungarono sui rispettivi sedili: due poltrone da giardino stile anni ’70 costituite da un budello di plastica, ormai scolorito dal sole e dalla polvere, intrecciato e annodato intorno ad una struttura di ferro, su cui lo smalto combatteva con la ruggine una battaglia persa.
Le due poltrone erano identiche a parte il colore: Luigino Hu, quello dai lineamenti asiatici, aveva scelto il budello di plastica rosso, mentre Flavio aveva preferito l’azzurro che, per qualche motivo, era anche meno scolorito.
Nell’angolo relax che Mimì il pizzaiolo, detto il ‘Mago della pizza’, aveva creato per loro sul retro del locale, le due poltrone si dividevano l’ombra di uno scalcinato ombrellone che, alla bell’e meglio, riparava loro, un tavolino di ferro smaltato e i due motorini che servivano per le consegne.

- Eccola - esclamò Flavio eccitato, vedendo socchiudersi la finestra al secondo piano del palazzo di fronte - eccola, cosa ti avevo detto? -
Guardò di sottecchi l’amico, ansioso di scoprire una pari eccitazione, ma rimase deluso. Luigino Hu era rimasto impassibile, mollemente sdraiato ad ascoltare l’i-pod attraverso gli auricolari.
Flavio e Luigino. Due diciassettenni che, per pagarsi qualche sfizio, lavoravano come pony express per la consegna delle pizze a domicilio.
Due amici di vecchia data. Flavio, un liceale dallo sguardo mansueto e dai modi falsamente intellettuali, il ciuffo castano calato sugli occhi chiari a nascondere la persistente timidezza verso le coetanee, aveva conosciuto alle medie Luigino, un ragazzo della comunità cinese di seconda generazione. Inseparabili nel periodo delle scuole secondarie, si erano poi persi di vista e ritrovati recentemente a seguito di un incontro fortuito.
Flavio era impressionato dalla capacità dell’amico di parlare un italiano perfetto, divertito dagli occhi a mandorla, gli zigomi sporgenti e la rada peluria diffusa tra labbra e mento; incuriosito da quello strano abbinamento di un nome italiano, Luigino, con il cognome cinese Hu; un cognome che negli ultimi anni era diventato il secondo più diffuso a Milano, addirittura più di Brambilla.
Dopo circospette indagini, aveva finalmente scoperto che Luigino altro non era che l’italianizzazione di un nome cinese, Liu Qin o qualcosa di simile e se n’era fatto una ragione: l’amico si chiamava Liu Qin Hu. Anzi, secondo l’usanza cinese di anteporre il cognome al nome, Hu Liu Qin.
Ma quel nome sarebbe risultato impronunciabile per la maggioranza degli italiani per cui… evviva Luigino.
- Guarda, sta uscendo - ripeté Flavio a voce alta, nel tentativo di superare la barriera frapposta dalla musica sparata a tutto volume nelle orecchie dell’amico. Dovette ripetere la frase più volte, a voce sempre più alta, ottenendo come unica reazione uno sguardo interrogativo.
La signora del secondo piano era uscita e, con la struttura matronale del fisico e il voluminoso casco di capelli neri, aveva occupato buona parte del balcone. Portava con goffa naturalezza una tunica prendisole turchese, straordinariamente in tinta con l’ombrellone che, anche se chiuso, conferiva una macchia di colore alla parete grigia del palazzo.
Dopo una rapida ispezione alle piante, da cui estirpò alcune erbacce che buttò di sotto con fare noncurante, aprì con gesti lenti una sedia a sdraio, sistemandola longitudinalmente al balcone.
Vi si accomodò, sollevando le gambe fino ad appoggiare i piedi su uno sgabello piuttosto alto, incurante della forza di gravità che faceva risalire la tunica scoprendo le cosce.
- Guarda, guarda… - dette di gomito Flavio all’amico che continuava a non scomporsi.
Ad ogni movimento della donna, ad ogni refolo di vento, la tunica risaliva sempre di più, trascinando Flavio eccitatissimo sulla punta della poltrona, a rischio di ribaltamento.
Un ultimo spostamento, un accavallamento di gambe, portarono la tunica a scoprire le cosce completamente, fino a far affiorare un lembo di stoffa dello stesso colore.
Stavolta Flavio scosse l’amico con decisione:
- Sogno, o anche le mutande sono turchesi, dello stesso identico colore della tunica e dell’ombrellone? -
Finalmente Luigino ebbe una reazione, rimosse pigramente uno degli auricolari e rise di gusto:
- La Regina del turchese, direi. Ora capisco perché hai scelto la poltroncina azzurra: una preferenza di colore, anche se non proprio della stessa tonalità. -
- Cosa c’entra? Hai visto, piuttosto, che cosce? Così grosse, ben tornite… mi fanno impazzire - insisté Flavio.
Luigino si lasciò ricadere sulla poltroncina di plastica rossa e sospirò deluso:
- Ma dai… sembra Saraghina - disse, mentre distoglieva lo sguardo dalla direzione che li aveva calamitati per tutta l’ultima ora.
- Saraghina? E chi sarebbe? - reagì Flavio, indispettito.
L’amico assunse un’aria saccente e vagamente canzonatoria. Con movimenti lenti, studiati, si tolse definitivamente gli auricolari posandoli, assieme all’i-pod, sul tavolino; poi dette inizio alla lezione:
- Non sai chi è Saraghina? E’ un personaggio del film “Otto e mezzo” di Federico Fellini. Anzi, direi che è il prototipo delle donne felliniane, al tempo stesso mostruose e sensuali… ma soprattutto mostruose. -
Prese fiato, raggiunse con il braccio la lattina di Coca Cola che aveva appoggiato per terra, ne bevve un sorso abbondante prima di proseguire:
- Quella donna è proprio come Saraghina. Certo, ha curve in abbondanza, ma non vedi? Troppa, troppa carne flaccida, cellulite che fuoriesce dappertutto; come fa a piacerti una cicciona così? -
- Eh… la volpe e l’uva! - commentò Flavio che, messo in difficoltà dalla cultura dell’amico sul cinema italiano, voleva assolutamente riprendere il controllo della situazione: - sarà cicciona come tu dici, ma ora aspetta che si spogli, poi ne parliamo. Qualche giorno fa l’ho vista nuda… o quasi. -
- Appunto, come Saraghina. Anche lei, nel film, girava seminuda vicino alla sua spelonca; una specie di strega che incantava i bambini del paese con danze oscene, una puttanona di periferia. -
- Aspetta a parlare, ora comincia il bello. -
Proprio in quel momento, il volto rotondo e rubizzo di Mimì si affacciò sulla porta: c’erano un paio di consegne da fare, una ciascuno.
I due ragazzi erano chiamati alla loro funzione di pony express, lo spettacolo rinviato.

Mimì La Rocca aveva avuto qualche piccolo problema con la giustizia quando era da poco giunto a Milano dalla Basilicata; si era trattato di reati di natura sessuale.
Niente di particolarmente grave. Mimì era giovane e inesperto, vagava per la città con aria trasognata, immergendosi nelle sue bellezze e bruttezze e ritrovandosi al tempo stesso affascinato e stordito.
Fu così che, in una giornata di primavera in piazza del Duomo, il dolce sole del tramonto illuminò posteriormente la minigonna bianca di una turista tedesca, facendo trasparire quel poco di gambe che avrebbe dovuto rimanere coperto.
Mimì aveva osservato per un lungo momento quelle gambe flessuose e lunghissime sulle quali ondeggiava, quasi portato in trionfo, un ‘lato B’ di tutto rispetto.
Un ondeggiamento che gli aveva procurato una specie di mal di mare, ipnotizzandolo e trascinandolo verso quel delizioso posteriore danzante. Giunto nei pressi, aveva allungato una mano e stretto con forza le natiche, verbalizzando il gesto con un “Poooti poooti” così gioiosamente infantile da apparire, ai suoi occhi e alla sua mente, del tutto innocente.
Di diverso parere fu la donna che reagì urlando frasi in tedesco, dai toni durissimi e per lui incomprensibili, frammiste a grida di “Aiuto! Aiutooo!” in italiano per richiamare l’attenzione della piazza.
Mimì, come abbiamo detto, era giovane e inesperto. Al sopraggiungere della polizia aveva ancora la mano saldamente incollata al culo della donna, mentre il volto emanava un’espressione di beatitudine. Fu perciò inevitabile che, pochi minuti dopo, le porte di San Vittore si richiudessero alle sue spalle.
Se la cavò con una lieve condanna e la libertà condizionale, ma da quella volta si era rifugiato nella sua bottega di pizzaiolo, evitando il più possibile i contatti con il sesso femminile per non cadere in tentazione.
Aveva fatto eccezione Vanessa, una lombarda tosta, una ragioniera sufficientemente fredda ed esperta da far sempre tornare i conti a proprio vantaggio. Impiegata in un ufficio della zona, non aveva esitato a seguire Mimì nel retrobottega per alcuni assaggi sessuali, prima di trascinarlo in chiesa per la cerimonia nuziale.
Vanessa era al corrente di quel piccolo precedente penale dell’uomo, ma era anche certa che, sotto il suo diretto controllo, lui avrebbe rigato diritto. Al proposito, aveva in mente un piano preciso e molto semplice per controllarlo: non farlo mai uscire dal locale.
Avevano così trovato un modus vivendi ottimale: lui davanti al forno a preparare le migliori pizze del quartiere e lei, simpatica e brillante, a tenere i contatti con la clientela. Gli affari prosperavano e si aggiungevano continuamente nuovi clienti.
Vanessa lo aiutava al banco con ordinazioni e consegne, schermandolo dai contatti con il pubblico. Alla cassa, con i suoi riccioli color del fuoco, gli occhi blu cobalto e le curve armonicamente distribuite su una figuretta snella, era diventata l’icona del locale.
Completavano la squadra i due ragazzi, pronti ad attivarsi per  portare le pizze a domicilio, togliendo a Mimì qualsiasi velleità di affrontare un mondo che pullulava di femmine tentatrici.
Di fatto, le sortite di Mimì dal negozio si limitavano al retro, per dare disposizioni ai due: “Tanto da quella parte non posso certo cadere in tentazione” pensava “visto che l’unica donna è quella cicciona del secondo piano”, condividendo così, senza saperlo, il giudizio di Luigino.

Era stato il caso a far incontrare nuovamente Flavio e Luigino. Flavio stava infatti tornando da una consegna quando, percorrendo la via Bramante, fu colpito dalla fila di magazzini cinesi tutti uguali che esponevano capi di vestiario anonimi, indossati da manichini altrettanto anonimi.
Colto da un fastidio estetico tale da procurargli una leggera vertigine, bloccò il motorino e, proprio in quell’istante, si sentì chiamare per nome. Le combinazioni della vita: era proprio Liu Qin che, nato e cresciuto nella chinatown milanese di Paolo Sarpi e dintorni, aveva trovato un lavoretto da aiuto commesso in uno degli infiniti negozi di via Bramante, gestito da uno dei suoi tanti zii.
Superata l’emozione dell’incontro e gli abbracci di rito, scambiatisi i numeri di cellulare per potersi rivedere, Flavio obbedì ad un impulso improvviso: prese l’amico per un braccio e lo strattonò fino a fargli attraversare la strada.
Lì giunti, lo apostrofò con veemenza:
- Liu Qin, tu non puoi restare qui, ti ammalerai - aveva detto, indicandogli le vetrine che, tutte uguali, esponevano file di manichini abbigliati senza grazia.
- Non li vedi? - aveva insistito con foga - Sembrano tanti cadaveri, defunti rivestiti e allineati in piedi in un grottesco obitorio, in attesa della sepoltura. In piedi per guadagnare spazio, naturalmente. -
Vedendo l’amico confuso, aveva proseguito in tono enfatico:
- Da dove arrivi la mattina, da quella parte? Fantastico! Vieni dal piazzale del Cimitero Monumentale e non ti fa orrore percorrere duecento metri di cadaveri allineati, uno uguale all’altro? -
Liu Qin l’aveva guardato attonito, aveva risposto balbettando che non ci aveva mai fatto caso e che… no, non gli facevano nessuna impressione, anche perché non li guardava: camminava assorto, cercando di ricordare la Cina dov’era tornato di recente, la piccola e deliziosa città di Dali da cui proveniva la sua famiglia.
Da quel giorno, però, per il ragazzo cinese il quartiere non fu più lo stesso. Presa bruscamente coscienza della bruttezza di quelle vetrine, non era più riuscito a percorrere via Bramante senza guardarle e aveva cominciato anche lui ad associare le file di manichini all’idea di cadaveri tenuti in piedi non si sa come.
Non sentendosi più a suo agio, finì per chiedere aiuto a Flavio che gli descrisse con entusiasmo il lavoro da pony express e la bellezza del motorino, del bauletto sponsorizzato con la scritta “Mimì il mago della pizza” con il quale scorrazzava per Milano per le consegne a domicilio.
- Vieni anche tu - gli aveva detto, entusiasta - la pizzeria va alla grande, il lavoro sta aumentando e so per certo che Mimì sta cercando un altro pony express. Ti dirò di più: ha anche già comprato un secondo motorino. -
Così, detto e fatto, i due si erano ritrovati a lavorare insieme, con il commento ironico di Liu Qin: “Da aiuto-commesso ad aiuto-pony express, capirai che carriera!”.
Ben sapendo peraltro che gli andava bene così.  

Lidia Scapece era una partenopea verace che si era sforzata di adattarsi al clima e al modo di vivere di Milano riuscendoci solo parzialmente, pur avendo ormai vissuto una buona metà dei suoi quarant’anni nella città lombarda.
Tutto di lei esprimeva la sua origine, dalla forte inflessione del parlare alle rotondità del corpo, sul quale una dieta mediterranea troppo abbondante aveva lasciato segni irreversibili, soprattutto dopo che il marito l’aveva abbandonata per una biondina, a suo giudizio insulsa.
Rimasta sola nella bella casa al secondo piano, in uno dei quartieri buoni di Milano, aveva cercato di arginare la depressione con il cibo, andando ad assomigliare sempre più a quelle donne felliniane che offrivano seni turgidi e cosce robuste al desiderio degli uomini, per ricambiarli con lo sguardo torvo e tacite promesse, spesso non mantenute.
Con Milano era scesa a patti, siglando mentalmente alcuni compromessi. Uno di questi era legato al suo amore per il sole: visto che a Milano ce n’era meno che a Napoli, voleva essere libera di goderselo più che poteva. E come meglio avrebbe potuto godersi gli sprazzi di bel tempo se non sul balcone, mollemente abbandonata sulla sedia a sdraio, oppure a fare ginnastica con attrezzi che sperava la facessero dimagrire?
Insomma, il balcone era diventato il suo piccolo parco personale, in cui fare sport ed esporre al sole l’epidermide nella speranza di un inizio di abbronzatura. Poco importava se i vicini la guardavano e magari la consideravano un po’ strana: quello era il suo modo di vivere Milano.

- Flavio - esordì Liu Qin, che nel primo pomeriggio era particolarmente incline a filosofeggiare - sono giorni e giorni che stiamo qua a non fare un cazzo, aspettando che la tua Saraghina si spogli. Mi sembra di essere a Dali, la mia città d’origine, quando andiamo a pesca con i cormorani. -
Luigino Hu aveva la capacità di descrivere la Cina come se stesse raccontando una favola. Una magia, quella del suo Paese di origine, che aveva colto nelle rare visite fatte durante le vacanze, assaggi fuggevoli che gli erano bastati per farsene un’idea precisa e sviluppare un pizzico di giustificata nostalgia.
Quel giorno, tuttavia, Flavio ebbe la netta sensazione che lo stesse prendendo in giro. Reagì ridendo sgangheratamente per dimostrare che non ci cascava e domandò:
- La pesca con che? -
L’altro gli lanciò uno sguardo molto serio e rispose piccato:
- Con i cormorani, cosa ci trovi di strano? Voi usate la canna o le reti e noi… -
- E voi i cormorani…- concluse Flavio continuando a ridere - ma la canna e le reti sono strumenti che l’uomo ha inventato per pescare, mentre i cormorani sono uccelli! Che pensano, per così dire, ai cazzi loro. -
Il ragazzo cinese, immobile sulla poltroncina rossa, sospirò profondamente per far capire all’amico che stava facendo appello a tutta la sua pazienza:
- Bravo. E di cosa si nutrono gli uccelli? Di pesce: perciò, cosa meglio di un uccello per catturare i pesci? -
- Certo, peccato che loro poi se li mangiano e tu, se non ti sei portato un panino da casa, muori di fame. -
Su questa battuta fu Liu Qin a ridere di gusto, prima di spiegare con calma:
- Non in tutta la Cina lo fanno, ma in alcuni posti, come a Dali, è il modo di pescare tradizionale. Sai, Dali è molto diversa dalle megalopoli cinesi con milioni di abitanti, grattacieli enormi e traffico infernale. Al contrario, è una specie di città in miniatura, antica, persa tra le montagne sulle rive del lago Erhai; i vecchi cinesi dicono che lì c’è ancora un’atmosfera d’altri tempi. Per questo motivo le antiche tradizioni riescono a sopravvivere. -
- Ok, ma non mi hai ancora spiegato come funziona, questa pesca miracolosa - lo interruppe Flavio, cedendo alla curiosità.
- Innanzi tutto, i cormorani vengono allevati perché si affezionino ai padroni… -
- Come fossero cani? - interloquì Flavio, ancora incredulo.
- Giusto, un po’ come i cani. Poi, prima di andare a pesca, gli viene stretto il collo con un filo e si parte. -
Liu Qin si fermò un attimo ad assaporare l’ebbrezza di aver catturato l’attenzione dell’amico, poi proseguì:
- Si parte su una zattera, tu e i tuoi cormorani. Ogni tanto ne prendi uno e lo butti in acqua; quello va a pesca e quando ha il becco pieno di pesci torna sulla zattera e glieli fai sputare in un secchio. -
- Mi stai prendendo per il culo? -
- Niente affatto, avviene proprio così. Fanno tutto loro, tu devi solo buttarli in acqua e fargli sputare il pesce, per il resto non hai niente da fare. -
Flavio era affascinato da quel racconto, ma qualcosa ancora non lo convinceva:
- Insisto, mi stai prendendo in giro. Perché non dovrebbero mangiarseli, i pesci, invece di tornare sulla zattera e sputarli nel tuo secchio? -
Il ragazzo cinese scoppiò nuovamente a ridere, per poi assumere una buffa aria severa:
-  Ahi ahi ahi… vedo che non sei stato attento. Non ti ho detto che gli viene stretto il collo con un filo? Ti sei domandato perché? -
- Mah… pensavo per riconoscerli - azzardò Flavio, titubante - hai detto che ognuno ha i suoi cormorani, per cui con fili di colore diverso… -
Liu Qin sembrava in preda alle convulsioni dalle risate:
- Ma no - disse infine, riprendendo fiato - il filo serve a stringergli il collo, in modo che i pesci più grossi non passino dall’esofago.. se si chiama esofago anche quello degli uccelli. -
Flavio, totalmente rapito da quel racconto, volle comunque reagire:
- E’ una crudeltà, poveri animali! -
- Forse sì - rispose l’altro allargando le braccia - ma è la tradizione. Spesso le tradizioni sono crudeli, basta pensare alla corrida. -
Sul punto di darsi per vinto, Flavio ebbe un’ultima reazione:
- La storia è affascinante; ma mi spieghi che cosa c’entra con il nostro star qua, nel retrobottega di Mimì? -
- C’entra, c’entra eccome, perché noi stiamo qui a oziare mentre fa tutto lei, Saraghina. Lei decide quando uscire, mostrare le gambe, le mutande, il seno. Basta lasciarla fare, esattamente come i cormorani della pesca. -
S’interruppe, per assumere l’aria trasognata che aveva sempre quando si accingeva a distribuire perle di saggezza cinese:
- Guarda che non è affatto un caso strano. Rifletti: quante volte nella vita si resta passivi mentre altri si danno da fare per noi? Basta lasciarli fare, uomini o cormorani che siano! -

Flavio era troppo assorto per rispondere; l’umore filosofico di Liu Qin lo trovava sempre impreparato. Quando alzò gli occhi, notò subito l’aria beffarda dell’amico mentre gli parlava:
- Fantastico. La mia storia ti ha talmente affascinato che non ti sei neppure accorto che la tua Saraghina si è tirata su il vestito e ha messo in mostra le cosce che ti piacciono tanto. -
Il ragazzo italiano fece un balzo in avanti mentre metteva a fuoco le cosce nude, scoperte fino alle solite mutande turchesi.
Un istante dopo cacciò un urlo:
- Ecco, ora scopre il seno, te l’avevo detto che l’avrebbe fatto. Non si vergogna di niente, quella! -
Con rapida mossa, la Regina del sole aveva infatti abbassato le spalline della tunica e due seni enormi le penzolavano sul corpo. Flavio estrasse freneticamente dallo zaino un binocolo e la inquadrò; poi lo offrì a Liu Qin che oppose un fermo rifiuto:
- Sono capace di vedere il seno nudo anche a occhio nudo. Sembrano due enormi mozzarelle, come quelle di Saraghina - commentò scuotendo la testa - tra l’altro, mozzarelle o no, non le vede tutto il vicinato? -
- Credo proprio di sì, ma lei se ne frega. Se facessimo un’indagine in zona, forse scopriremmo che il negozio di ottica ha avuto un’impennata di vendite di binocoli - concluse Fabio ridendo.
Liu Qin scosse la testa:
- Secondo te viviamo in un mondo di guardoni - disse - io invece mi sento un po’ in imbarazzo. -
Ciò detto, estrasse dallo zaino un libro sulla cui copertina campeggiavano ideogrammi cinesi e si mise ostentatamente a leggere.
- Che cosa leggi? - domandò Flavio, leggermente infastidito da quello sfoggio di cultura.
-  E’ il libro più famoso di Mo Yan, lo scrittore cinese che ha vinto il Nobel del 2012. -
- Ah - disse l’altro, a cui quel nome non diceva assolutamente nulla.

- Il ‘Mago della pizza’ buongiorno - aveva risposto Vanessa al secondo squillo del telefono.
La voce femminile all’altro capo non era nota, doveva essere una nuova cliente; ragione di più per essere gentili e trattarla bene.
- Mi hanno detto che la vostra pizzeria fa la pizza come a Napule… scusate, volevo dire come a Napoli. -
Una cliente nuova e per giunta napoletana era un buon motivo per essere doppiamente gentili:
- Certamente, signora. Il pizzaiolo è napoletano - rispose, barando sull’origine del marito - ha imparato a farla fin da bambino. -
- Bene, allora mi mandi una pizza ‘alla napoletana’. -
Niente di strano, a voler ben vedere, pura routine. Però Vanessa si era inspiegabilmente sentita percorrere da un brivido, come quando si è sfiorati da un pericolo ignoto.
“Sciocchezze” pensò, mentre consegnava al marito il foglietto con scritto ‘1 Napoli’; più tardi, quando fu pronta e inscatolata, si rivolse ai due ragazzi sul retro:
- C’è questa pizza da consegnare. A una cliente nuova, si chiama Scapece o Scopece, un nome del genere. Non serve il motorino perché abita qui dietro, al secondo piano: chi va di voi due? -
- Qui dietro? Vuoi dire quella casa lì, al secondo piano? - reagì Flavio, sbiancando in volto.
- Sì, perché? Ci sono forse i fantasmi, in quella casa? Se non ti senti bene va Luigino… -
- No, no - la interruppe Flavio, quasi con un grido soffocato mentre balzava in piedi - vado io, non c’è nessun fantasma. Inoltre, se è una cliente nuova è meglio non presentarsi subito con uno straniero, caso mai fosse leghista. -
- Veramente mi è parsa napoletana - disse la donna che, non avendo tempo da perdere, appoggiò la pizza sul tavolino di ferro smaltato e rientrò nel locale, concludendo:
- Decidete voi, per me è lo stesso, tu o lui... -

Secondo piano. Certo, non era detto che fosse lei, la cliente che Flavio immaginava, perché c’erano più appartamenti sullo stesso piano. Ma il fatto che Vanessa avesse parlato di una nuova cliente, al femminile, forse napoletana, faceva ben sperare… ma sì, la Regina del Sole poteva essere napoletana; a pensarci bene, ne aveva tutta l’aria.
Il cuore gli batteva forte mentre percorreva con gli occhi i nomi del citofono; quando finalmente individuò il cognome ‘Scapece’ inspirò profondamente e suonò. Una voce calda gli rispose:
- Sì, l’ho ordinata io, la pizza. Salite pure al secondo piano. -
Fece i gradini a due a due, tenendo in mano la scatola della pizza come una reliquia. Davanti al campanello della porta i battiti accelerarono ulteriormente: sentiva che non si sbagliava, che dietro quella porta c’era lei, la signora dalle cosce grosse e le mutande turchesi.
Lei si era frettolosamente ricomposta, tirando su le spalline e lasciando ricadere la tunica appena sopra le ginocchia. Gli parve più giovane di quanto non sembrasse da lontano; più giovane e, se possibile, ancora più attraente.
La donna si piegò leggermente in avanti per prendere la pizza dalle sue mani e sentì lo sguardo del ragazzo scivolarle dentro la scollatura, generosamente esposta in quel movimento; in cambio, poté assistere in diretta al gonfiarsi dei jeans nella zona inguinale, sotto una spinta interna inarrestabile.
Sorrise mentre si rialzava. Le avevano sempre fatto tenerezza i ragazzi di quell’età, che si eccitavano per un nonnulla ma non avevano poi il coraggio di farsi avanti, rinunciando così ad assecondare l’istinto della loro gioventù.
- Quanto devo? - domandò per alleggerire la tensione.
- Lo scontrino è scotchato sulla scatola - farfugliò Flavio, paralizzato dall’emozione e imbarazzato per lo sguardo che la signora aveva fatto cadere, con apparente indifferenza, su quel rigonfio dei pantaloni che non riusciva in alcun modo a controllare.
- Chiudi la porta e seguimi, che ti do i soldi - disse lei, volgendogli le spalle e dirigendosi verso la sala, dove si chinò a frugare in un cassetto nel quale accumulava spiccioli alla rinfusa.
Chinandosi, Lidia Scapece sapeva bene che la tunica le sarebbe risalita sul dietro scoprendo le gambe e alimentando inevitabilmente il gonfiore dei jeans, ma non resistette alla tentazione di provocarlo. Si attardò dunque a frugare nel cassetto facendogli oscillare gambe e culo davanti agli occhi, dovendo infine constatare con sorpresa che quel ragazzo non era affatto del tipo rinunciatario.
Quel rigonfio che aveva visto nascere le si incollò infatti tra le natiche, risvegliando in lei un desiderio che riteneva sopito. Fingendo di cercare i soldi, Lidia si mosse dolcemente contro il sesso di lui, assecondando il proprio piacere e rivolgendo al ragazzo un tacito invito.
Flavio, con mani tremanti dall’emozione, si decise finalmente a sollevarle la tunica mettendo a nudo gradualmente le cosce, poi più su verso la vita, fino a scoprire le mitiche mutande turchesi.
Inaspettatamente, la semplice vista dell’agognato indumento ebbe l’effetto d’innescare una raffica di sussulti incontrollati contro il corpo di Lidia Scapece. La donna, intenerita dal precoce orgasmo del ragazzo, dopo l’ultimo sussulto si voltò ad accarezzargli con dolcezza una guancia; gli parlò poi gentilmente, cercando in tutti i modi di tranquillizzarlo:
- Guarda che non c’è niente di cui vergognarti: succede spesso, soprattutto alla tua età. Vedrai, andrà meglio la prossima. -
Flavio era troppo imbarazzato e confuso per accettare quelle consolazioni e accelerò bruscamente la fine della consegna: ritirati i soldi, balbettò frettolosamente qualche parola di scusa prima di precipitarsi giù dalle scale con il cuore in gola.

Il giorno seguente, ricevendo una nuova ordinazione dalla signora Scapece, Vanessa si compiacque di poter considerare acquisita una nuova cliente.
- Mi raccomando - aveva insistito la donna, scandendo le parole - che sia tutto esattamente come ieri. -
- Cosa avrà mai avuto di speciale, la pizza di ieri? - commentò a voce alta, dopo aver riagganciato, la moglie del pizzaiolo. Era perplessa per quella richiesta così precisa, mentre il messaggio parve invece chiarissimo a Flavio che, seppur incredulo, si attribuì nuovamente il compito di consegnarla.
Così fu per vari giorni di seguito: sempre alla stessa ora, la signora Scapece ordinava una “Napoli” e Flavio gliela portava a domicilio.
Guidato dall’esperienza e dalla maestria della signora, Flavio imparò gradualmente ad allungare i tempi di consegna e, alla quarta pizza, approdò trionfalmente alla camera da letto.  
“E’ lentissima a trovare i soldi” borbottò lui per giustificare i tempi, sempre più lunghi, di assenza dal locale.
Dopo la prima settimana, l’ordinazione divenne inspiegabilmente di due pizze e i tempi si allungarono ulteriormente. “Ha ospite una sua amica” si giustificò Flavio, senza peraltro riuscire a convincere l’amico Liu Qin.
- Non me la racconti giusta - disse il ragazzo cinese - domani le consegno io le due pizze, così conoscerò l’amica e vedrò se la signora è davvero così lenta  a pagare. -
Flavio non trovò alcun ragionevole pretesto per opporsi a quella richiesta e così Liu Qin, il giorno seguente, salì al secondo piano. Si trovò davanti proprio lei, Saraghina, con una veste da camera trasparente che ben poco lasciava all’immaginazione.
Superato il primo istante di sorpresa, Lidia non ebbe esitazioni: infilò le pizze nel forno già caldo e disse:
- Queste ce le mangiamo assieme dopo, prima ci divertiamo un po’. Immagino che Flavio ti abbia spiegato tutto. -
Senza aspettare la risposta del ragazzo, lo prese dolcemente per mano e lo condusse in camera da letto.

Il business del ‘Mago della pizza’ ebbe un’imprevista impennata quando la signora Scapece, affezionata cliente ormai da tre settimane, era passata ad ordinare quattro “Napoli” al giorno, due a mezzogiorno e due alle sette di sera: sembrava nutrirsi solo di pizza.
I due ragazzi si alternarono nelle consegne e i loro tempi di assenza dalla pizzeria continuarono a dilatarsi.
Vanessa gongolava nel registrare l’aumento delle entrate di cassa; per contro, il marito diventava ogni giorno più sospettoso.
- Non ci vedo chiaro, non ci vedo chiaro - continuava a ripetere Mimì, andando spesso sul retro a dare un’occhiata verso il balcone del secondo piano. A volte la signora era lì, sulla sedia a sdraio e con il vestito generosamente sollevato; altre volte, in particolare quando c’erano pizze in consegna, le finestre rimanevano chiuse.
Una mattina, la sua sopportazione sembrò giunta al limite:
- Io devo capire, sennò impazzisco. Questa mangia pizze in quantità industriale, non pare che in casa viva nessun altro e anche la storia dell’amica mi sembra una balla perché non l’ho mai vista entrare né uscire. Inoltre, i due ragazzi sono sempre più lenti nel fare le consegne e mi sembrano svogliati e distratti… -
- Che cosa te ne importa - rispose Vanessa con l’abituale pragmatismo - l’importante è che il business prosperi, no? Quanto alla signora Scapece, o Scopece, come si chiama, mangia pizze, non esseri umani. -
L’uomo scosse la testa in maniera perentoria, definitiva:
- Io devo capire e conosco un solo modo: la prossima consegna la faccio io, di persona. Voglio vedere com’è la casa, chi ci abita, se questa donna è pazza, come si comporta. Oltre tutto, è la nostra migliore cliente e merita un trattamento personalizzato, una volta tanto. Sai che ti dico? Le porterò una bottiglia di vino in omaggio. -
Vanessa lo guardò incuriosita. Era la prima volta, da quando erano sposati, che Mimì chiedeva di contravvenire alla regola non scritta di non uscire dal locale e non contattare le clienti.
Valutò peraltro che, avendo lui per anni meritato la sua fiducia, poteva ben concedergli questa eccezione.
C’era un solo problema:
- Vai allora. Ma se arriva qualcuno che vuole la pizza mentre tu sei via, che faccio? Lo mando dalla concorrenza?
Mimì rimase per un attimo interdetto, come se non ci avesse pensato. Poi rispose deciso:
- A quest’ora è poco probabile, ma se proprio venisse un cliente, i ragazzi la sanno fare, la pizza. Sai bene - concluse pavoneggiandosi - che hanno avuto un maestro di grido: gliel’ho insegnata io! -
Vanessa lo guardò sbalordita:
- Anche Luigino? Mai visto un cinese fare il pizzaiolo! Arabi tanti, cinesi mai. -
- Come sarebbe a dire? Gli ho insegnato come si fa e la sa fare; c’è caso che la faccia meglio di Flavio e forse anche di me. Luiginooo… -
Liu Qin si schermì un po’, ma alla fine si arrese: se proprio fosse arrivato un cliente nei pochi minuti che il padrone si sarebbe assentato, l’avrebbe servito lui.
Proprio in quel momento, Vanessa rispose al telefono:
- Certo signora, mezz’ora al massimo e siamo da lei - poi, rivolta al marito, dopo aver riagganciato - sarai contento che l’ordinazione del mezzogiorno è arrivata, due “Napoli”, come al solito. Fatti spiegare bene da Flavio come ci si arriva… voglio dire il citofono, le scale… e ricordati il vino. -

Le ore passarono lente, quel pomeriggio, con Mimì che sembrava essersi smaterializzato nel palazzo della signora Scapece, lui e le due pizze e la preziosa bottiglia di Sagrantino di Montefalco che aveva portato con sé.
Liu Qin dovette far fronte all’ordinazione di una ventina di pizze; era tutto sudato ma soddisfatto dei risultati ottenuti.
Tra una pizza e l’altra, raggiungeva Flavio sul retro e insieme fissavano il balcone del secondo piano. Che cosa stava succedendo in quella casa? Saraghina che di solito, finito l’amore e la pizza, si sdraiava sul balcone, non era ancora apparsa e i due ragazzi non sapevano cosa pensare.
Solo Flavio osò esternare l’ipotesi che frullava nelle loro menti, badando a non farsi sentire da Vanessa:
- Se hanno fatto l’amore e a Mimì è venuto un infarto? -
L’ipotesi, pur verosimile, fu subito scartata: ci sarebbe stato del trambusto, sarebbe arrivata un’ambulanza; invece niente, le porte della casa si erano richiuse dietro a Mimì e non si erano più riaperte.
Facile immaginare l’agitazione di Vanessa nel non veder tornare il marito, il suo nervoso andar su e giù per il locale attorcigliandosi i riccioli rossi fino a farsi male, il suo borbottio astioso mentre spegneva per l’ennesima volta il cellulare, frustrata dalla mancata risposta:
- Dove cazzo si è cacciato? Gliela do io, a quello stronzo, la bottiglia di Sagrantino: ma sulla testa! -
A momenti, dava spazio a una nota di leggero ottimismo:
- Se l’avessero bevuto assieme, lui che non regge un goccio d’alcol… potrebbe anche essersi addormentato. Vi immaginate che figuraccia? - concludeva con una risata isterica.
All’approssimarsi dell’ora di cena, Liu Qin si ritrovò sommerso dal lavoro di pizzaiolo, mentre Flavio dovette far fronte da solo a tutte le consegne a domicilio.
Di Mimì nessuna traccia, così come non arrivò, quella sera, nessuna ordinazione dalla signora Scapece.
Al momento di chiudere bottega, intorno alle undici di sera, i tre apparivano stravolti dalla stanchezza.
Vanessa ringraziò i ragazzi e trovò la forza di metterla sullo scherzo:
- Domani vacanza - disse - vi do giornata libera per… festeggiare la sparizione di Mimì. Per qualche giorno il negozio resterà chiuso, poi vi chiamo. -
- Hai saputo niente di lui? - aveva domandato incautamente Flavio.
La donna, scura in volto, aveva scosso la testa:
- No. Quel bastardo non si è ancora fatto vivo, ma sento che sta per tornare. Lo sento dal desiderio che ho addosso di prenderlo a bastonate. -

Quando, tre giorni dopo, Vanessa li convocò in pizzeria, Flavio e Liu Qin erano convinti che sarebbero stati liquidati, dal momento che il tam tam di quartiere diceva che di Mimì si era persa ogni traccia e che Vanessa, disperata, avesse intenzione di chiudere il locale.
Fu quindi grande la loro sorpresa nel trovare una padrona dallo sguardo fiero e determinato, che li fece accomodare attorno a un tavolo e, scossi i riccioli color del fuoco, li fissò dritti negli occhi e disse:
- Con oggi si riapre, se siete disponibili. -
- Noi siamo disponibili, ma Mimì… - rispose Flavio, interpretando il pensiero comune.
Gli occhi di Vanessa rimpicciolirono fino a divenire due fessure:
- Mimì è scomparso in casa della Scapece o Scopece, non ricordo mai come si chiama: nessuno li ha più visti uscire, né lui né lei. Per me possono anche essere morti tutti e due. -
Gli occhi della donna si riaprirono di colpo, emettendo bagliori azzurrognoli a sottolineare lo sguardo di sfida:
- E noi gli dimostreremo che possiamo fare a meno di lui. In pizzeria di giorno e a letto di sera. -
I ragazzi erano confusi, sconcertati, non capivano; Liu Qin azzardò:
- Come pensi di organizzare la cosa? -
Lei gli sfiorò con dolcezza la mano e proseguì:
- Ragazzi, me l’avete insegnato voi: a turno. Un giorno uno fa le pizze e l’altro le consegne. E per non cambiare abitudini, chi quel giorno fa il pizzaiolo viene anche a letto con me la sera. Un giorno a testa, chiaro? -
Per Flavio, amante della precisione fino alla pedanteria, non era del tutto chiaro.
- Scusa Vanessa, tu hai detto “per non cambiare abitudini”. In che senso? - domandò.
Nuovamente, i bagliori azzurrognoli accompagnarono lo sguardo e il sorriso malizioso della donna mentre rispondeva:
- Vi sembrerà buffo, ma ormai sono troppo abituata a far l’amore con il pizzaiolo, un maschio che sappia di forno e di pasta ti pane. Quello di turno, naturalmente. -
Nella risata generale che seguì, i due ragazzi si allungarono un “cinque” mentre Liu Qin commentava sottovoce:
- Visto che tutto si aggiusta? Basta lasciar fare ai cormorani. -









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